Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30028 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 19/11/2019), n.30028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30442/2018 R.G. proposto da:

D.S., rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv.

Romina Possis del foro di Vercelli (indirizzo PEC

romina.possis.ordineavvocativercelli.eu);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC

ags.rm.imailcert.avvocaturastato.it);

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’ Appello di Milano n. 405/2018

depositata il 16/02/2018, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Corte d’appello ha respinto l’appello del ricorrente, confermando la pronuncia di prime cure;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione D.S. con atto affidato a quattro motivi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– vanno preliminarmente dichiarate inammissibili le articolazioni di tutti i motivi che, in concreto, si risolvono in censure motivazionali;

– infatti la giurisprudenza di questa Corte (e pluribus, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017) è ferma nel ritenere che, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze depositata dopo l’11 settembre 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di ” motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia;

– venendo all’esame analitico dei singoli mezzi di impugnazione, questa Corte osserva quanto segue;

– il primo motivo di impugnazione si incentra sulla violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; tal motivo può trattarsi congiuntamente, stante la stretta connessione che li avvince, con il secondo motivo, che censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e comunque per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non impugnate in secondo grado sia la statuizione del Tribunale relative all’inattendibilità del ricorrente, sia la circostanza relativa all’accertata provenienza di questi da (OMISSIS); regione di Sina Saloum, e non dalla diversa regione del Casamance;

– i motivi, fermo restando quanto illustrato riguardo al profilo delle inammissibilità delle censure motivazionali pure in essi contenute, sono comunque infondati;

– invero, sia pur ritenendo le censure in oggetto prive di specificità, la Corte territoriale ha in concreto esaminato le stesse, dando conto della soluzione adottata con ampia e chiara motivazione (pag. 10, ultimi due periodi; pag. 11 primo periodo; pag. 12 primi tre periodi);

– in diritto poi, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzitutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. La valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 27503/2018). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, mentre si deve escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito; per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie di violazione di legge (Cass. 3340/2019), come nel caso di specie avviene quanto al primo motivo. Il motivo in esame risulta così sotto questo profilo anche inammissibile, dato che, attraverso la denuncia della violazione di norme di legge relative alla valutazione sulla credibilità del richiedente la protezione internazionale, finisce per fornire una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla corte distrettuale. La constatazione dell’inverosimiglianza del racconto esimeva poi il collegio del merito dal compiere un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione di carattere pregiudizievole prospettata dal ricorrente. Il dovere del giudice di cooperazione istruttoria è infatti circoscritto alla verifica della situazione obbiettiva del paese di origine e non si estende alle individuali condizioni del soggetto richiedente. Pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018);

il terzo motivo di ricorso censura la sentenza gravata per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere, anche con motivazione carente, la Corte territoriale ritenuto insussistenti i requisiti previsti per la protezione sussidiaria atteso che dai fatti narrati dal ricorrente derivava un rischio di subire un danno grave D.Lgs. n. 251 surrichiamato, ex art. 14, lett. b);

– ferma restando l’inammissibilità già illustrata quanto alla censura motivazionale, il motivo è in ogni caso infondato;

– come si evince dalla lettura della sentenza, il giudice dell’appello con motivazione ben espressa e a seguito di accertamento di fatto non più suscettibile di sindacato alcuno ha escluso l’esistenza dei presupposti di cui alla disposizione sopra citata;

– in diritto, questa Corte ha ancora di recente ribadito (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 18306de108/07/2019) che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

– è evidente quindi che la mera situazione di grave contrasto con i parenti, peraltro non dovuta a diverse opinione religiose, come risulta in atti, non rileva ai fini di cui si è detto; d’altro canto è risultato anche accertato come i conflitti nel paese di provenienza siano da ridimensionare a livello di atti di banditismo (pag. 12 ultimo periodo, pag. 13 primo periodo);

– il quarto motivo di impugnazione denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2009, art. 5, comma 6, o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte di appello considerato priva di rilevanza la circostanza relativa al percorso di integrazione in Italia intrapreso dal richiedente;

– il motivo, inammissibile come si è detto quanto alla sua articolazione costituente censura motivazionale, è comunque infondato;

– questa Corte ha chiarito che (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17072 del 28/06/2018) non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito);

– infatti, come altrove precisato (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9304 del 03/04/2019) la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– in concreto, sul punto, la Corte ha quindi correttamente operato una valutazione personalizzata della situazione del ricorrente, esaminando anche le di lui condizioni di salute che, non risultano richiedere un intervento chirurgico urgente;

– conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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