Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30030 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 29/12/2011), n.30030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l’avvocato

POTTINO GUIDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ZAULI CARLO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il

20/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

rigetto altro.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. S.M. con ricorso alla Corte d’appello di Ancona proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001,, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio penale per omicidio colposo della madre del ricorrente – concluso con sentenza di condanna passata in giudicato nel 1998 – e del successivo giudizio civile per risarcimento danni, instaurato (anche) dal ricorrente dinanzi al Tribunale di Forlì nel maggio 1998 e definito in primo grado, unitamente ad altro giudizio successivamente promosso dai fratelli della defunta e con esso riunito, con sentenza di condanna del giugno 2002.

2. La Corte d’appello, ritenuta la intervenuta decadenza del diritto all’equa riparazione per la durata del giudizio penale (nel quale peraltro il ricorrente non si era costituito parte civile), osservava, quanto alla durata di quattro anni e un mese del giudizio civile di primo grado: a) che il relativo computo doveva iniziare dal momento di instaurazione del rapporto processuale, quindi dalla data di notifica della citazione, detratto però il termine a comparire, nella specie di 120 giorni essendo uno dei convenuti residente all’estero; b)che comunque, quand’anche non si detraesse il termine a comparire, il superamento della durata triennale normalmente considerata troverebbe nella specie valida giustificazione anche per il rilevante numero delle parti, per la riunione sopravvenuta dopo circa un anno dall’originaria citazione, per la necessità – ravvisata in corso di causa – di nominare un curatore speciale ad uno degli attori, minorenne. Sì che, ritenuta ragionevole la durata del suddetto giudizio civile, la domanda di equa riparazione doveva essere rigettata. 3. Avverso tale decreto, depositato il 20 giugno 2009, S.M. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 9 novembre 2009. Resiste con controricorso il Ministero dell’economia e finanze.

4. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

5. Il ricorso si articola in tre motivi. Con il primo si censura la determinazione della durata effettiva del processo civile presupposto in anni 3 e mesi 9 a seguito della detrazione del termine a comparire stabilito dalla legge: ciò violerebbe la L. n. 89 del 2001, art. 2, dovendo invece calcolarsi la durata a decorrere dalla data di notifica della citazione. Con il secondo si censura la motivazione in ordine alla ragionevolezza della durata del processo, deducendone la contraddittorietà avendo la corte di merito ritenuto tale durata ragionevole sia detraendo il termine a comparire sia non detraendolo, mentre avrebbe dovuto indicare quale sarebbe stata la durata ragionevole. Con il terzo si deduce che, una volta accertata la durata irragionevole, la corte avrebbe dovuto considerare, a norma degli artt. 6 e 41 C.E.D.U., tutta la durata.

6. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, sono privi di fondamento. La determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, onde verificare la sussistenza della violazione del diritto azionato, costituisce oggetto di una valutazione in fatto, che il giudice di merito deve compiere caso per caso tenendo presenti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, anche alla luce dei criteri di determinazione applicati dalla Corte europea e da questa corte.

Criteri ai quali nel provvedimento impugnato la corte territoriale ha fatto implicito quanto inequivoco riferimento, ritenendo in sostanza che la complessità della trattazione del giudizio presupposto giustifichi l’eccedenza rispetto alla durata normalmente considerata ragionevole. La pur condivisibile critica che, con il primo motivo, la parte ricorrente muove si mostra, alla luce della motivazione del provvedimento, sostanzialmente priva di rilevanza, tale essendo stato considerato dalla Corte, nella sua conclusiva valutazione sulla ragionevolezza, il più lungo termine di comparizione da rispettare nella specie. Quanto poi alla critica in ordine alla motivazione circa la complessità della trattazione del processo, va di contro osservato come tale convincimento risulti congruamente e non illogicamente motivato, e non appaia contraddittorio sol perchè la corte abbia ritenuto giustificata la maggior durata anche tenendo conto del periodo corrispondente al termine di comparizione.

4. Il terzo motivo è – prima ancora che assorbito – inammissibile, perchè il provvedimento impugnato non contiene alcuna statuizione relativa alla determinazione dell’indennizzo, esclusa per l’appunto dalla ritenuta ragionevolezza della durata del processo presupposto.

5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in Euro 800,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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