Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30002 del 13/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30002 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 19533-2015 proposto da:
MARIANI MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE C O.
ERITREA 9, presso lo studio dell’avvocato GERARDO PICICHE’,
che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GRAZIA
DAVOLI, ATTILIO CUCARI;
– ricorrente contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del legale rappresentante, in proprio e quale
procuratore speciale della SOCIETÀ’ DI GARTOLARIZZAZIONE
DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.P.A., elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

Data pubblicazione: 13/12/2017

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,
EMANUELE DE ROSE;

– controrkorrente avverso la sentenza n. 27/2015 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, emessa il 13/1/2015;

partecipata dell’8/11/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA
NIAROTTA.
Rilevato che:
– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano accoglieva
parzialmente l’appello proposto nei confronti della pronuncia di prime
cure che, previa riunione, aveva respinto il ricorso in opposizione a 2
diversi ruoli esattoriali formati dall’I.N.P.S. (e comunicati con altrettante
cartelle esattoriali) e dichiarato pertanto che Marco Mariani, in quanto
titolare della ditta individuale Manifattura Comatex fino al dicembre
1999 e dal gennaio 2000 socio accomandatario della Manifattura
Comatex di Mariani Marco & C. s.a.s., fosse obbligato a versare i
contributi tenuto conto della natura commerciale e non industriale
dell’attività svolta, come tale comportante l’obbligo dell’iscrizione della
Gestione Commercianti. La Corte territoriale riteneva che il giudizio di
opposizione ad una cartella esattoriale (o il ricorso in sede
amministrativa) non impedisse all’I.N.P.S. l’iscrizione a ruolo di altri
crediti ai sensi dell’art. 24, co. 3, del d.lgs. n. 46/1999 che riconnette
l’effetto impeditivo all’impugnazione dell’accertamento. Quanto alla
natura dell’attività svolta, la Corte di merito ha ritenuto corretta la
valutazione di essa quale attività rientrante nel settore terziario e non
industriale; non potendo essere considerata quale attività di produzione
manifatturiera, come preteso dall’appellante, posto che tutta la

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

lavorazione produttiva, dal materiale grezzo al prodotto finito, non
veniva effettuata all’interno dell’azienda Mariani bensì da aziende terze
(o anche artigiani o piccoli imprenditori esterni), così che l’attività
dell’appellante si riduceva all’acquisto di materie prime ed alla vendita di
prodotti finiti ma senza alcuna lavorazione diretta. La Corte di appello

sensi dell’art. 116 della legge n. 388/2000 sostenendo che si fosse
prodotta la fattispecie dell’omissione e non quella dell’evasione, in
quanto l’appellante, anche se a torto, aveva ritenuto che l’attività svolta
avesse natura industriale e pertanto pagato la contribuzione riferendosi a
tale settore di attività;
– avverso detta sentenza propone, in parte qua, ricorso per cassazione
Marco Mariani con tre motivi di censura, cui l’I.N.P.S. resiste con
controricorso;
– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è
stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
– non sono state depositate memorie;
– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che:
– con il primo motivo il ricorrente lamenta, la violazione e falsa
applicazione ed interpretazione dell’art. 24, co. 3, del d.lgs. n. 46/1999,
motivazione illogica e contraddittoria, per aver la Corte di merito
ritenuto che il giudizio di opposizione al ruolo (o il ricorso in sede
amministrativa) non impedisse all’I.N.P.S. l’iscrizione a ruolo di altri
crediti ai sensi dell’art. 24 cit.;
– con il secondo articolato motivo il ricorso deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 1 della 1. n. 1088/1971 come sostituito dall’art. 29
della 1. n. 160/1975 e dal comma 203 dell’art. 1 della 1. n. 662/1996 in
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accoglieva invece il motivo di appello riferito al regime delle sanzioni ai

relazione all’art. 2195 cod. civ.. Deduce l’insussistenza dell’obbligo di
iscrizione al settore terziario perché l’attività svolta non sarebbe
riconducibile al settore commercio quale definito dall’art. 2195 cod. civ.
né ad alcuna altra dell’attività indicate come del terziario dall’art. 1 della 1.
• n. 1088/1971 e succ. mod. ed integrazioni; rileva l’inapplicabilità dell’art.

in quanto non era stato adottato alcun atto di inquadramento da parte
dell’I.N.P.S. e comunque perché per i c.d. inquadramenti fatti in
precedenza, come era nel caso di specie, la classificazione andava
operata ai sensi dell’art. 2195 cod. civ. senza alcuna rilevanza degli atti
dell’I.N.P.S. aventi natura ricognitiva;
– con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1, co.
203, della 1. n. 662/1996 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione in relazione alla
ritenuta insussistenza del requisito della partecipazione personale al
lavoro aziendale con carattere di abitualità e di prevalenza;
– il ricorso è infondato alla stregua di Cass. 10 aprile 2017, n. 9159
resa in fattispecie del tutto analoga e relativa alle stesse parti;
– quanto al primo motivo, come è stato precisato, il potere di
iscrivere a ruolo un credito, in pendenza di un giudizio di opposizione
ad altro precedente ruolo, va riconosciuto all’I.N.P.S. non essendo
impedito dall’art. 24, co. 3, del d.lgs. n. 46/1999 il quale prevede che “se
l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudkiaria
l’iscrkione a ruolo è eseguita in preserka di provvedimento esecutivo de/giudice”;
– tale norma prevede e conferma l’ammissibilità dell’azione di
annullamento di un atto di accertamento (spesso contenuto in un
verbale ispettivo) in conformità ai principi generali sull’interesse ad agire
i quali ammettono un’azione di accertamento negativo contro un atto
della P.A. da cui derivano, in base al principio di legalità, indefettibili
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49, co. 1, della 1. n. 88/1989 in materia di ‘classificazione delle aziende’,

conseguenze sanzionatorie. Si tratta inoltre di una disposizione che
agevola, attraverso un unico preliminare accertamento giurisdizionale, la
risoluzione di una serie di controversie distinte che potrebbero derivare
dallo stesso atto di accertamento in tempi e con soggetti pubblici diversi
(ad es. I.N.P.S., I.N.A.I.L., D.T.L.) in applicazione del principio di

dei processi, con rischio di esiti contraddittori;
– dal tenore della norma si deduce, inoltre, che in caso di
proposizione dell’azione di accertamento negativo delle pretese
contributive iscrivibili in- ruoli, si determina una stasi nel procedimento
amministrativo di formazione del ruolo, ovvero una temporanea carenza
del potere-dovere della p.a. di agire in via esecutiva. Infatti in pendenza
del ricorso in prevenzione contro l’accertamento, l’iscrizione a ruolo non
potrà essere eseguita ed occorrerà attendere un provvedimento esecutivo
del giudice (che convalidi in tutto o in parte la pretesa previdenziale di
cui all’atto impugnato) ed in conformità allo stesso;
– coerentemente, l’art. 25 del d.lgs. n. 46/99 collega il decorso dei
termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo all’avvenuta pronuncia di un
provvedimento giurisdizionale definitivo (“i contributi o premi dovuti agli
enti pubblici prevideniali.. in io’ rza di accertamenti Jjettuati dagli irffici.. .sottoposti
a gravame giudkiatio…sono iscritti in ruoli resi esecutivi a pena di decaden.za…
entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello- in cui il provvedimento è divenuto
definitivo”);

il potere di iscrizione a ruolo non subisce invee alcuna

interdizione quando è stato impugnato in giudizio un autonomo credito
iscritto a ruolo e portato a conoscenza della parte debitrice, in quanto la
legge riferisce il divieto di proseguire nell’azione esecutiva soltanto
all’impugnazione dell’accertamento che sta a monte e non già dell’atto
esecutivo che sta a valle; e ciò anche nell’ipotesi in cui, come avviene nel
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economia dei mezzi giuridici, ed anche allo . scopo di evitare il proliferare

caso di specie, sia stato già impugnato un ruolo che si fondi sulle
medesime premesse di fatto e diritto di quelli successivamente formati;
– nulla perciò impedisce che in pendenza di un’opposizione a ruolo
esattoriale se ne emetta un altro; salvo ovviamente l’effetto preclusivo
vincolante derivante dalla formazione del giudicato su uno dei giudizi di

diritto;
– quanto alla censura di cui al secondo motivo, se ne rileva
innanzitutto l’inammissibilità nella parte in cui si deduce per la prima
volta in Cassazione la questione della corretta classificazione
dell’impresa in relazione all’adozione o meno di un atto di
inquadramento – dell’I.N.P.S., ai sensi della legge 88/1989, la quale
questione implica accertamenti di fatto che non risultano mai discussi
prima nel giudizio di merito.
– in secondo luogo la questione non può essere esaustiva ai fini della
decisione della causa sotto il profilo giuridico, posto che la normativa
citata attiene alla classificazione dell’impresa essenzialmente ai fini
dell’entità dell’obbligazione contributiva gravante sull’impresa quale
datrice di lavoro per i contributi da versare ,per i propri dipendenti e
collaboratori. Nel caso in esame, invece, si discute dell’identificazione
della gestione contributiva presso cui è tenuto ad iscriversi il lavoratore
autonomo o il socio di società di persone sulla base del lavoro da esso
svolto all’interno dell’impresa; accertamento da effettuare alla luce di
differenti presupposti normativi;
– infine pure infondata è la tesi secondo cui l’attività esercitata non
sarebbe riconducibile a quale commerciale quale definita dall’art. 2195
cod. civ. né ad alcuna della attività indicate come del terziario dall’art. 1 1.
n. 1088/1971 e succ. mod. e integrazioni, talché la Corte di merito
avrebbe finito per estendere l’obbligo assicurativo e contributivo presso
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opposizione a ruolo fondato sulle medesime premesse di fatto e di

la Gestione Commercianti a fattispecie estranea alla previsione
normativa disciplinante tale obbligo;
– si tratta di una censura che denuncia in maniera generica e
meramente contrappositiva un vizio di interpretazione di parametri
normativi a carattere generale, senza però una specifica denuncia di quali

di merito; limitandosi esclusivamente ad affermare che, a giudizio della
stessa parte ricorrente, l’attività esercitata (di acquisto e vendita di filati
lavorati da terzi) non potrebbe essere ricondotta al commercio perché
non costituirebbe attività commerciale, bensì altro. Sicché anche sotto
questo profilo la violazione della legge non è stata correttamente dedotta
e la sentenza impugnata non efficacemente censurata;
– neppure è ipotizzabile alcun vizio di sussunzione il quale implica il
rispetto dei fatti accertati dai giudici di merito, non solo perché
l’operazione qualificatoria operata dai giudici di merito appare
comunque rispettosa dei parametri normativi rilevanti ai fini della
soluzione della questione (artt. 2195 cod. civ. e art. 11. n. 1937/60 come
sostituito dall’art. 29 1 n. 160/1975 ed art. 1, co. 203, 1. n. 1662/1996);
ma anche perché come si è detto parte. ricorrente in alcun modo
specifica per quali motivi quanto accertato e ritenuto dai giudici di
merito non sarebbe sussumibile all’interno, della attività commerciale,
limitandosi a prospettare una generica rivisitazione del giudizio di merito
evidentemente non consentita in questa sede;
– quanto infine al terzo motivo e l’autonoma censura relativa alla
valutazione delle circostanze di fatto in base alle quali andrebbe operata
la classificazione dell’attività dell’impresa (come manifatturiera o
commerciale), per i riflessi che pure potrebbe avere sull’oggetto della
pretesa proveniente dell’I.N.P.S., la stessa doglianza investe di per sé il
merito della causa e come tale non è conforme al paradigma del nuovo
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siano gli elementi definitori della fattispecie trascurati o violati dai giudici

art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. in seguito alla modifica apportata
dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 a termini
della quale l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione
della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo
quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi

inidonee a rivelare la ratio decidendi (Cass., sez. un., n. 8053/2014, n.
8054/2014);
– pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso
va rigettato;
– la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
– va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 q/tater, d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, della 1. n.
228/2012;

P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in
favore dell’I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori- come per legge e rimborso forfetario in
misura del 15%. •
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti . per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, l’8 novembre 2017

di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni

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