Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30032 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 29/12/2011), n.30032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.D.A. Elettivamente domiciliata in Roma, via Gallia,

86, nello studio dell’avv. Monaldo Mancini; rappresentata e difesa,

giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giuliani

Gabriella;

– ricorrente –

contro

P.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila, n. 1016,

depositata in data 5 dicembre 2007;

sentita la relazione all’udienza del 13 ottobre 2011 del consigliere

dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. RUSSO Rosario Giovanni, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con ricorso depositato in data 11 febbraio 1995 P.V. chiedeva che il Tribunale dell’Aquila pronunciasse la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto il 19 aprile 1971 con C.D.A., la quale, costituitasi, non si opponeva alla domanda, chiedendo altresì, in via riconvenzionale, l’attribuzione di un assegno mensile, la divisione dei beni e la condanna del coniuge al pagamento della somma, nella quota a lei spettante, utilizzata per la costruzione di un fabbricato su suolo di proprietà esclusiva del P..

1.1 – Il tribunale, previa separazione del giudizio di natura divisoria, pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, respingeva la domanda relativa alla somma impiegata per la realizzazione del fabbricato, ritenendo per altro abbandonata quella concernente l’assegno divorzile.

1.2 – La Corte di appello dell’Aquila, con la decisione indicata in epigrafe, accoglieva la domanda di assegno avanzata dalla C., determinandone l’ammontare in Euro 350,00 mensili, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado, ed in particolare la statuizione inerente al rigetto della pretesa concernente le somme impiegate per la realizzazione del fabbricato su suolo del marito, in base al principio secondo cui le stesse sono dovute soltanto e nella misura in cui siano state effettivamente corrisposte, circostanza non dimostrata nel caso di specie.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la C. deducendo due motivi.

Il P. non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Con unico e articolato motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 177 c.c., lett. a), degli artt. 143, 2033 c.c. e dell’art. 35 Cost., sostenendo che sarebbe stata violata la parificazione del lavoro casalingo, da lei svolta, a quello professionale e che, in ogni caso, i materiali acquistati per la costruzione del fabbricato sul terreno del P. apparterrebbero alla comunione legale dei coniugi.

2.1 – Vengono formulati, al riguardo, i seguenti quesiti di diritto:

a) “Indichi la Suprema Corte se il principio scaturente dal combinato disposto di cui all’art. 177 c.c., comma 1, lett. aa) all’art. 143 c.c., comma 3 e all’art. 35 Cost., secondo il quale riconoscendosi tutela al lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni” il lavoro casalingo assume un rilievo sociale ed economico ed ha la connotazione effettiva ai bisogni della famiglia nei quali va ricompresa anche la realizzazione della patrimonialità sia applicabile alla fattispecie”;

b) “Indichi la Suprema Corte se il principio di diritto contenuto nell’art. 2033 c.c. secondo il quale l’attribuzione patrimoniale a favore di taluno, eseguita senza una giustificata ragione giuridica, consente la restituzione della medesima, sia abbia avuto ad oggetto un dare sia un facere, sia applicabile alla fattispecie”.

2.2 – Il ricorso è inammissibile.

Debbono, infatti, trovare applicazione, per essere stata impugnata una sentenza depositata in data 5 dicembre 2007, le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009), con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis nel c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

2.3 – Tanto premesso, deve porsi in evidenza come i quesiti relativi all’unico motivo dedotto contengano la prospettazione di mere questioni giuridiche, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta oggetto della controversia, con la richiesta di verificare se vi sia stata violazione delle norme indicate (cfr., in termini, Cass., Sez. Un., 24 marzo 2009, n. 7032; Cass., 17 luglio 2008, n. 19769). Non si tratta, a ben vedere, di sanzionare la frammentazione del quesito in più articolazioni, a volta ritenuta necessaria, e comunque ammissibile (Cass., 29 gennaio 2008, n. 1906; Cass., 29 febbraio 2008, n. 5733), per meglio prospettare le questioni sottoposte all’esame di questa Corte, quanto di constatare come nel caso di specie la pluralità delle questioni rimane confinata nell’astrattezza, non essendo possibile ravvisare, anche all’esito di una complessiva considerazione, l’enunciazione degli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie e la regola di diritto applicata dal giudice del merito (Cass., Sez, Un., 14 febbraio 2008, n. 3519).

Ed infatti, al di là del generico riferimento alla valenza del ruolo svolto dalla casalinga, e di un ancor più indistinto richiamo all’art. 2033 c.c., non si attinge la ratio decidendi della sentenza in esame, incentrata, secondo un indirizzo costante di questa corte, sull’operatività del principio dell’accessione in materia di comunione legale, e sul diritto del coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione, previo assolvimento dell’onere della prova d’aver fornito il proprio sostegno economico, di ripetere nei confronti dell’altro le somme spese a tal fine.

Giova ribadire, per altro, come non possa tenersi conto di quanto enunciato nel motivo di ricorso, avendo questa Corte (Cass., Sez. Un., 26 marzo 2007, n. 7258) precisato che un’interpretazione in tal senso della norma si risolverebbe nella sua abrogazione tacita.

3. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue alcuna statuizione in merito al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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