Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29998 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 31/12/2020), n.29998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2028/2019 proposto da:

Z.C., nella qualità di madre della minore P.N.,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Sestio Calvino n. 33, presso

lo studio dell’avvocato Bosco Antonino, rappresentata e difesa dagli

avvocati De Martin Giovanni Attilio, De Martin Maria Chiara, giusta

procura speciale per Notaio Dott. C.E. di (OMISSIS) –

Rep.n. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

P.N., in persona del tutore B.M.G.,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Zebio n. 19, presso lo

studio dell’avvocato Grisanti Francesco, rappresentata e difesa

dall’avvocato Taddei Martina, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/11/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Trento ha confermato la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale nei confronti di Z.C. e la dichiarazione di adottabilità della minore P.N. (n. il (OMISSIS)) nata dalla relazione con P.C., deceduto nel (OMISSIS), pronunciata con sentenza del Tribunale per i Minorenni depositata il 8/5/2018.

Nel pervenire all’anzidetta decisione, la Corte territoriale ha ricordato che i Servizi sociali si erano interessati dalla bambina sin da quando questa aveva pochi mesi di vita, su segnalazione del pediatra che aveva constatato la carenza nelle cure indispensabili e necessarie alla vita di un neonato da parte di entrambi i genitori; in un primo momento era stata disposta un’accoglienza solo diurna della piccola presso una famiglia del luogo, misura risultata non sufficiente a garantire le necessità della stessa, così che con decreto provvisorio del 19/12/2006 era stato disposto l’affidamento familiare di N.. Espletata CTU, dalla quale si evinceva la conferma della carenza nelle competenze genitoriali, unita alle problematiche caratteristiche di personalità della madre, il Tribunale con Decreto 22 maggio 2007, aveva affidato la minore ai Servizi sociali e la aveva collocata presso la famiglia individuata, invitando i genitori a seguire un percorso psicoterapeutico a sostegno della genitorialità.

Dopo un anno, il Tribunale, avendo verificato che il recupero, anche parziale, delle risorse genitoriali non vi era stato, pur registrando qualche sviluppo positivo, con Decreto 13 maggio 2008, aveva disposto la proroga dell’affido ed il prosieguo degli interventi di sostegno alla genitorialità a cura del Servizio sociale. La Corte di appello, investita del reclamo, dopo l’espletamento di altra CTU, lo aveva rigettato con Decreto 26 marzo 2009, modificando il regime delle visite genitori/figlia.

Con provvedimento del 13/5/2008 il Tribunale per i minorenni, constatato il fallimento degli interventi predisposti per attivare le risorse genitoriali di Z., che aveva rifiutato di entrare in una comunità madre-bambino, aveva confermato la sospensione della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, con conseguente nomina di un tutore, aveva disposto la regolamentazione delle visite padre/figlia, aveva sospeso gli incontri con la madre ed aveva previsto la presa in carico psicologica della minore. A seguito di tale provvedimento, gli incontri padre/figlia erano proseguiti fino al decesso di P.C., mentre l’intervento attivato per la madre non aveva dato alcun positivo sviluppo perchè la stessa a volte collaborava, a volte si mostrava oppositiva e fortemente polemica con il Servizio sociale, senza che si realizzasse una positiva risoluzione delle problematiche evidenziate all’esito della CTU. Dal (OMISSIS) la madre non aveva più incontrato N..

Nel frattempo l’affido familiare di N. aveva dato ottima prova ed era stato prorogato con provvedimento del Tribunale in data 9/4/2015; la famiglia affidataria aveva presentato domanda di adozione e la minore aveva convintamente espresso il suo desiderio di entrare a far parte a tutti gli effetti della famiglia affidataria e di essere socialmente riconosciuta in tale veste.

Tuttavia, a seguito della richiesta della madre erano ripresi gli incontri con la figlia, previa adeguata preparazione da parte dei Servizi sociali, e la procedura per l’adozione era stata interrotta. Si erano svolti due incontri in presenza, mentre all’ultimo incontro fissato per il (OMISSIS) Z. non si era presentata, nè aveva giustificato l’assenza.

Il Tribunale, sulla scorta degli ultimi sviluppi relazionali, aveva quindi pronunciato la dichiarazione di adottabilità della minore.

La Corte di appello, rammentata la complessa vicenda, ha rigettato il reclamo proposto dalla madre, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, dando atto del fallimento dei ripetuti interventi di sostegno alla genitorialità in suo favore, della discontinuità della condotta materna anche nello svolgimento degli ultimi incontri programmati con la figlia, della incapacità a creare una relazione affettiva con la stessa, inducendo invece il dolore di un rinnovato abbandono con i suoi comportamenti di ingiustificata assenza. Ha inoltre sottolineato che la madre, pur avendo dichiarato di avere compreso gli errori compiuti nel passato, era stata tuttavia estremamente vaga sul punto e non aveva fatto comprendere quali interventi avrebbero potuto sostenerla senza sottoporre la minore ad insopportabili sforzi per riprendere una relazione che avrebbe potuto essere di nuovo interrotta per i più svariati bisogni della madre. La Corte d’appello in particolare ha rimarcato che la decisione non fondava solo sulla mancata partecipazione ad un incontro – come sembrava aver ritenuto la madre -, ma sul complesso delle vicende svoltesi sin dalla tenera età della minore, sul fatto che la madre non aveva mostrata di avere nemmeno un embrione di progetto per il ricongiungimento con la figlia e che, anzi, con sincerità aveva dichiarato di ritenere impensabile la ricostituzione della famiglia originaria.

Z.C. ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi. Il tutore della minore, B.M.G., ha replicato controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. 4 maggio 1984, n. 183, artt. 1 e 8, relativo all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione dello stato di abbandono e per la conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità della minore N..

La ricorrente, richiamati i principi secondo i quali la dichiarazione di adottabilità va pronunciata solo alla stregua di un giudizio prognostico di inidoneità definitiva dei genitori ad assicurare al figlio un’adeguata assistenza, sostiene che la Corte territoriale si sarebbe appiattita sulla decisione del Tribunale ed avrebbe minimizzato i progressi compiuti dalla madre per approdare ad un pieno recupero della propria idoneità e capacità all’esercizio della responsabilità genitoriale; che l’accertamento compiuto dalla Corte di appello circa lo stato di abbandono non era stato compiuto all'”attualità” giacchè questa si era basata su CTU espletate nel 2007 e nel 2009, ignorando che l’originaria condizione di incapacità genitoriale mostrata dalla Z. era mutata perchè la stessa dal 2014 al 2016 aveva mostrato di avere acquisito consapevolezza del proprio ruolo genitoriale, attuando condotte funzionali al recupero della relazione con la figlia, attraverso un percorso di graduale riavvicinamento avvenuto su sua espressa richiesta sotto le direttive del Servizio sociale e culminato in due incontri in presenza.

La ricorrente si duole che non sia stato valorizzato l’impegno profuso negli ultimi due anni, ma sia stato dato decisivo rilievo alla defezione della ricorrente al terzo incontro ritenendolo un fatto irreversibilmente dimostrativo della inaffidabilità della stessa; lamenta che non sia stata espletata altra CTU per accertare la situazione esistente all’attualità e sostiene che il giudizio prognostico di inidoneità definitiva della madre ad assicurare alla figlia un’esistenza adeguata non sia stato adeguatamente fondato e che tale carenza non poteva essere colmata dal riferimento alle connotazioni personologiche della ricorrente, laddove dalla relazione risultava che gli incontri svolti erano stati positivi.

La ricorrente – rammentando che la figlia era in affidamento etero-familiare dal (OMISSIS) -, riferisce che dall’anno (OMISSIS) all’anno (OMISSIS) non aveva avuto rapporti con la minore e che, tuttavia, nell’estate del (OMISSIS) aveva chiesto al Servizio sociale di potersi impegnare in un percorso finalizzato ad incontrare di nuovo la figlia. Riferisce che il progetto di sostegno era iniziato nell’ottobre del 2014, era proseguito nei due anni successivi ed era culminato in due incontri in presenza il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), mentre il terzo incontro programmato per il (OMISSIS) non si era svolto per la sua assenza.

1.2. Il primo motivo è infondato.

In merito all’accertamento dello stato di abbandono, giova ricordare che, come già affermato da questa Corte, “Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione.” (Cass. n. 5580 del 04/05/2000; Cass. n. 4503 del 28/03/2002): ciò perchè “il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali.” (Cass. n. 7559 del 27/03/2018).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato corretta applicazione a detti principi, giacchè – contrariamente a quanto assume la ricorrente, che sostanzialmente sollecita un inammissibile riesame delle emergenze istruttorie – ha compiuto la valutazione di definitiva assenza di idoneità genitoriale e dello stato di abbandono della minore tenendo conto del complessivo sviluppo dei rapporti madre/figlia, tra l’altro del tutto inesistenti nel periodo (OMISSIS) e del percorso intrapreso dalla madre da tale epoca con esito non positivo per ragioni ascrivibili alla madre stessa, percorso ritenuto insufficiente a fondare un giudizio prognostico a lei favorevole, tanto più che la bambina dall’età di sei mesi era collocata in affido etero familiare.

Non è vero quindi che sia mancata una valutazione all’attualità, essendosi questa esplicata sulla scorta delle relazioni acquisite dai Servizi sociali e delle circostanze di fatto accertate in base all’istruttoria svolta.

Non è vero che la Corte territoriale abbia escluso l’idoneità genitoriale solo sulla base di valutazioni orientate sulla personalità della madre, avendo invece approfonditamente considerato come questa si sia ripercossa nel rapporto madre/figlia – atteso che tale rapporto è addirittura stato inesistente tra il (OMISSIS) – e come il tentativo di ripristinare le relazioni non sia andato a buon fine per ragioni ascrivibili proprio alla madre.

Nè rileva la diversa ricostruzione delle ultime vicende propugnata dalla ricorrente, che nega di avere avuto un comportamento inattivo e silente dopo il mancato incontro del (OMISSIS), poichè rimane una mera prospettazione non assistita da quanto accertato in fase di merito. In proposito va rimarcata l’inammissibilità del secondo motivo, volto ad inficiare tale accertamento.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

La ricorrente si duole che la Corte, avendo ritenuto decisivo il “silenzio” serbato dalla stessa, dopo l’omessa partecipazione all’incontro con la figlia in data (OMISSIS) – circostanza, a suo dire, non corrispondente a verità -, non avesse accolto la richiesta di audizione del cugino Z.I. che, come lei stessa, aveva invece contattato più volte i Servizi sociali ricevendo risposte vaghe ed attendistiche.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che l’istante non ha articolato la censura confrontandosi con la previsione della tipologia di vizio contemplata dalla norma. Infatti il ricorrente, quando denunci l’omesso esame di un fatto decisivo, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053 del 7 aprile 2014; Cass. Sez. U. n. 8054 del 7 aprile 2014; Cass. n. 13716 del 05/07/2016; Cass. n. 24830 del 20/10/2017).

Va sottolineato, per completezza, che la domanda istruttoria, su cui è incentrato il motivo, non risulta trascritta, nè è indicato quando e con che modalità (richiesta a verbale, istanza scritta depositata) sia stata proposta.

Non ne viene nemmeno illustrato lo specifico contenuto e ciò non consente di valutarne la decisività, rispetto a quanto accertato in fatto dalla Corte territoriale e posto a fondamento della decisione.

Invero, come già chiarito, la Corte trentina non ha deciso esclusivamente sulla scorta della emergenza fattuale contestata con il presente motivo (il silenzio serbato dalla madre dopo l’assenza ingiustificata dall’incontro del (OMISSIS)), ma ha analizzato tutto il lungo e travagliato sviluppo dei rapporti madre/famiglia segnato, tra l’altro, dalla collocazione della bimba, ancora neonata, presso una famiglia affidataria, da una lunga e totale interruzione degli incontri madre/figlia ((OMISSIS)), mai ripresi in maniera significativa, dall’esito non positivo dei ripetuti percorsi di sostegno alla genitorialità avviati e, all’esito di una valutazione complessiva, ha ravvisato la conclamata irrecuperabilità delle competenze genitoriali della madre.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 1984, art. 1, comma 3, laddove prescrive allo Stato ed agli enti locali di sostenere con idonei interventi i nuclei familiari a rischio al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia.

A parere della ricorrente, la Corte di appello non avrebbe considerato la circostanza che il Tribunale di Trento aveva adottato due provvedimenti contraddittori, giacchè con il primo aveva disposto la proroga dell’affidamento etero-familiare ma, durante la vigenza di questo, aveva poi invitato la Procura della Repubblica ad attivare la procedura per la dichiarazione di adottabilità, vanificando gli effetti dell’affidamento.

3.2. Il motivo è infondato.

Innanzi tutto va osservato che dalla stessa esposizione dei fatti contenuta sia in sentenza, che nel ricorso – fatti sostanzialmente non contestati, se non per la circostanza afferente al “silenzio” serbato dalla ricorrente dopo il (OMISSIS) – si evince che le attività di sostegno alla genitorialità, per consentire alla minore di instaurare rapporti con la sua genitrice ed essere allevata nella famiglia di origine, furono numerose nel corso degli anni e quasi mai ebbero una condivisa collaborazione da parte della Z., che, anzi, ebbe ad interrompere ogni rapporto con la figlia per quattro anni.

Ancora va osservato che l’attività giudiziaria svoltasi negli anni risulta coerentemente volta a perseguire l’interesse della minore ed a promuovere il percorso di sostegno e la ripresa dei rapporti madre/figlia, tanto che – come riferisce nel motivo la stessa ricorrente (fol. 18 del ricorso) l’istanza di adozione avanzata in data 18/4/2016 dagli affidatari della minore della L. n. 183 del 1984, ex art. 44, venne inizialmente rigetta, proprio prendendo atto della intenzione della madre di tornare ad essere presente nella vita della bambina; ne consegue, pertanto, che non si rileva alcuna contraddittorietà nell’invio degli atti alla Procura in data 30/12/2016, quando, cioè, il percorso intrapreso – come già detto, volto a rispristinare il rapporto madre/figlia, necessario per poter valutare le concrete possibilità di recupero delle capacità genitoriali della Z. – aveva subito una brusca interruzione, che aveva indotto nella minore un rinnovato senso abbandonico, seguito dal ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni in data 7/9 gennaio 2017 e, quindi, dal decreto in data 17/26 gennaio 2017 con il quale il Tribunale aveva dichiarato la apertura della procedura di adottabilità di N..

Per completezza, va detto che non trova alcun riscontro in atti quanto lamentato dalla ricorrente circa il fatto che le vicende giudiziali di primo grado si sarebbero verificate a sua insaputa, mentre ella proseguiva il percorso iniziato e mai interrotto due anni prima; inoltre la ricorrente non illustra se e quando tale questione sia stata sottoposta al giudice del gravame come motivo di appello.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e terzo, inammissibile il secondo.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio tra le parti costituite.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Dagli atti il processo risulta esente, sicchè non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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