Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30037 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 29/12/2011), n.30037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.D.A. (cod. fisc. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SALUZZO 8, presso l’avvocato NATALE FERNANDO, rappresentati e difesi

dall’avvocato FERRARA SILVIO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

contro

A.E., PR.CA.;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

05/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di Napoli, con decreto del 5 giugno 2008, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a P.D.A., + ALTRI OMESSI un indennizzo di Euro 12.840,00 per ciascuno per l’irragionevole durata di un procedimento iniziato davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania con ricorso del 30 settembre 1992 e non ancora definito, osservando: a)che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 3 anni, laddove si era protratto, per un periodo di oltre 15 anni; b)che tale durata eccedeva di anni 12 quella ritenuta ragionevole dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente ad Euro 1.000,00 per anno di durata eccessiva.

Che il Ministero delle Finanze per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 5 motivi, con i quali, deducendo violazione degli artt. 112 e 125 cod. proc. civ., nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2 e del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e contestato i criteri recepiti per la liquidazione dell’indennizzo che non avevano tenuto conto della inerzia dei ricorrenti ed in particolare della mancanza di un’istanza di prelievo nel giudizio presupposto che rendeva improponibile la richiesta liquidazione del danno non patrimoniale. E che il P. ed i consorti hanno resistito con controricorso, osserva:

A) Questa Corte ha ripetutamente affermato che “In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa. Nè l’innovazione introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133, secondo cui la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza “di prelievo” ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51 può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio del “tempus regit actum”, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere” (Cass. 24901/2008;

28428/2008; negli stessi termini dec. 2 giugno 2009 della CEDU in causa Daddi c/Italia). Ha rilevato ancora nelle menzionate decisioni che “che, in applicazione delle regole stabilite dall’art. 11 preleggi, comma 1, e dall’art. 15 preleggi, concernenti la successione delle leggi (anche processuali) nel tempo, quando il giudice procede ad un esame retrospettivo delle attività svolte, ne stabilisce la validità applicando la legge che vigeva al tempo in cui l’atto è stato compiuto (con riferimento alle condizioni di proponibilità della domanda, tra le molte, Cass. n. 9467 del 1987;

n. 4676 del 1985), essendo la retroattività della legge processuale un effetto che può essere previsto dal legislatore con norme transitorie, ma che non può essere liberamente ritenuto dall’interprete. Una indebita applicazione retroattiva della legge processuale si ha dunque quando si pretenda sia di applicare la legge sopravvenuta ad atti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore della legge nuova, sia di associare a quegli atti effetti che non avevano in base alla legge del tempo in cui sono stati posti in essere (Cass. n. 20414 del 2006)”. B) E’, del pari, infondata la censura relativa alla esistenza del danno, essendo la giurisprudenza fermissima nel ritenere che nel giudizio di equa riparazione, così come la stessa risulta delineata dal sistema introdotto con la L. n. 89 del 2001, art. 2 seppure non può parlarsi di danno insito nella violazione della normativa (danno in re ipsa), deve per converso considerarsi di regola in re ipsa la prova del relativo pregiudizio nel senso che, provata la sussistenza della violazione, ciò comporta nella normalità dei casi anche la prova che essa ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale; ma che tale conseguenzialità proprio perchè normale e non necessaria o automatica, può trovare nel singolo caso concreto una positiva smentita qualora risultino circostanze che dimostrino che quelle conseguenze non si sono verificate: come esemplificativamente accade nell’ipotesi di piena consapevolezza della parte, della inammissibilità o infondatezza delle proprie istanze e, comunque tutte le volte in cui il protrarsi del giudizio risponde ad un suo specifico interesse o è destinato a produrre conseguenze che detta parte percepisce a sè favorevoli.

E nel caso tale ultima ipotesi non si è verificata non soltanto perchè il giudizio presupposto non si è ancora concluso (per cui non è possibile prevederne l’esito), ma anche perchè il Ministero si è limitato a prospettare le ragioni di natura giuridica che dovrebbero indurre il giudice amministrativo a respingere il ricorso degli intimati, senza neppure prospettare elementi idonei a far presumere che gli stessi abbiano promosso una lite temeraria, o abbia artatamente prolungato il giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato L. n. 89, art. 2. C) Fondato è invece il terzo motivo del ricorso, relativo alla valutazione del danno, non avendo il decreto impugnato tenuto in alcun conto i principi al riguardo enunciati da questa Corte, secondo cui: 1) non solo la modestia della posta in giuoco, ma anche mancato sollecito della trattazione o della definizione del processo presupposto da parte dell’interessato, giustifichi uno scostamento rispetto al parametro di mille/00 Euro per anno di non ragionevole durata del processo predicato dalla CEDU: fattispecie questa che nel caso si è verificata in quanto nessuno dei ricorrenti dopo avere presentato il ricorso e l’istanza di fissazione dell’udienza nei successivi 16 anni non hanno avanzato alcun sollecito o istanza di definzione; 2) D’altra, parte, proprio la Corte CEDU in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, in cui gli interessati non hanno sollecitato in alcun modo la trattazione e/o definizione del processo mostrando sostanzialmente di non avervi interesse, si è discostata dal parametro medio di Euro 1.000,00 annue dalla stessa indicato, liquidando un indennizzo forfettario per l’intera durata del giudizio che suddiviso per il numero di anni ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00, pur se in qualche caso non è mancata una liquidazione superiore (cfr. procedimenti 675, 688 e 691/03;

11965703).

Per cui il collegio, recependo ancora una volta tale indirizzo della Corte di Starsburgo ritiene che l’importo complessivo doveva essere fissato in modo da attenersi proprio al menzionato parametro.

Cassata, pertanto la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, poichè non necessitano ulteriori accertamenti, la Corte deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. liquidando a ciascuno degli interessati un indennizzo che tuttavia dati gli elementi avanti evidenziati, viene determinato nella misura complessiva di Euro 7.650,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale.

L’esito globale del giudizio induce il Collegio a condannare il Ministero al pagamento di metà delle spese processuali, da liquidare come in dispositivo; ed a dichiarare interamente compensata tra le parti la restante metà.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il 1, 2, 4 e 5 motivo del ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo suddetto e, decidendo nel merito, condanna il Ministero a corrispondere a ciascuno dei controricorrente un indennizzo nella misura di Euro 7.650,00, con gli interessi legali dalla data della domanda, nonchè a rifondere loro metà delle spese dell’intero giudizio che liquida nell’intero, per il giudizio di merito in Euro 1940,00 e per quello di legittimità, in complessivi Euro 700,00 di cui Euro 650,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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