Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30021 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 29/12/2011), n.30021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.D. (c.f. (OMISSIS)), L.M. (c.f.

(OMISSIS)), C.A. (c.f. (OMISSIS)),

nella qualità di eredi di L.V., domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

29/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. D. e L.M., insieme con C.A., con ricorso alla Corte d’appello di Roma proponevano, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio da esse instaurato nel maggio 2002 dinanzi al Tribunale di Napoli quale giudice del lavoro per il riconoscimento della invalidità civile del loro dante causa, L.V., già deceduto nelle more del procedimento amministrativo previsto dalla legge per il relativo accertamento.

Giudizio non ancora definito alla data di deposito del ricorso nel settembre 2006.

2. La Corte d’appello, ritenuta una durata ragionevole di tre anni, liquidava a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole di un anno e quattro mesi del giudizio presupposto – tenuto conto che ad agire erano stati gli eredi del L. – la somma di Euro 1.000,00 (pari a Euro 800,00 per ogni anno di ritardo) oltre interessi legali e spese del procedimento, liquidate in Euro 500,00.

3. Avverso tale decreto, depositato il 29 aprile 2008, L. D., L.M. e C.A. hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 23 marzo 2009, formulando sedici motivi. Il Ministero intimato non ha depositato difese.

4. Il Collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

5. Con i primi nove motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, par. 1 C.E.D.U.) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la C.E.D.U. come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.).

Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa C.E.D.U. secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2 che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000,00 – 1.500,00 per anno (motivi 1, 4, 5, 6, 7), anche per gli eredi ai quali il diritto si trasmette, ex artt. 456 e 462 cod. civ. e artt. 110 e 111 c.p.c., nella stessa misura in cui sarebbe spettato al de cuius (motivi 2, 3); nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivo 8). Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c. e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo (motivo 9).

6. Con gli ulteriori sette motivi è denunciata, in relazione alla liquidazione delle spese del procedimento esposta nel provvedimento impugnato, erronea e falsa applicazione di legge (artt. 91 e 92 c.p.c., art. 6, par. 1 CEDU, normativa in tema di tariffe professionali), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Secondo l’istante, la liquidazione delle spese sarebbe illegittima perchè presumibilmente effettuata in applicazione delle tariffe per i procedimenti di volontaria giurisdizione anzichè di contenzioso ordinario, sarebbe insufficiente nonchè priva di motivazione con riguardo alla non conformità alle tariffe forensi ed agli standards europei che dovrebbero trovare nella specie applicazione. La Corte di merito avrebbe inoltre illegittimamente disatteso la nota spese depositata, omettendo peraltro di motivare al riguardo.

7. I motivi indicati nel punto 5, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi oltre che spesso ripetitivi, sono infondati.

7.1 Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la “non applicazione” della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato.

7.2 Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, posto il principio già ricordato secondo cui il giudice nazionale deve in linea di principio uniformarsi ai parametri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per i casi simili, salvo il potere di discostarsene in misura ragionevole avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, delle quali deve dar conto (Cass. S.U. n. 1340/2004), va osservato come nel caso in esame la Corte di appello abbia puntualmente evidenziato le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi – in misura peraltro contenuta – dallo standard di Euro 1.000,00 per anno. La critica esposta sul punto dai ricorrenti non coglie nel segno, perchè nel caso in esame non è in discussione la successione degli eredi nella qualità di parte e quindi in un diritto maturato in favore del loro dante causa (che non è stato mai parte del giudizio presupposto, instaurato dagli odierni ricorrenti), bensì il minore coinvolgimento emotivo che presumibilmente essi hanno vissuto rispetto a quello che avrebbe avuto il protagonista della vicenda, secondo la valutazione non illogica espressa dalla Corte di merito. La quale ha dunque validamente esercitato la sua discrezionalità, esponendo congruamente criteri senz’altro ammissibili (sui quali peraltro il ricorso non espone alcuna censura specifica), la cui concreta incidenza nel caso in esame costituisce peraltro oggetto di apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità.

7.3 Quanto al diniego di una somma forfetaria di Euro 2.000,00 (c. d.

bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respingersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore di quello che si verifica nella generalità dei casi, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Sì che, quando il giudice del merito non riconosce tale ulteriore indennizzo forfetario, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetterebbe ratione materiae ed era stato richiesto – tanto meno, nella specie, che la decisione negativa non sarebbe motivata -, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni – e se del caso alle prove – addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

8. Anche i motivi concernenti la liquidazione delle spese del procedimento presupposto – da esaminare congiuntamente perchè strettamente connessi, oltre che spesso ripetitivi – sono privi di fondamento. Premesso che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o del principio di inderogabilità della tariffa professionale vigente (cfr. Cass. n. 4347/1999; n. 4818/2000; n. 1485/2001), e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte d’appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza necessità di tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr.

Cass. n. 23397/2008), si osserva che parte ricorrente: a) non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e ad essa spettanti (cfr. Cass. n. 21325/2005; n. 9082/2006; n. 9098/2010): tale omissione non consente al giudice di legittimità il controllo – senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti – degli error in iudicando solo astrattamente enunciati nella illustrazione dei motivi di ricorso e nella altrettanto astratta formulazione dei quesiti di diritto;

b) non ha dimostrato la presunta applicazione nel provvedimento impugnato delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione. Neppure tali motivi possono quindi trovare accoglimento.

4. Il rigetto del ricorso si impone dunque, senza provvedere sulle spese di questo giudizio di legittimità non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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