Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3002 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. II, 10/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 10/02/2010), n.3002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato TIRONE

MASSIMO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M.A. (OMISSIS), P.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE

RAFFAELLO SANZIO 5, presso lo studio dell’avvocato MILANI DANIELE,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARINELLI GIUSEPPE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 109/2004 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 28/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

12/11/2009 dal Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo;

udito l’Avvocato TIRONE Massimo, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MILANI Daniele, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MARINELLI Giuseppe, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G. con atto di citazione notificato il 4.6.1992 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Isernia i coniugi D.M.A. e P.G. e, premesso di essere proprietario di un appartamento al primo piano del fabbricato sito in (OMISSIS) sovrastante ai locali terranei di proprieta’ dei convenuti, assumeva che costoro intendevano destinare tali immobili ad attivita’ di panificazione, con pasticceria e vendita dei relativi prodotti, in violazione dell’art. 7 del regolamento condominiale predisposto dall’impresa venditrice che faceva divieto di destinare i locali terranei che avessero comunicazione con l’interno dell’edificio, tra l’altro, a “deposito e per confezioni di merci e manufatti”.

L’attore chiedeva percio’ riconoscersi e dichiararsi l’illegittimita’ della destinazione di quei locali ad attivita’ di panificazione, pasticceria e vendita.

I convenuti costituendosi in giudizio chiedevano il rigetto della domanda attrice, osservando che essi avevano acquistato i locali in oggetto senza vincolo, posto che il regolamento condominiale era intervenuto solo in epoca successiva; aggiungevano che prima della proposizione della domanda l’accesso del locale all’atrio era stato eliminato. Il Tribunale adito rigettava la domanda attrice, rilevando che i convenuti, ottenuta dal Comune l’autorizzazione al cambio di destinazione nonche’ le altre autorizzazioni necessarie fin dal maggio 1992, avevano chiuso il passaggio tra i predetti locali e le parti comuni condominiali in epoca anteriore all’introduzione della presente controversia.

Proposto gravame da parte del B. cui resistevano il D. M. e la P. la Corte di Appello di Campobasso con sentenza del 28.4.2004 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza il B. ha proposto un ricorso basato su due motivi cui il D.M. e la P. hanno resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il B., deducendo violazione degli artt. 1138 – 1321 e 1322 c.c. nonche’ omessa o insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso che il regolamento condominiale approvato il (OMISSIS) potesse avere efficacia nei confronti dei coniugi M. e P. in quanto costoro non l’avevano accettato all’atto di acquisto del loro appartamento in data (OMISSIS); in tal modo non era stato considerato che un regolamento di condominio anche se non redatto dall’originario unico proprietario dell’edificio prima delle vendite delle singole unita’ immobiliari, puo’ assumere natura contrattuale quando la sua redazione ed approvazione intervenga da parte di tutti i proprietari delle diverse porzioni del fabbricato condominiale con un atto negoziale, come in effetti era accaduto nella fattispecie, laddove per effetto della sottoscrizione dell’atto notarile di deposito da parte di tutti i condomini, ivi comprese le controparti, anche costoro erano tenuti a rispettare i divieti di uso delle proprieta’ esclusive contenuti nell’art. 7 del regolamento.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1322 – 1325 e 1367 c.c. nonche’ insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che nel regolamento contrattuale suddetto non era stata espressamente vietata l’attivita’ di forno e di panificazione, e che la previsione di divieto di uso di locali per deposito o per confezioni di merci e manufatti costituiva una dizione assai generica ed indeterminata. Il B. sostiene che in realta’ il divieto di destinazione previsto in una clausola di regolamento contrattuale non puo’ ritenersi indeterminato allorche’ esso sia riferito, per l’espressione usata nel regolamento, ad attivita’ molteplici ma comunque chiaramente desumibili dalla clausola contrattuale; inoltre la Corte territoriale non ha chiarito in modo esauriente le ragioni per le quali ha ritenuto che l’attivita’ di panificazione e forno non fosse compresa nella dizione “locali per deposito o per confezioni di merci e manufatti”, cosi’ disattendendo tra l’altro l’applicazione del principio ermeneutico di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. secondo cui la interpretazione della volonta’ negoziale deve essere effettuata nel senso piu’ favorevole alla validita’ del contratto, piuttosto che in quella della sua invalidita’; invero i termini “merci” e “manufatti” nella lingua italiana hanno un significato preciso, cosi’ come e’ inequivocabile la portata di parole come “deposito” e “confezioni” che nell’art. 7 del regolamento suddetto individuano le operazioni vietate nella proprieta’ esclusiva dei condomini.

Sotto ulteriore profilo il ricorrente rileva che, contrariamente all’assunto della sentenza impugnata, il divieto suddetto, lungi dal precludere – se interpretato come propugnato dall’esponente – ogni attivita’ commerciale o artigianale, consentirebbe comunque lo svolgimento di svariate attivita’ che prescindono dalla confezione e dal deposito di merci e manufatti (quali attivita’ artigianali di servizio alle persone, attivita’ di prestazione di servizi, attivita’ professionali o di lavoro autonomo). Infine il ricorrente sostiene l’infondatezza del rilievo del giudice di appello secondo cui il divieto di qualsiasi attivita’ commerciale o artigianale comporterebbe una compressione eccessiva del godimento della proprieta’ individuale, posto che nell’ambito dell’autonomia contrattuale riconosciuta dall’art. 1322 c.c. ogni proprietario puo’ accettare validamente limiti all’uso del bene, qualora tali limiti consentano comunque qualche forma di godimento diversa da quella vietata.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate. Sotto un primo profilo non puo’ condividersi l’affermazione del giudice di appello secondo cui il regolamento condominiale “de quo”, approvato in data (OMISSIS), ovvero in epoca successiva all’atto di acquisto di una unita’ immobiliare compresa nell’edificio condominiale da parte del D. M. e della P., non poteva avere efficacia nei confronti di costoro; invero, premesso come fatto non contestato che l’atto notarile di deposito del suddetto regolamento e’ stato sottoscritto da tutti i condomini, compreso gli attuali controricorrenti, ne consegue che la sua natura contrattuale comporta la sua operativita’ anche nei loro confronti. Nondimeno la sentenza impugnata si fonda su una autonoma “ratio decidendi” – ovvero l’interpretazione del regolamento in questione – frutto di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede.

Invero la Corte territoriale ha ritenuto che la previsione di divieto per “locali per deposito o per confezioni di merci e manufatti” si configurava come una dizione assai generica ed indeterminata contrastante con il principio della elencazione delle attivita’ vietate – non essendo ivi espressamente inibita l’attivita’ di forno e panificazione – e con quello della chiarezza del divieto; invero tale dizione finiva con il vietare qualsiasi attivita’ commerciale o artigianale, comportando una compressione eccessiva del godimento della proprieta’ individuale, ammissibile solo se espressamente e chiaramente disposta e se univocamente accettata.

Il giudice di appello alla luce di tali principi ha ritenuto la illegittimita’ della suddetta espressione perche’ troppo generica e quindi non applicabile nella fattispecie.

Orbene il convincimento della Corte territoriale in ordine alla non previsione nell’art. 7 del regolamento condominiale di un divieto riguardante l’attivita’ di panificazione alla luce dell’indagine ermeneutica operata e’ frutto di un accertamento di fatto sorretto da logica e sufficiente motivazione, ed e’ inoltre conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui i divieti e le limitazioni al godimento delle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva spettanti ai singoli condomini contenuti in un regolamento avente natura contrattuale devono risultare da una volonta’ chiaramente ed espressamente manifestata (Cass. 3.7.2003 n. 10523;

Cass. 7.1.2004 n. 23), o, comunque, desumibile in modo non equivoco dall’atto stesso (Cass. 13.2.1995 n. 1560); in tale contesto e’ stato affermato che i divieti e le limitazioni suddette possono essere formulate nel regolamento sia mediante la elencazione delle attivita’ vietate, sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (Cass. 13.2.1995 n. 1560); ed e’ evidente che nella fattispecie non ricorre nessuna di tali ipotesi, rilievo decisivo aldila’ della questione relativa ai concreti limiti di applicabilita’ della clausola in esame. In tale contesto i profili di censura sollevati dal ricorrente, tendenti per un verso a ricomprendere sotto l’aspetto letterale il divieto di panificazione nell’ambito dell’art. 7 del regolamento condominiale, per altro verso a richiamare l’applicazione del principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. sono irrilevanti, in quanto inidonei a scalfire l’orientamento giurisprudenziale sopra enunciato in ordine ai ristretti e precisi limiti entro i quali e’ possibile ritenere legittimi i divieti contenuti in un regolamento contrattuale riguardanti le restrizioni alle facolta’ inerenti alle proprieta’ esclusive dei singoli condomini; al riguardo l’assunto del ricorrente – secondo cui non puo’ ritenersi nulla la clausola di un regolamento contrattuale che preveda un divieto di destinazione riferito ad attivita’ molteplici ma comunque chiaramente desumibili dalla clausola contrattuale stessa – trascura di considerare che i divieti in questione, proprio per le compressioni che comportano al libero esercizio dei poteri e delle facolta’ spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprieta’, devono essere sanciti in modo non equivoco cosi’ da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni, ipotesi esclusa nella fattispecie alla luce dell’indagine ermeneutica svolta dalla Corte territoriale.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla natura controversa della questione trattata, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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