Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29994 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, n.29994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13505/2008 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CASTRENSE 7, presso lo studio dell’avvocato PORRONE DOMENICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ABENAVOLI IVANA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

– ATAC S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI ROGAZIONISTI 16 ROMA, presso lo studio

dell’avvocato CANGIANO FRANCESCA, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– TRAMBUS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 281- 283,

presso lo studio dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PROIA GIAMPIERO, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 528/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/05/2007 R.G.N. 3387/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PETRASSI MAURO per delega PROIA GIAMPIERO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello Roma, riformando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di P.M., proposta nei confronti della società Trambus e poi, in corso di causa, estesa anche nei confronti della società ATAC, di cui era stato dipendente con mansioni di conducente e da ultimo di guardiano, avente ad oggetto l’impugnativa dell’esonero intimatogli “per scarso rendimento nell’adempimento delle funzioni esercitate presso l’azienda” con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna di controparte al pagamento delle somme dovute a titolo di retribuzioni, indennità e danni anche morali.

La Corte di Appello, affermata la legittimazione passiva della società ATAC ed esclusa quella della società Trambus, riteneva legittimo l’esonero del P. disposto dalla società in quanto, innanzitutto, sotto l’aspetto procedurale, trattandosi di agente stabile, non dovevano essere osservati quelli stabilita dall’art. 3 punto 1) lett. B) dell’accordo nazionale del 26 novembre 1947, bensì le disposizioni di cui al R.D. n. 148 del 1931 allegato A) al quale il predetto art. 3 lett. b) punto 2 del richiamato accordo del 1947 rinviava non senza considerare che il citato accordo del 1946 era stato comunque dichiarato decaduto dal successivo ccnl del 23 luglio 1976.

Quanto al merito dell’esonero, la Corte territoriale ne assumeva la legittimità sul rilievo fondante secondo il quale la scarsa disciplina del dipendente, attestata nella specie per tabulas e consistita in una ripetuta inosservanza da parte del lavoratore delle prescrizioni aziendali e violazione degli obblighi comportamentali e di servizio, di cui ai 64 procedimenti disciplinari conclusisi con l’adozione di altrettante sanzioni mai impugnate giudizialmente, incideva negativamente sul normale svolgimento del servizio.

Inoltre, sottolineava la Corte capitolina, l’ipotesi di scarso rendimento poteva ritenersi integrata, nella specie, anche dall’eccessiva morbilità scaturente dalle ben 94 denuncie di malattia, che in quanto non espressione di un’unica e continuativa malattia non rientrava nel regime stabilito dagli artt. 23 e 24 del regolamento allegato a) del R.D. n. 148 del 1931, bensì in quella di scarso rendimento che poteva dar luogo all’esonero definitivo previsto dall’art. 27 lett. D) del richiamato R.D..

Dalla legittimità del provvedimento di esonero, rilevava infine la Corte di Appello, conseguiva l’infondatezza di tutte le richieste risarcitorie formulate anche con riferimento ad un preteso comportamento mobbizzante dell’ATAC che non risultava dimostrato.

Avverso questa sentenza il P. ricorre in cassazione sulla base di sette motivi.

Resistono con controricorso le società intimate i le quali tra l’altro eccepiscono l’inammissibilità dell’impugnazione ed, in particolare, l’ATAC per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Le parti depositano memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura il ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione dell’art. 3 Accordo Nazionale del 26 novembre 1947 e art. 12 preleggi, formula il seguente quesito: “se in virtù dei criteri ermeneutica di cui all’art. 12 preleggi, l’art. 3 lett. b) punto 1) dell’Accordo Nazionale del 1947 degli autoferrotranviari sia applicabile anche agli agenti stabili”.

Con il secondo motivo, il P., denunciando, vizio di motivazione e violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., nonchè art. 32 CCNL del 23 luglio 1976 degli autoferrotranviari, pone i seguenti quesiti: 1. “se nell’interpretare l’art. 32 del CCNL degli autoferrotranviari il Giudice del merito debba applicare i criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg.”, 2.”se nell’interpretare l’art. 32 CCNL degli autoferrotranvieri applicando i criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., il Giudice del merito debba interrogarsi circa il significato dell’inserimento di tale articolo e della dichiarazione di decadenza dell’Accordo del 1947 in esso contenuta nel capo relativo ai “diritti sindacali” e circa il significato di tale espressione e l’ampiezza dei compiti affidati ai rappresentanti dei lavoratori, verificando, alla luce di tali diritti e compiti, se la decadenza dell’Accordo abbia lasciato in vita la clausola di cui all’art. 3 dell’Accordo relativa alla fase prodromica di invito a maggior rendimento, fase prevista con la partecipazione, appunto, dei rappresentanti sindacali”.

Con la terza critica il ricorrente, sostenendo vizio di motivazione e violazione degli artt. 99, 112 e 345 c.p.c., articola il seguente quesito: “se il datore di lavoro parte resistente che, in primo grado, allo scopo di paralizzare la pretesa del lavoratore ricorrente, abbia richiamato l’applicabilità dell’art. 3, lett. b) dell’Accordo del 26/11/47………. possa, in appello,modificare la propria posizione difensiva eccependo che l’art. 32 CCNL del 1976 – ossia risalente a diverso tempo prima dell’introduzione del giudizio – avrebbe dichiarato la decadenza dell’accordo detto o ciò costituisca violazione dell’art. 345 c.p.c.”.

Con la quarta censura il P., prospettando vizio di motivazione e violazione del R.D. 148 del 1931, artt. 23, 24, 27, 29 e 54 all’A), art. 12 preleggi, artt. 2110 e 2087 c.c., nonchè artt. 4 e 32 Cost., formula il seguente quesito: “se in applicazione dei principi di ermeneutica di cui all’art. 12 preleggi, il R.D. n. 148 del 1931, art. 27, lett. d), possa essere ritenuto riferirsi anche allo scarso rendimento oggettivo e, in tale ambito, anche alla c.d.

eccessiva morbilità o questa sia invece regolata dal R.D. n. 148 del 1931, art. 23 e 24, in relazione anche all’art. 2110 c.c.”.

Con il quinto motivo il ricorrente, asserendo vizio di motivazione e violazione del R.D. n. 148 del 1931, artt. 23 e 24, art. 2110 c.c., artt. 4 e 32 Cost., L. n. 604 del 1966, artt. 2, 3 e 5, e della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè dell’art. 2697 c.c., formula i seguenti quesiti: 1. “se al rapporto degli autoferrotarnvieri trovi applicazione l’art. 2110 c.c.; 2: “se nel rapporto di lavoro degli autoferrotranviari la soglia di tollerabilità e il periodo di comporto, in relazione all’art. 2110 c.c., possono essere ricavati dal R.D. n. 148 del 1931, artt. 23 e 24, e, in tal caso, in periodi di assenza per malattia di quattro mesi, continuativi o meno, ogni anno, se tale tasso di assenze si proietta su periodi di tre anni”;

3. “se al rapporto di lavoro degli autoferrotranviari trovino applicazione la L. n. 604 del 1966, art.2, 3 e 5, e la L. n. 300 del 1970, art. 7, e quindi tutte le garanzie in detti articoli previste”.

Con la sesta critica il ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., allega il seguente quesito:

“se le spese di lite per il giudizio di primo grado da liquidarsi da parte del Giudice di Appello, in favore della parte resistente vittoriosa in appello, possano essere determinate semplicemente richiamando la somma liquidata in primo grado in favore della parte ricorrente, in quel grado originariamente vittoriosa e, in caso, positivo, se da tale somma debbano essere decurtati gli onorari, le competenze e le spese vive relative alle attività e alle spese per l’introduzione del giudizio, in quanto attività non svolte e spese non affrontate dalla parte resistente”.

Con l’ultima censura il P. denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c..

Preliminarmente rileva il Collegio che i motivi con i quali si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione sono solo in parte ammissibili.

Infatti le censure non sono esaminabili in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n.9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770) – vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063) che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063). Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali al violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Nè è consentito a questo giudice di legittimità di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Pertanto in difetto della relativa specificazione le denunce devono considerarsi tutte per come limitate alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

Tanto precisato, rileva il Collegio che la prima censura – afferente l’interpretazione dell’art. 3 dell’Accordo nazionale del 1947 per il personale ferrotranviario – è infondata.

Occorre premettere che a questa Corte a seguito della nuova formulazione, D.Lgs. n. 2 febbraio 2006, n. 40, ex art. 2, dell’art. 360 c.p.c., n. 3, a mente del quale, come già stabilito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5, per i contratti collettivi del settore pubblico, è possibile la denuncia della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro è demandata la diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo nazionale denunciato.

Va, altresì, annotato che in base ai principi attinenti alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo da parte del giudice di legittimità, questi deve autonomamente procedere all’accertamento della portata della norma di cui si assume la violazione, senza essere vincolato ad una specifica opzione interpretativa prospettata nella formulazione del quesito di diritto, ben potendo ricercare liberamente all’interno del contratto collettivo ciascuna clausola – anche non oggetto dell’esame delle parti e del primo giudice – comunque ritenuta utile all’interpretazione. Nella stessa enunciazione in funzione nomofilattica del principio di diritto, del resto, questo giudice di legittimità è tenuto ad operare – sia pure con una metodica interpretativa incentrata sui generali criteri di cui all’art. 1362 c.c., e seguenti – come se l’oggetto del suo esame fosse una norma giuridica e non, invece, un negozio di natura privatistica. Nè, per tali ragioni, è necessario ai fini dell’ammissibilità della censura di violazione di norma collettiva che nel relativo quesito venga denunciata la specifica violazione da parte del giudice del merito dei canoni di ermeneutica contrattuale (V. Cass. 18 febbraio 2008 n. 4008).

Quanto al merito della censura in esame è necessario prendere le mosse dalla formulazione della denunciata norma che all’art. 3 dedicato ai licenziamenti sub lettera B) relativo a quelli individuali dispone:

“1) In caso di scarso rendimento, la Direzione farà una ammonizione al lavoratore e lo segnalerà alla Commissione interna che inviterà il lavoratore a migliorare il proprio rendimento. Qualora l’ammonimento della Direzione e l’intervento della Commissione interna non dovessero sortire effetto, e la Direzione decidesse di procedere al licenziamento, sarà seguita la procedura di cui ai punti successivi.

2) In caso di esonero definitivo dal servizio o di destituzione di un agente stabile saranno osservate le disposizioni dell’allegato A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, e successive modificazioni. La Direzione della azienda ne darà tuttavìa notizia alla Commissione interna aziendale.

3)Ove la Direzione si proponga di licenziare un lavoratore non stabile per motivi disciplinari, per scarso rendimento o per altri motivi, ne informerà la Commissione interna aziendale.

4) In caso di mancanza per la quale la legge o contratti di lavoro prevedono il licenziamento, la Direzione potrà sospendere con effetto immediato il rapporto di lavoro, salvo a seguire poi la procedura di cui appresso.

5)Nei casi in cui al precedente punto 3), escluso quello regolato dal successivo punto 8), il licenziamento è disposto dalla Direzione sentito il parere di un Collegio formato dalle stesse persone che compongono il Consiglio di Disciplina esistente per il personale in pianta stabile.

A tal fine la Direzione invierà dettagliata relazione al Collegio predetto, dandone contemporaneamente comunicazione all’interessato.

Il Collegio, entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della relazione, esprimerà il proprio parere in merito al provvedimento da adottare, dopo avere sentito il lavoratore che ne faccia richiesta.

Qualora il Collegio esprimesse parere contrario al licenziamento, il rapporto di lavoro sarà mantenuto; in caso diverso, la Direzione darà corso senz’altro al licenziamento”.

Ritiene la Corte che in base al criterio letterale e complessivo sistematico la regola procedurale dell’ammonizione e dell’invito a migliore il rendimento prima di procedere all’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento, di cui al punto 1 della lettera B) dell’art. 3 dell’Accordo in esame, si riferisce al solo agente non stabile.

Infatti il rinvio contenuto nel predetto punto 1 alla procedura di cui ai punti seguenti non può che essere riferita al solo agente non stabile per il quale è stabilito al punto 3), appunto, che ove la Direzione di proponga di licenziare un lavoratore non stabile…. ne informerà la Commissione interna.

Tanto trova riscontro nel rilievo che per l’agente stabile, in caso di esonero definitivo dal servizio o di destituzione, il richiamato punto 2) rinvia alle sole disposizioni dell’allegato a) al R.D. n. 148 del 1931, mentre gli altri punti della norma collettiva in esame riguardano solo la procedura da osservare in caso di licenziamento di un lavoratore non stabile e, quindi, anche la fase dell’ammonimento.

In altri termini la precisazione contenuta nel citato punto 2), a norma del quale in caso di licenziamento del lavoratore stabile devono applicarsi le disposizioni dell’allegato A al RD n. 148 del 1931, impone d’interpretare l’articolo in questione – ed in particolare i relativi punti in esame- nel senso che la procedura ivi stabilita riguarda esclusivamente l’agente non stabile, dovendosi osservare per il lavoratore stabile le regole di cui al citato allegato A al R.D. n. 148 del 1931.

Conseguentemente è corretta l’interpretazione fornita dal giudice di appello secondo il quale la fase preliminare dell’ammonimento e dell’invito migliorare il rendimento attiene solo ai lavoratori non stabili con la conseguenza che non è applicabile all’attuale ricorrente perchè agente stabile.

Dovendosi confermare la sentenza impugnata in punto d’interpretazione dell’art. 3 dell’Accordo nazionale del 1947 per il personale ferrotranviario l’esame dei motivi da due a cinque è ultroneo.

Invero la sentenza di appello risulta ancorata a distinte plurime rationes decidendi, autonome l’una dalla altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il dictum: da un lato, all’affermazione, oltre dell’inapplicabilità agli agenti stabili della procedura dell’ammonimento di cui al punto dell’art. 1 dell’accordo nazionale del 1947, anche dell’avvenuta abrogazione ex accordo collettivo del 23 luglio 1976 di detto accordo del 1947; dall’altro, oltre al rilievo in ragione del quale la scarsa disciplina del dipendente, attestata – nel caso di specie – per tabulas, integra la ricorrenza dell’ipotesi di cui al R.D. n. 148 del 1931, art. 27 lett. D) allegato A, anche dalla considerazione secondo cui lo scarso rendimento è costituito altresì dall’eccessiva morbilità.

Orbene è ius reception, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n.24540).

Nella specie è inutile – rectius ultroneo -, innanzitutto, esaminare – con riferimento all’assunta mancata osservanza della procedura dell’ammonimento – i motivi afferenti la novità dell’eccezione di non vigenza dell’accordo del 1947 (terzo motivo) e di errata interpretazione dell’accordo 1976 (secondo motivo) in quanto la sentenza di appello comunque – ossia anche accogliendo i suddetti motivi- deve rimanere ferma in base alla autonoma ratio in base alla quale l’art. 3 del citato accordo del 1947 non trova applicazione nei confronti degli agenti stabili.

Analoghe considerazioni valgono, poi, per quanto attiene ai motivi inerenti allo scarso rendimento per eccessiva morbilità (quarto motivo) ed alla soglia di tollerabilità dell’assenza per malattia (quinto motivo). Difatti la sentenza di secondo grado – relativamente alla legittimità del licenziamento – deve essere mantenuta ferma in base alla alternativa e non censurata autonoma ratio in virtù della quale il licenziamento deve essere considerato legittimo anche in base alla scarsa disciplina del dipendente.

Il sesto motivo di censura, concernente la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, è infondato non desumendosi dalla sentenza impugnata la liquidazione di onorari, competenze e spese vive relative ad attività non svolte e spese non affrontate.

L’ultimo motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c.. L’illustrazione della relativa dedotta violazione di legge, infatti, non si conclude con la prescritta formulazione di un quesito di diritto.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Considerato che la presente controversia involge una questione d’interpretazione di contratto collettivo sulla quale questa Corte non si era ancora pronunciata, stimasi compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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