Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30021 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 19/11/2019), n.30021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30076/2018 R.G. proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avv. Luca Froldi, con

domicilio eletto presso il suo studio, sito in Macerata, via

Morbiducci, 21;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, n. 259/2018,

depositata il 28 febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– A.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, depositata il 28 febbraio 2018, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso l’ordinanza del giudice di primo grado che aveva respinto il suo ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di (OMISSIS), sezione di Ancona;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento sia della protezione sussidiaria, sia, in via subordinata, della protezione umanitaria, allegando di aver abbandonato il paese di origine per trovare un’occupazione lavorativa soddisfacente, nonchè per sfuggire alle aggressioni e alle percosse di cui era stato vittima, poste in essere da parte di un gruppo di persone, verosimilmente di ispirazione talebana, a seguito del rifiuto dell’offerta di lavorare con loro;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame interposto evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento dei diritti vantati;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– in relazione ad esso non spiega alcuna attività difensiva il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, per aver la Corte di appello basato la sua decisione unicamente sui soli verbali di audizione del ricorrente presso la Commissione territoriale, omettendo di verificarne la veridicità mediante una sua audizione, di porlo nella condizione di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni e di attivare i poteri di cooperazione istruttoria;

– il motivo è infondato;

– la Corte di appello ha espressamente condiviso quanto il giudice di primo grado – “all’esito di una puntuale valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione caratterizzante del suo paese di origine” – ha evidenziato in ordine alla mancanza di dettagli specifici che possono rendere credibile l’esistenza di una “fattispecie persecutoria” nei confronti del richiedente, nonchè all’inidoneità della documentazione da quest’ultimo prodotta a fornirne un valido riscontro, e, in generale, al carattere estremamente generico e vago delle allegazioni del richiedente medesimo;

– ha, quindi, confermato la valutazione di non credibilità del racconto, anche con riferimento all’episodio di violenza dedotto, in relazione al quale non risultano elementi precisi di conferma;

– ha, infine, osservato che il richiedente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla domanda, non avendo fornito, in tale sede, ogni indicazione utile in ordine ai fatti specifici;

– ha, in ogni caso, escluso che fosse possibile riscontrare in capo richiedente un grave pericolo per l’incolumità personale in ipotesi di rientro, in ragione della insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata di conflitto armato nel luogo di origine, per cui difettava il rischio di un diretto coinvolgimento individuale in assenza di pericolo;

– così argomentando la decisione della Corte territoriale si sottrae alla censura prospettata, in quanto, da un lato, l’autorità giudiziaria investita del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale non è obbligata a procedere al rinnovo dell’audizione del richiedente già resa dinanzi alla commissione territoriale qualora, come nel caso in esame, la domanda sia ritenuta manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo svoltosi avanti alla Commissione, oltre che dagli atti del giudizio trattato dinanzi all’autorità giudiziaria medesima (cfr. Corte Giust. 26 luglio 2017, Moussa Sacko; tra la giurisprudenza domestica, vedi Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973);

– dall’altro lato, in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 cit. D.Lgs.;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per aver la sentenza impugnata ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente fosse riconducibile a una questione privata, priva di rilevanza ai fini della richiesta di protezione internazionale, omettendo di prendere in considerazione il contesto di generale degrado e violenza che non consente il ricorso alla protezione delle autorità locali;

– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella censura della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di appello, in ordine al fatto che la situazione di conflitto e di violenza generalizzata che interessava lo stato del Pakistan, emergente dalle fonti ufficiali esaminate, non si estenderebbe alla regione di provenienza del richiedente (città di (OMISSIS));

– una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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