Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3 del 02/01/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 3 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

 

SENTENZA
sul ricorso 8290-2008 proposto da:
POSTE

ITALIANE

rappresentante pro

S.P.A.,

t9.12212,

in

persona

del

legale

elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato
GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
3134

contro

CAMERCHIOLI MARIA STELLA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio
dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 02/01/2013

difende, giusta delega in atti;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 276/2007 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 16/03/2007 r.g.n. 360/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MAISANO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega GENTILE
GIOVANNI;
udito l’Avvocato CONTE ANDREA per delega ENRICO
LUBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 11/10/2012 dal Consigliere Dott. GIULIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16 marzo 2007 la Corte d’Appello di Firenze ha
confermato la sentenza del Tribunale di Firenze dell’8 marzo 2004 che
aveva dichiarato che tra Poste Italiane s.p.a. e Camerchioli Maria Stella era
intervenuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal

aveva condannato la stessa società Poste Italiane al pagamento delle
retribuzioni a decorrere dal 13 febbraio 2003. La Corte territoriale ha
motivato tale decisione considerando che il contratto di lavoro in questione
era stato stipulato oltre il termine di efficacia dell’accordo sindacale che
consentiva l’apposizione del termine stesso.
Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale pronuncia
articolato su tre motivi.
Resiste con controricorso la Camerchioli.
Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Coni il primo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art.
23 della legge n. 56 del 1987, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che la corte territoriale avrebbe interpretato
arbitrariamente tale norma ritenendo che la sua previsione della possibilità
di apporre il termine a contratti di lavoro, essendo correlata ad ipotesi
eccezionali, dovrebbe essere sottoposta a limiti temporali in realtà non
previsti dalla norma.
Con secondo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art.
1362 e segg. cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 nn.
3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si lamenta l’illegittimità

3 giugno 1999 ritenendo la nullità del termine apposto a tale rapporto, ed

dell’affermazione secondo cui i successivo accordo sindacale del 18
gennaio 2001 non varrebbe a riempire il vuoto creatosi dopo la scadenza
del precedente accordo, mentre in realtà tale accordo avrebbe mero valore
valore ricognitivo.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di

n. 3 cod. proc. civ. con riferimento al riconoscimento delle retribuzioni in
assenza dell’effettiva prestazione lavorativa.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente riguardando
entrambi il termine di efficacia temporale dell’accordo integrativo che ha
autorizzato il ricorso al contratto a termine. Osserva il Collegio che la Corte
di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto
in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del
CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997,
in data successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla operatività del
CCNL del 2001), in epoca cioè in cui “era venuta meno la contrattazione
LII utorizzato ria”. Tale considerazione, in base all’indirizzo ormai
consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema
vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è
sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del
termine apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2
marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi
casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde,

diritto ed insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360,

pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento
fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20

14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo

aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n.

indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame
relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a

termine apposto al contratto de quo.
Il terzo motivo è inammissibile per inidoneità del quesito. La ricorrente
propone, infatti il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se, attesa la
natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in applicazione del principio
generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni, sia dovuta o
meno l’erogazione del trattamento retributivo pur in assenza di attività
lavorativa e se tale erogazione abbia natura retributiva o risarcitoria”.
Osserva il Collegio che il quesito in questione risulta del tutto astratto e
privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, in quanto si risolve
soltanto nella mera enunciazione astratta del principio invocato dalla
ricorrente, senza enucleare il momento e le ragioni di conflitto rispetto ad
esso del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v.
Cass. 4-1-2011 n. 80 e Cass. 29-4-2011 n. 9583, nonché, in particolare sul
medesimo quesito, Cass. 7-4-2011 n. 7955, Cass. 1-9-2011 n. 17975). Il
quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in
base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere
formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36),
dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non
pertinente. In particolare “deve comprendere l’indicazione sia della “regola
iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che
il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in
sostituzione del primo” e “la mancanza anche di una sola delle due suddette

termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del

indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339, v.
anche Cass. 20-6-2008 n. 16941). Del resto è stato anche precisato che “è
inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione
si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito
medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla

30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla
sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica
sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463). Mancando
tali elementi il quesito in esame deve ritenersi inidoneo ed il relativo
motivo inammissibile.
Il quarto motivo è infondato in quanto la valutazione delle prove ed il
giudizio sulla necessità dei mezzi istruttori è riservato al giudice di merito e
non è censurabile in sede di legittimità.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in €
50,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma 1’11 ottobre 2012.

sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U.

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