Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30040 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 19/11/2019), n.30040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33325/2018 r.g. proposto da:

T.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Lanzilao, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla

via Angelico n. 38.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con ordinanza n. 4363/2017, il Tribunale di Roma confermò il provvedimento reiettivo delle istanze di protezione – internazionale ed umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale nei confronti di T.M., nativo del Gambia, ed il gravame proposto da quest’ultimo contro tale decisione venne respinto dalla corte di appello della medesima città, con sentenza del 10 maggio 2018, n. 4491, la quale, per quanto qui ancora di interesse: i) ritenne che il racconto dell’appellante, che aveva dichiarato di avere investito con il motorino, uccidendoli, una donna e un bambino – “appare riferito ad una vicenda di carattere personale, oltre a risultare confuso e nel complesso poco verosimile. I timori paventati dalla parte appellante esulano, quindi, dai presupposti generali di cui al citato art. 14 (del D.Lgs. n. 251 del 2007. Ndr), che ancora la concessione della protezione sussidiaria ad esigenze connesse alla situazione politica del Paese di origine ed al contesto di violenza generalizzata”; ii) affermò, quanto alla situazione politica del Gambia, che lì, “in seguito alla celebrazione di elezioni con la vittoria del nuovo Presidente, sono state preannunciate riforme democratiche, cosicchè i favorevoli mutamenti politici rendono del tutto astratto il timore per il rientro espresso dal T.. Benchè nel Paese si registrino ancora elementi di incertezza politica, la situazione odierna non è caratterizzata da livelli di violenza indiscriminata o da conflitto armato tali da determinare un rischio effettivo di danno grave nel senso previsto dalla norma sopracitata. Perdurano condizioni di discriminazione ai soli danni di omosessuali, dissidenti politici e giornalisti, ossia di categorie alle quali l’appellante non appartiene”; iii) escluse che il T. potesse essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, in quanto questi aveva riferito che non risultava pendente alcun procedimento a suo carico per incidente stradale; iv) negò, infine, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non risultando “allegate le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale, che il ricorrente incontrerebbe ove tornasse in Gambia, nè appare documentato lo stato di vulnerabilità del T., che – salve le tipiche difficoltà psicologiche di chi lascia il proprio Paese – versa in discrete condizioni fisiche, come da certificato medico in atti”.

2. Contro la descritta sentenza, che si assume non essere stata notificata, T.M. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

2.1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti in Gambia”, ascrivendosi alla decisione impugnata – sul punto, a dire del ricorrente, sostanzialmente immotivata – di aver completamente omesso di valutare le condizioni generali del Paese di provenienza del richiedente la protezione, travisando la normativa che regola la materia, nemmeno indicando le fonti a tal fine consultate;

II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – Errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”, censurandosi la valutazione di non credibilità del racconto del T. come concretamente effettuata dalla corte capitolina;

III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del Paese di origine. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Omesso esame delle fonti informative. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”, nuovamente dolendosi del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, ribadendosi che la corte distrettuale nemmeno aveva ritenuto di dover indicare le fonti consultate al fine di considerare insussistente la grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del Gambia invocata dall’odierno ricorrente;

IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine e che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”, criticandosi il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Premette il Collegio che nella controversia, e per il preliminare controllo di tempestività, trova luogo il principio per cui “in tema di riconoscimento della protezione internazionale, la disciplina introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, si applica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del citato decreto, alle controversie instaurate successivamente al 18.8.2017” (cfr. Cass. n. 26568 del 2019; Cass. n. 18295 del 2018); conseguentemente, per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello rese su ricorsi originariamente introdotti anteriormente a quella data si applica la precedente disciplina (anche riguardo alla sospensione dei termini durante il periodo feriale).

4. I primi tre motivi devono essere scrutinati congiuntamente perchè connessi.

4.1. Giova ricordare che questa Suprema Corte ha recentemente chiarito (cfr. Cass. n. 15794 del 2019), in materia di protezione internazionale, che: i) il richiedente è tenuto ad allegare in modo preciso, completo e circostanziato i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, quindi, a pervenire alla dimostrazione dei fatti medesimi, trovando deroga il principio dell’onere della prova, a fronte di una esaustiva allegazione attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5; ii) il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso decreto legislativo, con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine; iii) con riferimento all’accertamento del rischio effettivo di subire un grave danno alla persona, nell’ipotesi contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il dovere di cooperazione istruttoria desumibile dall’art. 3, comma 5, del medesimo decreto legislativo, ove reso possibile dal positivo vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati dalla norma, impone al giudice di verificare – in via preferenziale, ma non esclusiva, attraverso lo scrutinio dei cd. c.o.i., country of origin informations – se nel Paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rientro del richiedente, ma non di supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, essendo necessaria al riguardo soltanto la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3.

4.2. Alla stregua dei suesposti principi, qui integralmente condivisi, appare, dunque, di tutta evidenza che, ove la valutazione di non credibilità del racconto del T., espressa dalla corte distrettuale, resista alle critiche da quest’ultimo mossegli in questa sede, perderebbero rilevanza le sue doglianze riguardanti l’asserita mancata valutazione, ad opera della medesima corte, della situazione politico/sociale del Gambia ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), posto che nemmeno verrebbe in considerazione il dovere di cooperazione istruttoria che si assume essere stato violato.

4.3. Orbene, si è prima riferito che la decisione impugnata ha ritenuto il racconto dell’odierno ricorrente “riferito ad una vicenda di carattere personale, oltre a risultare confuso e nel complesso poco verosimile”.

4.3.1. La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, nonchè, in motivazione, la più recente Cass. n. 18446 del 2019).

4.3.2. Nella specie, però, la doglianza formulata in proposito dal T. con il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile, per violazione del principio cd. di autosufficienza del ricorso, oggi cristallizzato dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 – 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione (cfr. Cass. n. 24340 del 2018) – atteso che: a) si prospetta un “errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale”, di cui, però, non è stato riportato il corrispondente contenuto nel ricorso (“…Come si evince dalla lettura del fascicolo di primo grado, il ricorrente ha confermato, sostanzialmente, dinanzi al giudice di prime cure quanto già riferito dinanzi alla Commissione. Assumiamo, quindi, per trascritte le dichiarazioni rese in Commissione e quella dinanzi al giudice di prime cure”. Cfr. pag. 7 del ricorso), mentre tutt’altro che adeguato risulta il “breve sunto” di dette dichiarazioni che pure si afferma (cfr. la medesima pag. 7 del ricorso) di voler ivi riportare, risolvendosi, concretamente, lo stesso in argomentazioni affatto generiche; b) si fa riferimento (cfr. pag. 8 del ricorso, “il ricorrente,…, persona peraltro ascrivibile a categoria “debole” ed assolutamente integrata in Italia (fatto, questo che da solo avrebbe dovuto portare alla concessione almeno della protezione umanitaria), come attestato dalla documentazione in atti…”) a documentazione, anche in tal caso, però, non specificandosene la tipologia, nè indicandosene l’effettivo contenuto, così da impedirne in questa sede qualsivoglia vaglio di decisività (cfr. Cass. n. 13625 del 2019).

4.4. L’inammissibilità, per le ragioni appena esposte, del motivo volto a censurare la ritenuta – anche da parte della corte distrettuale – non credibilità dell’odierno ricorrente, comporta, conseguentemente, per effetto delle già riportate statuizioni rese da Cass. n. 15794 del 2019, la irrilevanza (con conseguente loro inammissibilità per difetto di interesse a proporle) delle doglianze aventi ad oggetto l’asserita mancata (o, comunque, non corretta) esplicazione, ad opera della medesima corte, del dovere di cooperazione istruttoria, perchè, come si è già visto, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (cfr. Cass. n. 4892 del 2019, nonchè, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 33096 del 2018; Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 18229 del 2019; Cass. n. 18446 del 2019).

5. Parimenti inammissibile risulta il quarto motivo di ricorso, concernente il diniego di protezione umanitaria, atteso che, indipendentemente dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, la corte distrettuale ha considerato dirimente il difetto di qualsivoglia specifica allegazione in punto di sua vulnerabilità, senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo suddetto.

5.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

5.2. In definitiva, T.M., con i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

6. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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