Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30031 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 29/12/2011), n.30031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l’avvocato

POTTINO GUIDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ZAULI CARLO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

03/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Ancona del settembre 2007 B.S. proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001,, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata della procedura fallimentare, ancora pendente, a carico della s.r.l. Fonderie di Forlì, nella quale aveva proposto nel marzo 1993 domanda di ammissione al passivo del proprio credito privilegiato di L. 6.839.280 quale ex dipendente della società fallita.

2. La Corte d’appello, ritenuta ragionevole nella specie una durata di sei anni, liquidava in favore del ricorrente, a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole di otto anni e sei mesi del procedimento presupposto, la somma di Euro 4.500,00 oltre la metà delle spese del procedimento.

3. Avverso tale decreto, depositato il 3 ottobre 2008, B. S., con atto notificato il 9 novembre 2009, ha proposto ricorso a questa Corte, basato su dieci motivi. Resiste il Ministero dell’economia e finanze con controricorso.

4. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

5. Con i primi tre motivi si censura la determinazione in circa sei anni della durata ragionevole del procedimento presupposto. Viene denunciata, con il primo, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione all’art. 6, par. 1 C.E.D.U. (per la violazione del criterio della durata standard di 3/4 anni), con il secondo il vizio di motivazione in ordine alla complessità del procedimento presupposto, con il terzo la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione alla medesima statuizione.

5.1 Tali doglianze sono prive di fondamento. La determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, onde verificare la sussistenza della violazione del diritto azionato, costituisce oggetto di una valutazione che il giudice di merito deve compiere caso per caso tenendo presenti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, anche alla luce dei criteri di determinazione normalmente applicati dalla Corte europea e da questa Corte. Criteri alla luce dei quali deve ritenersi che – in ragione delle peculiarità della procedura fallimentare – la durata ragionevole di tali procedimenti non debba normalmente superare i cinque anni, e che da tale parametro tendenziale è consentito discostarsi, purchè in misura ragionevole, in relazione alla complessità del caso (cfr. ex multis Cass. n. 2207/2010). E, in effetti, nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto ragionevole uno scostamento di circa un anno in più rispetto alla durata standard tenendo conto, alla luce della acquisita relazione predisposta dal Curatore del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 33, che tra i molteplici adempimenti evidenziati dal Curatore figura in particolare la proposizione da parte del Fallimento di vari procedimenti giudiziari, alcuni dei quali di notevole rilevanza economica. Una motivazione siffatta si sottrae alle critiche del ricorrente, non solo sotto il profilo della conformità ai criteri di determinazione sopra ricordati, ma anche sotto il profilo della congruità e logicità, considerando anche che, come questa Corte ha più volte affermato, ai fini della valutazione in ordine alla complessità di una procedura fallimentare occorre considerare anche la incidenza di altri procedimenti la cui definizione condizioni in vario modo detta procedura (cfr. ex multis Cass. n. 5316/2011).

6. Con il quarto, quinto, sesto e settimo motivo, si censura la determinazione dell’indennizzo in circa Euro 530,00 per anno, deducendo la violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 1226 e 2059 cod. civ., della L. n. 89 del 2001, art. 2 per il mancato rispetto degli standard europei (1000,00 – 1500,00 Euro per anno) e per l’inadeguata considerazione della posta in gioco, la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059 cod. civ. (la somma liquidata è irrisoria e/o simbolica in relazione alla entità del pregiudizio) nonchè l’insufficienza della motivazione.

6.1 Strettamente connesso è anche il decimo motivo, con il quale si censura, perchè in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la considerazione, nella determinazione dell’indennizzo, della sola durata irragionevole – anzichè della intera durata – del giudizio presupposto.

7. Tali doglianze – che, in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente – non meritano accoglimento.

7.1 Iniziando dall’ultima (stante la sua priorità logica), premesso che la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, va osservato che – fermo il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 1338 del 2004) in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea – tale dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001. D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo. E, come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dall’art. 2 della legge nazionale, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. in tal senso ex multis Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008). 7.2 Quanto alla concreta liquidazione, è noto che il giudice nazionale deve in linea di principio uniformarsi ai parametri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per i casi simili, salvo il potere di discostarsene, in misura ragionevole, avuto riguardo alle circostanze della singola fattispecie, delle quali deve dar conto. Nel caso in esame la Corte di appello ha evidenziato che il credito azionato dal ricorrente nella procedura era stato in parte rilevante soddisfatto tramite piano di riparto, traendone l’implicita conseguenza che la sofferenza, il patema d’animo, l’ansia per l’attesa della decisione sia stata nella specie contenuta tenendo presente la scarsa rilevanza degli interessi in gioco. Ha quindi legittimamente espresso la valutazione discrezionale che le compete, esponendo congruamente (ancorchè sinteticamente) le circostanze del caso in esame che, pur non essendo idonee ad escludere il pregiudizio non patrimoniale da ritardo ingiustificato della decisione (cioè a vincere la relativa presunzione), ne giustificassero un apprezzamento in termini riduttivi, con conseguente contenimento del risarcimento nella misura indicata. Una motivazione siffatta si sottrae alle censure di illogicità e genericità formulate dalla parte ricorrente, che del resto non ha nel ricorso indicato, tantomeno riprodotto, le eventuali risultanze in atti, idonee a fondare una diversa valutazione della posta in gioco, il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice di merito. D’altra parte, deve anche evidenziarsi come la Corte E.D.U., in relazione a numerosi procedimenti di lunga durata in cui la posta in gioco era di scarsa rilevanza, abbia liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03; 688/03 e 691/03; 11965/03), che, pur tenendo conto della differente modalità di calcolo, appare non distante da quello liquidato in questo caso.

Sì che, anche sotto questo profilo, le doglianze del ricorrente non meritano accoglimento.

8. L’ottavo ed il nono motivo hanno ad oggetto le statuizioni del decreto impugnato in ordine alle spese del giudizio. Con il primo si censura la liquidazione di tali spese, denunciando la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. sull’assunto che gli importi della notula depositata non potevano, in assenza di contestazione della controparte, essere diminuiti; con il secondo si censura la disposta compensazione per metà tra le parti, che violerebbe l’art. 92 cod. proc. civ. Entrambe le doglianze non meritano accoglimento, in quanto: a)la Corte di merito ha legittimamente esercitato la facoltà discrezionale di compensazione, rimessa al suo prudente apprezzamento anche in caso di contumacia del resistente, esponendo una motivazione (notevole ridimensionamento della pretesa) che, in quanto non illogica nè contraddittoria, si sottrae alle censure prospettate (cfr. Cass. n. 24531/2010), tanto più che, nella specie, deve farsi applicazione, ratione temporis, del disposto dell’art. 92 c.p.c. antecedente alla modifica introdotta con la L. n. 69 del 2009; b) la liquidazione delle spese è stata solo genericamente criticata sotto il profilo (unico rilevante) della violazione delle tariffe forensi, senza esporre specificamente ed analiticamente le voci e gli importi richiesti e spettanti a parte ricorrente (cfr. Cass. n. 21325/2005;

n. 9082/2006; n. 9098/2010), in tal modo non consentendo al giudice di legittimità il controllo degli error in iudicando solo astrattamente enunciati in ricorso.

9. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, in Euro 800,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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