Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30025 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 15/02/2018, dep. 21/11/2018), n.30025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24155-2012 proposto da:

F.G., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

D’AYALA VALVA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CLAUDIO TIBERTI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2011 della COMM. TRIB. REG. del VENETO

depositata il 10 agosto 2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate notificava alla società Origo sas, esercente l’attività di valorizzazione e vendita di immobili, un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003, con il quale, facendo applicazione degli studi di settore e dei dati Orni, rettificava in Euro 249.000 i ricavi provenienti dalla vendita di due unità immobiliari, determinando le maggiori imposte Irap di Euro 3.627 ed Iva di Euro 16.558, nonchè una maggiore Irpef di Euro 42.657 dovuta dai soci P.A. e F.G. a titolo di reddito da partecipazione.

Contro gli avvisi di accertamento la società ed i soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Venezia che li accoglieva con sentenza del 28 settembre 2009.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva parzialmente con sentenza del 10 agosto 2011, riducendo ad Euro 230.000 i proventi della vendita dei due immobili.

Contro la sentenza di appello la società Origo sas in persona dei due soci P. e F., ed il socio F. in proprio, (la socia P. ha definito il contenzioso personale ai fini Irpef a norma della L. n. 111 del 2011, art. 39, comma 12) propongono quattro motivi di ricorso per cassazione.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

1. Primo motivo: “Erronea applicazione dello studio di settore, illegittimità dei conseguenti maggiori ricavi e congruità dei ricavi dichiarati. Nullità del procedimento per omessa pronuncia sui fatti principali della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Il motivo è inammissibile. La C.T.R. ha ritenuto corretta l’applicazione dello studio di settore e dei dati Omi relativi alla vendita di immobili destinati ad uso ufficio sul rilievo che, prima della vendita effettuata da Origo sas nel dicembre 2003, gli stessi erano stati riclassati quali immobili adibiti ad uso ufficio. Le censure svolte in ordine alla asserita erronea applicazione dello studio di settore sono estranee al dedotto vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia, ed in ogni caso si risolvono in apprezzamenti di merito non censurabili nel giudizio di legittimità.

2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 62 bis e 62 sexies, convertito nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, art. 10, L. 8 maggio 1998, n. 146, degli artt. 2697 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 193, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, dell’art. 113 c.p.c., comma 1, nonchè dei principi generali in tema di accertamenti standardizzati mediante l’applicazione degli studi di settore, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui il giudice di appello ha attribuito rilievo determinante al mutamento della destinazione catastale dei fabbricati, intervenuta dodici giorni prima dell’atto di compravendita e nella parte in cui ha ridotto equitativamente i ricavi accertati dall’Ufficio (da Euro 249.000 ad Euro 230.000), pronunciandosi secondo equità al di fuori dei casi espressamente consentiti.

2.1 Il motivo è inammissibile nella parte in cui, anzichè la sentenza impugnata, censura direttamente l’applicazione dello strumento degli studi di settore così come effettuato nell’atto impositivo; è ugualmente inammissibile nella parte in cui sussume entro il vizio di violazione di legge censure afferenti alla motivazione della sentenza. Il motivo è invece infondato allorchè deduce la violazione dell’art. 113 c.p.c. per essersi il giudice pronunciato secondo equità al di fuori dei casi previsti dalla legge. La Commissione tributaria regionale, dopo avere confermato la fondatezza dell’atto impositivo che individuava i corrispettivi per la cessione dei due immobili in Euro 249.000 (sostanzialmente corrispondente al valore minimo desumibile dai dati OMI), ha ridotto l’importo dei corrispettivi ad Euro 230.000 valorizzando il fatto che, al momento della vendita, i due immobili risultavano locati, circostanza che notoriamente comporta una decurtazione del valore commerciale dell’immobile. Nonostante la C.T.R. affermi di avere effettuato la riduzione “equitativamente”, la motivazione concretamente svolta non denota il ricorso alla regola equitativa basata su criteri di convenienza e di comparazione degli interessi delle parti, ma è riconducibile nell’ambito della pronuncia secondo diritto, mediante la quale il giudice di appello ha rideterminato i proventi delle compravendite accertati dall’Ufficio, facendo applicazione della presunzione di riduzione del valore commerciale di un immobile che risulti locato al momento della cessione.

3. Terzo motivo: “Omessa motivazione sui fatti principali della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in riferimento alla omessa motivazione in ordine alla eccezione, contenuta nelle controdeduzioni, di errata applicazione dello studio di settore relativo agli immobili classificati ad uso ufficio.

4. Quarto motivo; “Insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione di confermare l’accertamento dei maggiori ricavi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto “la C.T.R. ha basato il proprio convincimento circa l’infedeltà dei ricavi di vendita dichiarati esclusivamente sulla stranezza riguardante la costanza di valore delle transazioni dei due immobili”.

I motivi, da esaminare congiuntamente poichè afferenti alla medesima censura di vizio della motivazione, sono infondati.

Come già rilevato nell’esame del primo motivo di ricorso, il giudice di appello ha ritenuto la fondatezza dell’avviso di accertamento sul rilievo che gli immobili ceduti erano stati riclassificati ad uso ufficio, che l’accertamento dei maggiori ricavi desunto dagli studi di settore era stato riscontrato dalla applicazione dei dati Orni, mentre i corrispettivi della vendita dichiarati dalla società erano ritenuti inverosimili anche in considerazione del fatto che, in un periodo di forte ascesa dei prezzi del mercato immobiliare, la società ricorrente risultava avere ceduto gli immobili in oggetto senza margine di profitto, applicando un prezzo di vendita sostanzialmente equivalente a quello di acquisto intervenuto un anno e mezzo prima. La motivazione è sufficiente e priva di contraddizioni, fermo restando che le valutazioni di merito non sono sindacabili in questa sede.

Spese liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese in favore della costituita Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro quattromiladuecento oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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