Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30000 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 20/12/2011, dep. 29/12/2011), n.30000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CESARE FRACASSINI 18, presso lo STUDIO VENETTONI-BAILO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PETRAROTA VITO, giusta procura

speciale per Notaio dott. FRANCESCO CAMPI di RUVO DI PUGLIA – Rep. n.

26056 del 28.4.2011;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA (c.f. (OMISSIS)) in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL CONSERVATORIO 91, presso l’avvocato CONZ ROSANNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato IACOVONE GIOVANNA, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 928/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI PASQUALE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’11.06.2002, M.M. adiva la Corte di appello di Bari e premesso che, onde attuare la rete fognatizia nella la e 2a zona industriale locale, il Comune di Ruvo di Puglia, aveva assoggettato a procedimenti di espropriazione, definito con decreto sindacale n. 24 dell’8.05.2002, e di occupazione d’urgenza (decreti nn. 154 del 28/03/1997 e n. 172 del 3.10.1997), il terreno in sua proprietà, esteso mq. 1409, che la prevista opera non era stata realizzata sul suo fondo, sicchè, stante l’illegittimità dei procedimenti, aveva chiesto il 31.05.2002, la retrocessione del suo suolo, chiedeva che fossero determinate le giuste indennità, che assumeva provvisoriamente stimate in misura incongrua.

Con sentenza del 28.09-29.10.2004, la Corte di appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, dichiarava la nullità dell’atto di citazione, per assoluta incertezza in ordine alla cosa oggetto della domanda, condannando il M. al pagamento delle spese processuali.

La Corte territoriale riteneva che il M. avesse attivato la procedura L. n. 865 del 1971, ex art. 19:

– senza specificare le ragioni per le quali aveva dedotto l’incongruità delle somme offerte dal Comune a titolo di indennità di occupazione e di espropriazione;

– premettendo che l’esproprio era da considerarsi illegittimo in quanto il suo suolo non era stato utilizzato per la realizzazione della prevista opera pubblica, tanto che aveva chiesto, il 31.05.2002, la retrocessione, rilievo incompatibile con la richiesta di determinazione dell’indennità di esproprio e nel merito estraneo all’ambito dell’attivata procedura;

– producendo a sostegno della domanda solo documentazione attestante il mancato utilizzo del bene a fini di pubblica utilità;

– limitandosi a richiedere in sede di replica l’ammissione di ctu a comprova del suo assunto, mezzo non utilizzabile a tale fine;

– non specificando nemmeno successivamente le ragioni dell’opposizione (erronea indicazione della superficie occupata? La sua destinazione di fatto? La sua destinazione urbanistica? Il suo valore di mercato? Il calcolo?), non essendo a tal fine utile il mero e generico richiamo al disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed alla normativa vigente mancando di avvalersi del termine concessogli dall’istruttore, ex art. 164 c.p.c., commi 3 e 4 comma, per precisare la domanda ed ovviare all’eccezione di nullità per indeterminatezza della domanda, sollevata dall’ente convenuto.

Avverso questa sentenza, notificata il 6.05.2005, il M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria e notificato il 7.12.2005 al Comune di Ruvo di Puglia, che ha resistito con controricorso notificato il 16.01.2006 e depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il M. denunzia:

1. “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 163 e 164 c.p.c. e alla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis.

Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Censura la declaratoria di nullità dell’atto introduttivo, correlata alla assoluta incertezza in ordine alla cosa oggetto della domanda, sostenendo:

– che la sua domanda era perfettamente e chiaramente specificata e determinata nel suo oggetto, sia sotto l’aspetto del petitum che della causa petendi, tanto che il Comune aveva potuto articolare dettagliatamente tutte le sue difese;

– che con l’ordinanza del 17.10.2002, la Corte distrettuale aveva autorizzato le parti al deposito di note ex art. 180 c.p.c. e non già al deposito di note ex art. 164 c.p.c., comma 5, per integrazione della domanda;

che irrilevante era il richiamo alla formulata istanza di retrocessione del terreno espropriato, da lui formulata ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 63 implicante solo una riserva di futura tutela.

2. “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 180, 183 e 184 c.p.c. e alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Sostiene che illegittimamente ed erroneamente gli è stato addebitato di non avere dimostrato o offerto di dimostrare il suo assunto, posto che aveva prodotto il decreto definitivo d’esproprio e chiesto l’ammissione di CTU, mezzo istruttorio necessario e indispensabile per decidere l’opposizione alla stima. Aggiunge che aveva reiteratamente chiesto la revoca dell’ordinanza del 17.10.2002, resa all’udienza ex art. 180 c.p.c., inidonea in caso di mancato deposito di note autorizzate a comportare decadenze.

I due motivi del ricorso, che essendo connessi consentono esame unitario, non sono fondati.

In materia di espropriazione per pubblica utilità, il principio per cui il giudizio di opposizione alla stima dell’indennità non si configura come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo ma introduce un ordinario giudizio sul rapporto, che non si esaurisce nel mero controllo delle determinazioni adottate in sede amministrativa ed è diretto a stabilire il “quantum” effettivamente dovuto, va coordinato con le regole proprie della domanda di cognizione ordinaria che lo introduce e che è soggetta anche ai requisiti di contenuto prescritti dall’art. 163 c.p.c., comma 3.

Nella specie dall’esame degli atti, consentito dalla natura dei denunciati vizi, emerge che in effetti nella citazione introduttiva il M. non aveva validamente assolto l’onere di determinazione dell’oggetto della domanda, imposto dal n. 3 della citata norma, avendo lo stesso omesso, come eccepito dalla controparte e puntualmente rilevato dai giudici di merito, di indicare le ragioni che a suo parere giustificavano l’esercizio della sua azione e segnatamente di illustrare ed allegare dati oggettivi, sia pure solo sintomatici, atti a concretare e confortare il suo assunto circa l’incongruità delle indennità di espropriazione e di occupazione legittima determinate in sede amministrativa; ciò anche previo confusorio richiamo alla circostanza, atta a legittimare diversa iniziativa giudiziaria, della mancata utilizzazione del suo fondo per i previsti scopi pubblici e del suo intento di ottenere la retrocessione del bene ablato. Inoltre, dai verbali del pregresso grado di merito, stilati alle udienze svoltesi dinanzi alla Corte distrettuale il 17.10.2002 ed il 16.01.2003, risulta pure che il ricorrente non aveva nemmeno provveduto a precisare la sua domanda nel termine che anche a tale specifico scopo, gli era stato espressamente concesso ai sensi dell’art. 180, comma 1, nel testo all’epoca vigente, e art. 164 c.p.c. D’altra parte la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, sicchè il suddetto mezzo di indagine officioso non può esonerare la parte dallo specificare il suo assunto e dal fornire dati significativi che giustifichino il ricorso ad esso.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente, soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il M., a rimborsare al Comune controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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