Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30030 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 26/02/2018, dep. 21/11/2018), n.30030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11989-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ICR INDUSTRIE COSMETICHE RIUNITE SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIAN GIACOMO PORRO N. 8, presso lo studio TRIBUTARIO CGP STUDIO

LEGALE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE CAMOSCI,

PAOLO BERRUTI, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/2010 della COMM. TRIB. REG. della

LOMBARDIA, depositata il 23 marzo 2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26

febbraio 2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,

in subordine il rigetto;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI GIANCARLO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAMOSCI GIUSEPPE, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate con unico motivo ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 55/6/10, depositata il 23 marzo 2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia;

alla I.C.R. spa, a seguito di verifiche della GdF e della conseguente elevazione di un processo verbale di contestazione, era stato notificato un avviso di rettifica per l’anno d’imposta 2003, con rideterminazione del reddito in aumento ai fini Irpeg e Irap per Euro 719.570,05 nonchè con accertamento ai fini Iva per Euro 59.273,14. In particolare l’atto impositivo aveva ripreso a tassazione costi ritenuti non inerenti e contestato la mancata contabilizzazione di ricavi.

Nel contenzioso che ne era seguito la Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza depositata il 17 luglio 2007 aveva accolto integralmente il ricorso della società contribuente e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, adita dall’Ufficio, aveva confermato le statuizioni del giudice di primo grado con la sentenza ora impugnata.

La ricorrente, che ha fatto acquiescenza su quattro dei cinque rilievi mossi e contestati con l’atto impositivo, ha proposto ricorso in riferimento al quinto, relativo alla ripresa a tassazione della fattura dell’importo di Euro 500.000,00 relativa a spese di pubblicità sostenute dalle profumerie Douglas (attive nella distribuzione di prodotti di profumeria in Germania), anche questa ritenuta infondata dai giudici di merito;

con l’unico motivo ha censurato la sentenza per motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver erroneamente ritenuto dimostrato che il costo di Euro 500.000,00, sostenuto per una campagna pubblicitaria svolta all’estero da altra società per la diffusione e vendita di prodotti da questa commercializzati, costituisse un costo inerente alla attività della I.C.R., come tale deducibile dai ricavi.

La controricorrente, costituendosi, ha eccepito l’inammissibilità e nel merito l’infondatezza del ricorso, di cui ne ha chiesto il rigetto.

All’udienza del 26 febbraio 2018, dopo la discussione, il PG e le parti hanno concluso e la causa è stata riservata per la decisione.

E’ stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia ha lamentato la carenza del presupposto dell’inerenza per dedurre il costo sostenuto per la campagna pubblicitaria promossa in Germania dalla I.C.R. finalizzata alla diffusione di profumi ((OMISSIS)) di cui è produttrice; ciò perchè della licenza di produzione, commercializzazione e distribuzione sarebbe titolare altra società, la ITF spa, controllata dalla odierna contribuente, e i prodotti sono commercializzati in Germania da una terza società, la Pardis, società tedesca, anch’essa controllata dalla I.C.R.

La sentenza, sul rilievo ancora oggetto di contenzioso tra le parti, così motiva: “Altrettanto fondata appare alla CTR la contestazione della ripresa inerente i costi sostenuti dalla società Pardis per la diffusione di alcuni prodotti commercializzati in Germania nelle profumerie Douglas, atteso che la I.C.R. svolge attività sul mercato tedesco proprio attraverso la Pardi GmbH. Se infatti la ICR produce i profumi che, tramite la ITF, licenziataria dei marchi, sono venduti dalla Pardis, non appare irragionevole che la produttrice dei profumi possa voler fornire un contributo alla attività pubblicitaria di Pardis GmbH. In altre parole l’interesse alla diffusione di determinati prodotti sussiste sia per ITF che per ICR”.

In materia di vizio di motivazione la Corte ha affermato che la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., Sez 5, ord. n. 19547/2017; sent. n. 17477/2007).

Ebbene, nel caso che ci occupa il ragionamento del giudice regionale mostra di soppesare la vicenda, avendo ben presente i rapporti di controllo tra la contribuente e le altre due società, da essa peraltro controllate, coinvolte nella diffusione e nella vendita, attraverso la catena dei negozi Douglas (la più importante in Germania come pacificamente riconoscono le parti in causa), dei profumi che portano il nome di una nota casa di moda italiana. I dati fattuali non sono peraltro in discussione tra le parti in causa, ossia i rapporti giuridici e di controllo esistenti tra le tre società coinvolte dal (comune) interesse all’incremento delle vendite del prodotto in un mercato come quello germanico.

L’Agenzia con il ricorso pone in discussione che la contribuente sia direttamente interessata alla produzione, avanzando la ipotesi che la ICR sia una produttrice del profumo non per un proprio diritto ma per una commessa fattale dalla ITR, licenziataria e produttrice. Sennonchè omette del tutto di indicare in quale atto difensivo dei precedenti gradi di giudizio abbia prospettato e contestato il diritto alla produzione, cioè il titolo in base al quale produrrebbe il profumo; men che meno omette del tutto di riportare i passaggi delle difese dei gradi precedenti in cui tale contestazione sia stata sollevata, con ciò peccando il ricorso di autosufficienza.

A margine, ma non senza utilità nella valutazione del ricorso, il concetto di inerenza è stato ben circoscritto dalla giurisprudenza di questa Corte, affermando che in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa l’inerenza alla attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (già art. 75), va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicchè il costo o la spesa assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili (cfr. Cass., Sez. 5, ord. n. 20049 del 2017; cfr. anche Cass., Sez. 5, sent. n. 16826 del 2007, in entrambe per costi sostenuti da altre società). Sicchè il tenore della decisione dei giudici regionali, nella ricostruzione della vicendà fattuale, mostra la piena consapevolezza del valore da attribuire al concetto di inerenza, con logica inappuntabile, poichè avverte che la diffusione in Germania del prodotto non può che avere ricadute positive in termini di diffusione e vendita del prodotto, e dunque di aumento della produzione da parte della I.C.R., il che addirittura supera anche la disquisizione se la produzione stessa sia fatta perchè di essa è titolare la contribuente o ne è solo la commissionaria, non potendo negarsi che una maggiore produzione incrementi la propria attività economica. E le valutazioni del giudice di merito sono tanto più pertinenti se si considera il rapporto di controllo esistente tra la I.C.R., controllante, e le due società controllate.

A fronte di tali valutazioni, consequenziali, logiche, rigorose sul piano della rappresentazione dei dati emergenti, la motivazione è certamente sintetica ma non insufficiente.

Le diverse prospettazioni cui aspira l’Agenzia, a prescindere dalla carenza di autosufficienza di quanto sostenuto, sono volte ad una diversa ricostruzione dei fatti che implicherebbe un riesame del tutto inammissibile perchè riservato al giudice di merito ed inibito al giudice di legittimità.

in conclusione il ricorso va rigettato e all’esito del giudizio deve seguire la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia a rifondere alla controricorrente le spese di causa, che si liquidano in Euro 7.000,00 oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta civile della Corte suprema di cassazione, il 27 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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