Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30034 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 16/04/2020, dep. 31/12/2020), n.30034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1669/2019 proposto da:

O.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Donato Cicenia, giusta

procura ad litem a margine del ricorso per cassazione, con domicilio

eletto in Roma, alla via Tarano, 95, lotto C, scala A;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di NAPOLI n. cronol. 8178/2018 del

29 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto del 29 novembre 2018, ha respinto la domanda di O.J., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, ritenendo che dalle dichiarazioni rese dal richiedente non emergeva alcun fumus persecutionis, nè alcun rischio concreto nel caso di rientro in (OMISSIS) di subire persecuzioni o la pena di morte, torture o altro trattamento inumano o degradante. Inoltre, le dichiarazioni del ricorrente sono state reputate incongrue sia perchè il ricorrente non era stato in grado di fornire alcun dettaglio sulla setta degli (OMISSIS), nè aveva fornito dettagli sulle numerose riunioni alle quali aveva partecipato; sia tenuto conto delle fonti internazionali consultate dai giudici sulla indicata setta. Quanto alla protezione umanitaria, questa non è stata riconosciuta in conseguenza del rigetto delle altre domande e anche perchè il richiedente non rientrava in alcuna delle categorie vulnerabili.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere nato a (OMISSIS), (OMISSIS), in (OMISSIS) e di essere stato iscritto alla setta degli (OMISSIS) da sua padre all’età di 7 anni, ma che suo padre aveva preferito portare con sè il figlio nato dalla sua seconda moglie; che dopo la morte del padre, suo fratello aveva provato a farlo partecipare alla setta degli (OMISSIS), ma lui si era rifiutato ed era stato così minacciato dal fratello di morte; che aveva deciso di espatriare e con l’aiuto della madre era giunto in Italia, dopo avere attraversato il Niger e la Libia.

3. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso O.J., con atto notificato il 28 dicembre 2018 svolgendo quattro motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo O.J. lamenta error in procedendo ed error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il Tribunale aveva omesso la motivazione in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.

2. Con il secondo motivo O.J. lamenta error in procedendo ed error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il Tribunale aveva erroneamente ritenuto le dichiarazioni del ricorrente incongrue e aveva escluso l’esistenza del danno grave senza esaminare il rapporto Amnesty International del 2016 o le dichiarazioni del Presidente della Lega per i diritti umani.

2.1 I motivi, che in quanto connessi vanno trattati unitariamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

Nel caso in esame, il Tribunale ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ritenendo le dichiarazioni del richiedente fortemente incongrue, sia intrinsecamente, sia estrinsecamente, spiegando, alle pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato, i numerosi profili di contraddittorietà e incoerenza rilevati e ha poi concluso, a pag. 6, rilevando l’insussistenza del fumus persecutionis.

2.2 Il motivo, quindi, sotto lo specifico profilo censurato della motivazione apparente, è infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

2.3 Il Tribunale, inoltre, ha compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale ha ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti sopra esposti in relazione al principio della cooperazione istruttoria del giudice (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336).

2.4 In ogni caso, fermo restando l’assenza della contraddittorietà della motivazione dedotta, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività.

Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di avere riguardo al contenuto delle plurime fonti individuate e trascritte dal ricorrente (e tra queste le dichiarazioni del presidente della Lega per i diritti umani), a fronte del richiamo da parte del Tribunale di fonti internazionali del 2017 (e tra queste anche il rapporto di Amnesty International 2016 – 2017, citata espressamente dal ricorrente e quindi non omessa) che, secondo quanto motivato dal Tribunale, hanno accertato l’insussistenza di motivi persecutori e di una situazione di violenza indiscriminata.

2.5 Con riguardo specifico all’esistenza del danno grave in ragione del conflitto religioso esistente fra il ricorrente, di religione (OMISSIS) e tutta la famiglia di appartenenza sostenitrice della setta politica degli (OMISSIS), il Tribunale ha rilevato che il ricorrente avrebbe potuto rivolgersi alla polizia, poichè come emergeva dalle fonti richiamate (a pagina 7) in (OMISSIS) le società segrete erano proibite e vi era molta attenzione al contrasto del fenomeno, nè poteva sottacersi che nelle fonti si leggeva che gli appartenenti alla setta degli (OMISSIS) erano di etnia (OMISSIS), mentre il ricorrente aveva dichiarato di essere di (OMISSIS).

2.6 E’ questa, peraltro, una ratio decidendi non specificamente censurata dal ricorrente, con conseguente inammissibilità della doglianza (Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

3. Con il terzo motivo O.J. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h) e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g) perchè il Tribunale non aveva valutato, ai fini della protezione sussidiaria, le ipotesi di “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine” e “di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile”, poichè il richiedente avrebbe riferito di essere stato costretto ad espatriare perchè riluttante a partecipare ai riti ed alla ideologia della setta religiosa degli (OMISSIS) e perchè concretamente minacciato di morte e scampato all’uccisione.

3.1 Il motivo è inammissibile.

E’, in primo luogo, inammissibile perchè non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”.

Il richiedente non coglie l’autonoma ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), costituita dalla scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.

Nella sostanza, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

4. Con il quarto motivo O.J. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, avendo erroneamente il Tribunale applicato la diversa e distinta fonte del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, che disciplina l’espulsione e non già l’accoglienza per motivi umanitari e non avendo operato la valutazione comparativa della vulnerabilità del ricorrente.

4.1 Il motivo è infondato.

4.2 Il Tribunale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria a causa dell’inattendibilità della narrazione del richiedente e della mancanza di deduzioni, da parte del ricorrente, di diverse e specifiche circostanze giustificative del riconoscimento della protezione.

Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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