Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30037 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 19/11/2019), n.30037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32427/2018 proposto da:

B.M.K., elettivamente domiciliato in Roma, in Piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Lera per procura

speciale in calce ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale

dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 606/2018 della Corte di appello di Genova

pubblicata il 09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 27/09/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M.K. ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Genova ha rigettato l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza del locale Tribunale che aveva, a sua volta, respinto le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria dal primo introdotte, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente – nel racconto reso alla competente Commissione territoriale, proveniente dal (OMISSIS), dalla città di (OMISSIS), ove aveva avviato una propria attività di officina meccanica e costretto ad allontanarsene per le minacce ricevute da un gruppo di taglieggiatori che lo avrebbe attinto anche nel piccolo villaggio di provenienza – denuncia la violazione della normativa sulla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e c), in combinato con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di merito non avrebbe preso in considerazione nè il rischio, identificato in tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante, che il richiedente avrebbe potuto subire nel Paese di origine non provvedendo a verificare se i responsabili del danno e/o della persecuzione potessero essere identificati con soggetti non statuali che non potessero o non volessero fornire protezione, avendo il ricorrente riferito che la polizia, solita a tanto, non aveva preso la denuncia che egli avrebbe sporto contro gli estortori.

Il clima di corruzione sarebbe stato diffuso tra le forze di polizia secondo fonti internazionali (GCR 2017-2018; HRR 2017).

Va premesso che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340; Cass. 30/10/2018 n. 27503).

Ciò posto, il motivo è comunque inammissibile là dove, quanto alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), non si fa carico di confrontarsi con la sentenza impugnata in cui i giudici di appello, confermando il giudizio espresso in primo grado, escludono l’attendibilità del racconto reso dal richiedente protezione, non provvedendo a puntualmente censurare l’indicato passaggio.

Nel resto, la pure dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sub specie del cd. rischio paese, è questione genericamente posta rispetto ad un provvedimento che puntualmente argomenta, con richiamo a COI aggiornate anche del giugno e del marzo 2017, sulle condizioni oggettive del Bangladesh.

Il motivo non deduce invero sul carattere non aggiornato delle prime e sulla non puntualità e conferenza delle stesse ai luoghi di provenienza del ricorrente, neppure segnalando uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingere il richiedente qualora egli debba farvi rientro ed i connessi oneri istruttori mancati nell’attivazione.

In ogni caso, come da questa Corte di legittimità rilevato, in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi (tra le altre: Cass. 17/05/2019 n. 13403).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente espone di trovarsi in condizione di vulnerabilità per mancanza di condizioni minime per condurre nel Paese di origine un’esistenza in cui non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare bisogni ed esigenze ineludibili della vita personale connesse al sostentamento ed al raggiungimento di standard minimi per un’esistenza dignitosa, in un bilanciamento con il grado di integrazione raggiunto in Italia e per una condizione di vulnerabilità personale che resterebbe altresì integrata dalla necessità di sfuggire alla banda degli taglieggiatori, le cui minacce estortive egli si sarebbe altrimenti trovato a soffrire nel Paese di origine.

Il motivo si espone ad un giudizio di inammissibilità per genericità e reiterazione di critica motivatamente e correttamente disattesa in appello.

Nella inattendibilità del racconto ogni vicenda relativa alle condotte estortive subite nel Paese di provenienza non può valere ad integrare, in ragione dell’autonomia del giudizio cui è chiamato il giudice del merito nel valutare lo strumento della protezione umanitaria, gli estremi per il riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie.

Se il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale (ex multis, sul principio: Cass. 15/05/2019 n. 13088), è pur vero che l’inattendibilità del racconto, negativamente valutata dal giudice del merito per il riconoscimento della protezione internazionale e come tale non efficacemente e puntualmente attaccata con il ricorso per cassazione, esclude che le evidenze fattuali oggetto del primo possano essere di nuovo rivalutate in sede di scrutinio della richiesta di protezione umanitaria in sede di legittimità in cui siano state denunciate come omessa valutazione di un fatto decisivo al fine della decisione oggetto di discussione tra le parti.

Ciò posto, manca nella fattispecie finanche l’allegazione che la costruzione in fatto e diritto portata all’esame di questa Corte di legittimità, in cui l’attività estortiva andrebbe ad integrare la vulnerabilità personale oggetto della richiesta di protezione umanitaria, fosse già nei motivi di appello.

Nel resto, con il motivo si chiede a questa Corte di reiterare un giudizio a cui ha pienamente e congruamente risposto la Corte di merito, in applicazione del canone della effettività della valutazione (Cass. n. 4455 del 23/02/2018), escludendo, nel portarne in comparazione il grado di integrazione in Italia, l’esistenza in capo al richiedente di una situazione di vulnerabilità e tanto in presenza di stabili ed attuali punti di riferimento nel villaggio di origine.

3. Il ricorso, in via conclusiva, è inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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