Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29995 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 07/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. Meliadò Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ALCATEL LUCENT ITALIA S.P.A., (già ALCATEL ITALIA S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE, (C/O STUDIO PESSI & ASSOCIATI) che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANCA GIUSEPPE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.A.C., + ALTRI OMESSI

tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 13, presso lo studio dell’avvocato VIOLA

GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato LA PACE ANTONIO,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1786/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/01/2009 R.G.N. 1168/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato LA PACE ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 4.12.2008/7.1.2009 la Corte di appello dall’Aquila, in riforma della decisione di primo grado, condannava la società Alcatel Italia p.a. al pagamento in favore di ciascuno degli appellanti di una somma pari a sei mensilità di retribuzione, in forza di obbligazione derivante dal contratto di transazione, intervenuto tra i lavoratori e la società, all’epoca datore di lavoro. Osservava in sintesi la corte territoriale che doveva disattendersi l’assunto della società Alcatel secondo cui il pagamento, previsto dall’accordo collettivo, doveva riconoscersi solo ai dipendenti che erano passati alle dipendenze di altra azienda in conseguenza di esternalizzazione, e non a quelli che, come gli appellanti, erano rimasti al lavoro in ramo di azienda ceduto.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Alcatel Italia con otto motivi. Resistono con controricorso gli intimati. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 2 per non essere rinvenibile, nè nell’epigrafe, ne in altra parte del testo della sentenza, il nome delle parti, pari, peraltro, a 74 e non a 68.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta ancora violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) per essere la sentenza del tutto lacunosa quanto alla esposizione degli elementi di fatto.

Con il terzo motivo viene denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. ed, in particolare, per l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello a seguito del mutamento della originaria causa petendi, avendo chiesto i ricorrenti, con l’atto introduttivo del giudizio, l’erogazione del compenso in ragione dell’intervenuta cessione dell’azienda, laddove, in sede di appello, avevano prospettato, al contrario, l’inconfigurabilità stessa di tale fattispecie.

Con il quarto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione agli artt. 112, 433 e 434 c.p.c., la società ricorrente prospetta che la corte territoriale aveva fondato la sua decisione su elementi di fatto del tutto estranei alla domanda, come proposta in primo grado, acquisiti d’ufficio nel corso del giudizio e relativi a vicende (la mancata realizzazione della garanzia occupazionale per svariati dipendenti, in violazione degli obblighi assunti con l’accordo del 6.9.1997) svoltesi successivamente all’instaurazione del giudizio e del tutto estranee al suo oggetto.

Con il quinto motivo la società ricorrente, nel dedurre violazione dell’accordo collettivo nazionale del 6.9.1997, rileva che la corte territoriale, misconoscendo l’evidente carattere programmatico dell’accordo, lo aveva ritenuto idoneo ad attribuire diritti in favore dei singoli lavoratori.

Con il sesto motivo, lamentando falsa applicazione dello stesso accordo, osserva che la corte territoriale aveva equiparato situazioni ben distinte, quali le esternalizzazioni e la cessione di un ramo d’azienda, non considerando, fra l’altro, che l’attribuzione del compenso, previsto a titolo transattivo e novativo, non poteva riferirsi a quei lavoratori che transitavano, in regime di continuità, alle dipendenze dell’imprenditore acquirente.

Con il settimo e l’ottavo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione di legge ed, al riguardo, osserva che, in violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, la corte territoriale aveva ritenuto che la clausola attributiva dell’incentivo fosse di immediata applicazione, senza tener conto del testo letterale dell’accordo e del comportamento successivo delle parti.

Con l’ultimo motivo, infine, la società ricorrente evidenzia vizio di motivazione con riferimento al complesso delle censure sopra esaminate.

2. Il primo motivo, oltre che ammissibile (in quanto conforme allo schema dell’art. 366 bis c.p.c.), è anche fondato.

Per come emerge, infatti, dall’esame del provvedimento impugnato, lo stesso non contiene alcuna indicazione, nè nell’intestazione, nè nel corpo della decisione, nè nel suo dispositivo, circa le parti (ad eccezione del M.) fra le quali la sentenza è stata pronunciata, rinvenendosi solo che il processo riguarda ” M. V. + 67″. Non essendo individuabile nella decisione alcun ulteriore riferimento alle parti processuali appellanti, non pare dubbio che tale situazione è idonea a determinare una assoluta incertezza circa i destinatari della decisione, e tanto più se si considera che il numero delle parti è indicato in 68 nella sentenza, in 74 nel ricorso ed in 75 nel controricorso.

Ragion per cui va richiamato il principio, affermato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui l’omessa o inesatta indicazione del nome di alcuna delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’identità di tutte le parti; essa comporta, invece, la nullità della sentenza stessa qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile attraverso l’esame dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (v. ad es. Cass. n. 8242/2003; Cass. n. 15786/2004; Cass. n. 7343/2010).

Va, pertanto, dichiarata la nullità della sentenza impugnata, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.

La sentenza va, dunque, cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Ancona.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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