Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30038 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 19/11/2019), n.30038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Y.A., rappr. e dif. dall’avv. Roberto Maiorana, elett. dom. in

Roma, via Angelico n. 38, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 13.5.2015, n. 4849/2018,

R.G. 4923/2016;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

FERRO Massimo, alla Camera di consiglio del 22.10.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. Y.A. impugna la sentenza App. Roma 18.5.2015, n. 4849/2018, R.G. 4923/2016 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 28.6.2016 che aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della Commissione territoriale di Roma, la quale aveva escluso i relativi presupposti;

2. la corte, escluso preliminarmente ogni vizio dell’attività istruttoria avanti alla predetta Commissione in virtù dell’audizione effettuata da un singolo (non identificato) e non dal plenum, ha condiviso il primo giudizio quanto ad insussistenza degli atti persecutori, rappresentati in modo contraddittorio e non credibile e piuttosto riconducibili ad una vicenda di diritto comune, avendo il ricorrente (cristiano ortodosso) genericamente riferito di essere fuggito dall’Egitto, perchè sotto minaccia di “estremisti islamici” che rivendicavano un indennizzo per delle armi sequestrate nella sua proprietà dalla polizia o, in altra versione, dal venditore del fondo; ha altresì negato i presupposti della protezione sussidiaria, poichè nessuno dei fatti denunciati integrava il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, difettando sia un conflitto armato sia una insicurezza totale per i professanti la riferita religione; mancava infine la prova di una vulnerabilità fisica e psicologica, condizionante negativamente il reinserimento nel Paese d’origine;

3. il ricorso è su quattro motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta un errato esame delle condizioni di pericolosità e della situazione di violenza generalizzata esistenti in Egitto e ciò con riguardo a tutte e tre le richieste di protezione inoltrate, ove la corte ha mancato di esercitare un ruolo istruttorio attivo;

2. con il secondo motivo si censura l’annesso ovvero errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente davanti alla commissione territoriale e la non valutazione diretta ed officiosa delle condizioni di violenza e pericolo nel sistema del Paese di provenienza;

3. con il terzo motivo si contesta la mancata concessione della protezione sussidiaria invero spettante al richiedente per le attuali condizioni socio-politiche del Paese d’origine, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e dell’art. 10 Cost.;

4. il quarto motivo contesta, in rapporto al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, la ritenuta insussistenza di grave crisi umanitaria, tale da giustificare la minor protezione, richiesta in via gradata, anche con riguardo all’impossibile fruizione, in caso di ritorno, di diritti fondamentali;

5. i primi due motivi sono inammissibili, per genericità della censura (elevata avverso il cattivo uso di principi evocai senza alcun puntuale riferimento normativa), difetto di autosufficienza (non essendo state riportate, almeno per sintesi, eventuali allegazioni introduttive di elementi a suffragio più specifico dell’invocata situazione di violenza ovvero persecuzione generalizzata per gruppo o altrimenti specifica nel Paese d’origine) e avendo la corte condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), una chiara verifica su tutti i presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; in realtà la sentenza ha motivatamente e in via preliminare altresì escluso la piena attendibilità del ricorrente, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni rese avanti alla commissione e EI primo giudice, così che la pretesa violazione del dovere di cooperazione istruttoria si fonda su una lettura non corretta del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatui costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie positivamente esclusa;

6. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), polche la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019);

7. il terzo motivo è inammissibile, avendo il ricorrente espresso più che una specifica censura alla sentenza sul timore dell’atto di persecuzione, non più dettagliatamente indicato ed invece – l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato l’intero Egitto, secondo un giudizio alternativo a quelle cui è giunta la corte; questa, escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha in particolare negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, a sensi della lett. c) art. cit.; il che rende insuperabile il dato, presupposto nella sentenza impugnata, per cui la prospettazione persecutoria al ricorrente è risultata del tutto indiretta e generica;

8. nè il ricorrente ha censurato in modo specifico l’affermazione della corte per cui è mancata la prova dell’assenza di edeguata protezione del Paese d’origine, circostanza da collegare alea condotta di collaborazione con l’autorità cui il ricorrente si è sottratto, nonostante la denuncia della minaccia ricevuta e per quanto, come detto, indicata in modo contraddittorio; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

9. il quarto motivo è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di orogine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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