Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30011 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 19/11/2019), n.30011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

su ricorso 20120/2018 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in Fermo, al Piazzale

Michelangelo n. 3, presso lo studio dell’avvocato Pierluigi

Spadavecchia, che lo rappresenta e difende in forza di procura

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Ancona;

– intimato –

avverso la sentenza n. 107/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2019 da SCORDAMAGLIA IRENE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 12 gennaio 2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 4 agosto 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da S.F., dichiaratosi cittadino nigeriano proveniente dalla regione di (OMISSIS), contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, quantomeno sub specie di protezione umanitaria.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha addotto che il timore, allegato dall’appellante, di essere ucciso, in caso di rimpatrio, dai membri della comunità pagana dell’oracolo, cui egli, cristiano, si era rifiutato di aderire, prendendo il posto del padre defunto nella funzione di officiante, era stato affidato a dichiarazioni del tutto inattendibili – giudicate tali anche dalla Commissione territoriale e dal Tribunale – in quanto caratterizzate da vaghezza, contraddittorietà e inverosimiglianza su aspetti fondamentali della vicenda narrata: primo fra tutti la sua stessa identità personale e, a seguire, i caratteri del culto dell’oracolo – ignorati dal richiedente la protezione – e l’aporia, non sciolta, circa la perdurante permanenza della madre in Nigeria a dispetto del pericolo cui quella pure si trovava esposta per effetto del comportamento del figlio, da lei appoggiato.

2. Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi, che denunciano:

I. Il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7, 8 e art. 14, lett. c) per non avere la Corte territoriale esercitato i propri poteri di integrazione probatoria officiosa rispetto ai fatti allegati dal richiedente relativi al rischio di venire ucciso dagli appartenenti alle comunità che professano il culto dell’oracolo e che imperversano nei villaggi nigeriani e al pericolo di rimanere esposto, a motivo del suo professato cristianesimo, alla violenza degli accoliti ai gruppi estremisti di etnia (OMISSIS) e riconducibili a (OMISSIS): donde il racconto, giudicato come scarno, confuso ed evasivo su circostanze fondamentali, avrebbe dovuto essere corroborato dagli approfondimenti probatori disposti dai giudici di merito;

II. Il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c. e il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, comma 6, e 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi, al pari del Tribunale, sulla richiesta di protezione umanitaria: tanto ancorchè ne sussistessero i presupposti, versando l’impugnante in una situazione di estrema vulnerabilità, avendo perduto i contatti con la famiglia di origine e non potendo disporre in Nigeria di alcuna fonte di sostentamento a cagione della grave situazione di crisi economica ivi esistente.

3. L’intimato Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. La censura di cui al primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.

1.1. Vero è che, in tema di protezione internazionale sussidiaria – quale quella invocata dal ricorrente – vige la regu/a iuris secondo cui l’Autorità decidente ha l’obbligo di esperire un approfondimento istruttorio officioso, allorchè il richiedente, pur in maniera deficitaria, descriva una situazione di rischio per la sua vita o per la sua incolumità fisica, derivante da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali (Sez. 6 – 1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949 – 01), tuttavia nel caso censito l’indicazione direttiva evocata è priva di rilievo, risultando decisivi i passaggi motivazionali sviluppati nella sentenza impugnata circa l’assenza di un effettivo collegamento tra il culto dell’oracolo e la situazione personale del richiedente, il quale, sebbene avesse dichiarato che il padre e il nonno avevano rivestito funzioni apicali in seno alla comunità dedita al detto culto nel villaggio, si era mostrato del tutto disinformato in ordine alle caratteristiche di esso. La valutazione negativa svolta dal giudice del merito in ordine alla credibilità del richiedente, che, in quanto apprezzamento di fatto, si sarebbe dovuta specificamente censurare ai sensi dell’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5 (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549), esclude, infatti, la necessità dell’approfondimento istruttorio richiesto.

1.2. Le ulteriori doglianze, che si riferiscono al rischio, temuto dal ricorrente, di vedere esposta la propria vita alla violenza indiscriminata esercitata dagli aderenti al gruppo degli (OMISSIS) e dei (OMISSIS) nei confronti della popolazione civile di religione cristiana deducono questione della quale non si fa cenno nel provvedimento impugnato. Ne viene che le stesse non sono esaminabili in questa sede, non avendo il ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso – adempiuto all’onere di indicare elementi e riferimenti atti ad individuare la devoluzione della menzionata questione al giudice di appello.

2. Del pari inammissibile è il secondo motivo.

L’omessa risposta alla censura di gravame sulla invocata protezione umanitaria non è tale da viziare la sentenza impugnata, poichè la situazione di estrema vulnerabilità, allegata a fondamento del rilascio della misura di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, risulta da circostanze contrassegnate da palese genericità: la perdita di contatti con la famiglia di origine e l’impossibilità di trovare nel Paese di origine fonti di sostentamento a cagione della grave situazione di crisi economica ivi esistente.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto a titolo di spese l’intimato non essendosi costituito in giudizio. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla è dovuto a titolo di spese. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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