Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30024 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 19/11/2019), n.30024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31516/2018 R.G. proposto da:

H.R., rappresentato e difeso dall’avv. Anna De Feo, con

domicilio eletto presso il suo studio, sito in Campagna (SA), via

Gronchi, 8;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Procura Generale presso la Corte di appello di Salerno, in persona

del Procuratore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno, n. 632/2018,

depositata il 10 maggio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– H.R. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno, depositata il 10 maggio 2018, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso l’ordinanza del giudice di primo grado che aveva respinto il suo ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale territorialmente competente;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, sia della protezione umanitaria;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame interposto evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento dei diritti vantati;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– in relazione ad esso non spiega alcuna attività difensiva il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. g), art. 3, commi 3 e 5, art. 5 e art. 14, comma 1, lett. b), art. 8, commi 2 e 3 e D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. 12 gennaio 2015, n. 21, art. 6, comma 6, art. 16, Direttiva 2013/32 UE e art. 15, Direttiva 2011/95/UE, per avere la sentenza impugnata ritenuto, aderendo alle conclusioni del giudice di primo grado, che il racconto del richiedente non fosse credibile;

– con il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. e), per aver il giudice di appello negato che versasse in una posizione di perseguitato politico e, comunque che gli atti posti in essere dal governo del Bangladesh costituissero violazione dei diritti umani;

– con il terzo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, Direttiva 2013/32 UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 5 e art. 14, comma 1, lett. b), e art. 15, Direttiva 2011/95/UE, per aver la sentenza impugnata negato che sussistesse il rischio di un grave danno per gli oppositori politici del governo;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, in quanto si risolvono nella censura della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di appello, che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– il giudice di appello, infatti, ha evidenziato, da un lato, che le affermazioni rese dal richiedente non risultavano in alcun modo circostanziate, nè fornite di riscontri probatori;

– dall’altro, ha negato che il richiedente versasse in una posizione di perseguitato politico, non essendo membro del movimento politico coinvolto nelle violenze e, comunque, non essendovi persecuzioni in atto da parte del governo contro tale movimento;

– ha, quindi, coerentemente concluso per l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in mancanza del requisito del grave danno previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

– con l’ultimo motivo di ricorso la parte lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 bis, artt. 2 e 10 Cost., art. 8 CEDU, D.Lgs. n. 251 del 2005, art. 3, comma 4, art. 9, comma 2 e D.Lgs. n. 25 del 2008, 15, comma 2, e 8, per aver la corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti per la richiesta protezione umanitaria;

– il motivo è infondato;

– il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, in relazione al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (cfr. Cass. 15 maggio 2019, n. 13079; Cass., ord., 22 febbraio 2019, n. 5358);

– in tale materia la proposizione del ricorso al tribunale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794; Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27336);

– infatti, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda (così, Cass., ord., 31 giugno 2019, n. 3016);

– non emerge nè dalla sentenza che il richiedente abbia assolto ad un siffatto onere, indicando elementi utili ad apprezzare l’esistenza del menzionato presupposto della “vulnerabilità”;

– orbene, il giudice di appello, nel negare che, in presenza di una narrazione del richiedente ritenuta non credibile, ricorressero le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria in ragione della mancata allegazione delle ragioni di particolare vulnerabilità soggettiva e dei gravi ed oggettivi motivi di carattere umanitario, ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto;

– il ricorso, pertanto, va respinto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che non risulti revocato dal giudice competente l’ammissione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che non risulti revocato dal giudice competente l’ammissione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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