Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30001 del 13/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30001 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 16112-2015 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. (97103880585), in persona del legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, L. G.
FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO
MARESCA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
MIRAB ELLA sAuvAToRE;

– intimato avverso la sentenza n. 9069/2014 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 19/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’8/11/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA
LUZOITA.

C

Data pubblicazione: 13/12/2017

Rilevato che;
– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli, in
accoglimento del gravame proposto da Salvatore Mirabella nei
confronti di Poste Italiane S.p.A., in riforma della pronuncia del locale
Tribunale, condannava detta società a pagare al Mirabella, con

865,24 a titolo di indennità di ‘agente unico’ introdotta con accordo
sindacale del 12/9/96 (prevedente la corresponsione di lire 6.500
giornaliere, importo aumentato a lire 7.500 giornaliere con l’accordo
del 22/12/1997), indennità intesa a compensare le mansioni di ritiro e
consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista e non
più pagata dopo la fine del 1997 pur persistendone i presupposti.
Disattendeva la Corte territoriale la tesi della datrice di lavoro secondo
cui gli accordi collettivi intervenuti dopo quelli del 12/9/1996 e del
22/12/1997 avrebbero modificato il regime lavorativo precedente
comportando la soppressione dell’indennità de qua. Riteneva, infatti,
che, anche a seguito degli accordi del 27/7/2010 e del 7/10/2010, tale
indennità fosse ancora dovuta in caso di permanente espletamento
delle mansioni di ‘agente unico’. Nello specifico rilevava che il
Mirabella aveva continuato a svolgere le medesime mansioni svolte in
precedenza vale a dire le attività di autista e messaggere senza che fosse
intervenuta arcuna modifica dell’organizzazione del lavoro.
Per la cassaZione di tale sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. con
cinque motivi;
– il lavoratore è rimasto solo intimato;
– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è
stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
– la società ricorrente ha depositato memoria;
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riferimento al periodo dal 2/1/2011 al 31/12/2011, la somma di euro

- il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato che:
– la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. con
riguardo alla omessa pronuncia sulla preliminare eccezione di difetto di .
allegazione dei fatti costitutivi della domanda (primo motivo), degli

accordi del 27/7/2010 e del 6/10/2010 già in vigore al momento della
domanda giudiziale che però era stata fondata solo sugli accordi del
1996/1997, non su quelli successivi (secondo motivo), degli artt. 2697
cod. civ. e 414, nn. 4 e 5, e 416, co. 3, cod. proc. civ. ed ancora dell’art.
2697 cod. civ. con riguardo alla ritenuta fondatezza della domanda in
punto di prova delle mansioni svolte dal lavoratore che non aveva
fornito in ricorso precisa indicazione dei fatti da dimostrare (terzo e
quarto motivo), degli artt. 1362 e ss. cod. civ., in relazione all’Accordo
nazionale del 6/10/2010 ed al successivo verbale di incontro
dell’11/1/2011 con riguardo alla ritenuta insussistenza di ogni effetto
abrogativo rispetto alla fonte negoziale precedente (quinto motivo);
– il primo motivo è infondato,
– la decisione da parte della Corte territoriale sull’eccezione di difetto
di allegazione dei fatti costitutivi della originaria domanda del Mirabella
è implicita nell’esame del merito di tale domanda;
– il secondo motivo è infondato;
come si- evince tanto dalla sentenza impugnata quanto dal ricorso
per cassazione la questione degli accordi del 2010 e del 2011 era stata sin
dal giudizio di primo grado posta dalla stessa società resistente che
aveva sostenuto, con tesi condivisa dal Tribunale, che proprio tali
accordi avessero modificato il regime precedente, abrogando l’indennità

de qua; di contro, la tesi del lavoratore era stata basata sul permanere del
diritto’ a beneficiare dell’indennità già prevista dagli accordi sindacali del
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artt. 345 e 437 cod. proc. civ. con riguardo alla valutazione degli

1996/1997 sul presupposto dello svolgimento delle medesime mansioni
che, in sede di detti accordi, avevano giustificato l’introduzione
dell’indennità di ‘agente unico’,
anche il terzo e quarto motivo sona infondati;
– la ricorrente, pur deducendo la violazione dell’art. 2697 cod. Civ.,

regola di giudizio fondata sull’onere della prova, per avere attribuito
l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, ma si
limita a criticare l’esito della valutazione delle risultanze probatorie;
esso è quindi inammissibile come motivo in L’ire ai sensi del nn. 3 e 4
dell’art. 360 cod. proc. civ., (Cass., sez. un., n. 8053 e 8054 del 2014,
sez. un. n. 16598/2016, n. 11892 del 2016);
– per il resto il motivo si risolve in una censura inammissibile
dell’interpretazione da parte della Corte territoriale delle indicazioni
contenute in ricorso circa ‘compiti e delle responsabilità del
messaggere’ anche per il periodo, ancora oggetto di causa, successivo al
mese di gennaio 2011. Senza dire che dall’atto introduttivo del giudizio
– ritualmente riprodotto dalla società nel corpo del ricorso per
cassazione – si evince che il ricorrente aveva esplicitamente riferito di
aver continuato a svolgere le doppie mansioni di autista (guida
dell’automezzo) e messaggere (ritiro e consegna degli effetti postali), e
cioè compiti di ‘agente unico’, • in ciascuno dei turni prestati
dall’1/1/2010 al 31/12/2001, turni analiticamente indicati. Il giudizio,
poi, circa il contenuto delle mansioni e la comparazione di tali
mansioni con quelle svolte in epoca precedente alla nuova
organizzazione del lavoro è un giudizio di fatto, censurabile in questa
sede nei limiti dell’articolo 360 n. 5 cod. proc. civ. (ovvero
prospettando un fatto decisivo ed oggetto discussione tra le parti non
esaminato in sentenza). La censura impropriamente evoca la violazione
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non censura l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della

di norme di diritto e non indica il fatto materiale il cui esame sarebbe
stato omesso dal giudice del merito;
– l’ulteriore rilievo di cui al quinto motivo di ricorso è
manifestamente infondato, atteso che nutrita e costante giurisprudenza
di questa S.C. (cfr. ex multis Cass. 22 dicembre 2016, n. 26848; Cass. 18

settembre 2014, n. 20651; Cass. 22 maggio 2014, n. 11330; Cass. 13
marzo 2014, n. 5838; Cass. 22 febbraio 2013, n. 4561; id. 13 dicembre
2012, n. 4561; 22 giugno 2011, n. 17830; 19 maggio 2010, n. 17724; 15
marzo 2010, n. 6274; 14 marzo 2008, n. 20310), da cui non vi è ragione
di discostarsi, ha già statuito che l’indennità in questione remunera le
mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a
quelle di autista, sicché ha causa ‘retributiva, non esclusa dal motivo
incentivante; essa è oggetto di un obbligo contrattuale con la
conseguenza che, in assenza di concorde volontà delle parti, non può
essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove – in ipotesi – siano
mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di
lavoro neppure invocato un’eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta.
Questa Corte ha già osservato che la scadenza del termine di un
accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il
datore di lavoro dall’obbligo di retribuzione ex art. 2099 cod. civ., il cui
ammontare ben può essere determinato dal giudice di merito ex art. 36
Cost. co. 1, con riferimento all’importo già previsto dal contratto
individuale, recettivo di quello collettivo (Cass., SU, 30 maggio 2005, n.
11325);
– è del resto la stessa società che, senza contestare espressamente la
prospettazione attorea secondo la quale tale indennità sarebbe stata
prevista per compensare il maggiore aggravio della prestazione
ricollegabile all’introduzione della figura dell’agente unico, ne ha solo
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maggio 2016, n. 10288; Cass. 21 marzo 2016, n. 5571; Cass. 30

dedotto il successivo venire meno per effetto della nuova
organizzazione del lavoro (si veda pag. 14 del ricorso per cassazione);

né invero sarebbe plausibile configurare tale indennità

sganciandola da un’attività lavorativa effettivamente prestata, poiché,
come pure è stato evidenziato nei precedenti di questa Corte sopra

un’obbligazione corrispettiva in elargizione graziosa;
– ed allora va richiamato il noto principio di non riducibilità della
retribuzione (ricavato dall’art. 2103 cod. civ. e 36 Cost.), esteso alla
voce compensativa di particolari modalità di svolgimento del lavoro,
ivi compreso l’espletamento di compiti aggiuntivi (anche a tale
riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata; cfr., per
tutte, Cass. 11 maggio 2000, n. 6046); per l’effetto è stato ritenuto che
l’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo
termine l’importo dell’indennità in questione fa sì che, alla scadenza di
questo (non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo),
l’indennità medesima debba essere conservata, eventualmente nel suo
ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto
l’accordo istitutivo (cfr. anche Cass. 15 marzo 2010, n. 6274; Cass. 31
agosto 2011, n. 17937);
– nella specie la Corte territoriale ha ritenuto infondata la tesi della
società secondo cui gli accordi collettivi del 2010 e 2011 avrebbero
comportato un tale decisivo cambiamento della precedente
organizzazione del lavoro da significare una implicita ed assoluta
abrogazione delle precedenti determinazioni pattizie;
– ha, a tal fine, valorizzato la circostanza fattuale emersa
dall’espletata istruttoria secondo cui il Mirabella, anche a seguito degli
accordi indicati aveva continuato a svolgere le precedenti mansioni,

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citati, in tal modo la stessa si trasformerebbe da oggetto di

senza perciò che le pur concordate modifiche organizzative avessero
su queste il benchè minimo riflesso;
– l’ipotizzato rinnovamento dell’intero settore del recapito postale
asseritamente inferibile dal contenuto degli accordi del 2010 e del 2011
non contraddice, dunque, la decisione basata su un accertamento in

corso del 2011 le attività di autista e messaggere;
– né vale invocare i precedenti di questa Corte costituiti da Cass. 7
febbraio 2017, nn. 3183 e 3381 e da Cass. 8 febbraio 2017, n. 3474,
atteso che in tali precedenti, pur dandosi atto degli interventi delle parti
sociali intesi alla ridefinizione della figura dell’agente unico all’interno
dell’area operativa, che avrebbe fatto venir meno la ragione
dell’erogazione dell’indennità in esame, si fanno proprio salve le ipotesi
in cui per altra via rilevi,

a contrario,

il principio della irriducibilità della

retribuzione (si veda . il passaggio argomentativo delle citate Cass. nn.
3381-3381-3474/2017 laddove si esclude ogni contrasto con altre
pronunce di questa Corte basate sulla presenza certa del diritto
all’indennità invocato e sul permanere dello svolgimento delle
medesime mansioni);
– in conclusione, la proposta va condivisa ed il ricorso va rigettato;
– nulla va, disposto in ordine alle spese non avendo la parte intimata
svolto attività difensiva;
– va dato atto dell’applicabilità ‘dell’art. 13, comma 1

quater,

d.P.R. 30

maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge
24 dicembre 2012, n. 228 in quanto l’obbligo del previsto pagamento
aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto
oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per
l’impugnante, del ricorso (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

P.Q.M.
Ric. 2015 n. 16112 sez. ML – ud. 08-11-2017
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fatto secondo il quale il Mirabella ha continuato a svolgere anche nel

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso

Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2017

art. 13.

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