Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29993 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/12/2011, (ud. 29/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA TRASPORTI AREA FIORENTINA A.T.A.F. S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DELL’EMPORIO 16/A, presso lo studio dell’avvocato ILARIA

PAGNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEL PUNTA

RICCARDO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.F., + ALTRI OMESSI

già elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CICERONE N. 28, presso lo studio dell’avvocato BARONTINI

ANTONELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato PANZONE VALERIA,

giusta delega in atti e da ultimo domiciliati presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrenti –

e contro

B.G., Z.V., G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 486/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/05/2008 R.G.N. 1297/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato DEL PUNTA RICCARDO;

udito l’Avvocato PANZONE VALERIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con separati ricorsi in primo grado B.G. ed altri due ricorrenti e Ba.Pi. ed altri 35 litisconsorti convenivano in giudizio l’A.T.A.F. – Azienda Trasporti Fiorentina – s.p.a assumendo di essere stati dipendenti della convenuta fino al momento di cessazione dal servizio per collocamento in quiescenza.

Deducevano che la datrice di lavoro non aveva tenuto conto – nel calcolo dell’indennità di buonuscita di cui all’art. 24 del c.c.n.l.

23.7.1976 maturata fino al 31.5.1982, e, per il periodo successivo, del t.f.r. – dell’elemento distinto della retribuzione ex A.N. 21.5.1981, dell’indennità di presenza e di turno ex A.N. 21,5.1981, dell’indennità di mancato riposo e dell’indennità di ore lavorate in giorno di riposo, dell’indennità di lavoro prestato nei giorni festivi, dell’indennità sostitutiva delle ferie, del compenso per lavoro straordinario continuativo, nonchè dell’equivalente economico della dotazione in natura della massa vestiaria, tutti emolumenti corrisposti non in via occasionale.

Dopo aver esperito con un esito negativo il ricorso gerarchico e, successivamente, il tentativo obbligatorio di conciliazione i ricorrenti agivano giudizialmente per sentir accertare il loro diritto all’inclusione nella base di computo dell’indennità di buonuscita e del trattamento di fine rapporto di tutti gli emolumenti indicati, con conseguente condanna di AT.A.F. al pagamento delle conseguenti differenze retributive da accettarsi a mezzo c.t.u.

contabile.

L’Azienda convenuta, nel costituirsi in giudizio, contestava le pretese avversarie, richiamando l’applicabilità alla fattispecie della normativa speciale di cui al R.D. n. 148 del 1931 e successive leggi di interpretazione e contratti di settore; con particolare riguardo alla disciplina successiva all’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, veniva richiamata la definizione di retribuzione normale di cui all’art. 9 dell’A.N. 2.10.1989. La convenuta deduceva altresì, l’avvenuta inclusione dell’E.D.R., dell’indennità di turno e di presenza di cui all’A.N. 21.5.1981 nella retribuzione base per il calcolo dell’indennità di buonuscita e del t.f.r.. Eccepita preliminarmente la genericità delle domande di condanna formulate con rinvio agli esiti della espletanda c.t.u., la convenuta concludeva per il rigetto delle domande attrici e, comunque, per l’inammissibilità delle domande volte ad ottenere il pagamento di differenze retributive.

Le cause, riunite per ragioni di connessione, erano istruite con produzione di documenti e con l’espletamento di c.t.u. contabile, all’esito della quale erano decise dal tribunale di Firenze con la sentenza n. 864/02, emessa l’8 maggio 2002, che condannava la società al pagamento in favore di B.G. e di altri 38 litisconsorti di determinati importi per ciascun ricorrente specificamente individuati – a titolo di ricalcolo del t.f.r .. Con la medesima pronuncia erano, invece, rigettate ulteriori domande formulate dai ricorrenti, con compensazione integrale delle spese di lite.

In particolare, il primo giudice ha ritenuto infondate le domande dei ricorrenti di inclusione nell’indennità di buonuscita maturata fino al 31.5.1982 delle varie indennità indicate. Nella valutazione del Tribunale, al rapporto speciale degli autoferrotranvieri trovava applicazione l’art. 24 del c.c.n.l. del 1976 piuttosto che l’art. 2120 c.c., con conseguente applicazione della nozione di “retribuzione normale” ivi assunta quale base di computo dell’indennità di buonuscita, così come regolata dai successivi contratti nazionali.

Viceversa il tribunale ha ritenuto fondate le domande dei lavoratori con riguardo al periodo successivo al 31.5.1982, ritenendo applicabile al rapporto di lavoro dei ricorrenti l’art. 2120 c.c., in forza del richiamo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 4. Con ciò escludendo che l’art. 9 A.N. 2.10.1989 potesse esplicare una funzione derogatoria rispetto alla disciplina codicistica. Individuava poi, in base alle risultanze della c.t.u. e nei limiti consentiti dalla documentazione disponibile, gli importi spettanti a ciascun ricorrente a titolo di ricalcolo del t.f.r..

2. Con ricorso depositato in data 4 ottobre 2002, l’A.T.A.F. impugnava la sentenza del Tribunale di Firenze. Censurava la inapplicabilità al rapporto di lavoro autoferrotranviario dell’art. 2120 c.c., così come modificato dalla L. n. 297 del 1982. In particolare l’appellante si doleva del fatto che il primo giudice non avesse assunto a base del calcolo del t.f.r. la nozione di “retribuzione normale” definita nei contratti nazionali del settore.

Inoltre l’AT.AF. sosteneva che il Tribunale aveva errato nel valutare i compensi assunti a base di calcolo del t.fr. ritenendoli fissi e continuativi e non occasionali, includendo nel calcolo del t.f.r.

finanche i compensi erogati per lavoro straordinario, senza che i ricorrenti neppure lo avessero richiesto.

B.G. ed altri due litisconsorti si costituivano contestando la fondatezza dell’impugnazione avversaria, di cui chiedevano il rigetto.

Ba.Lu. ed altri 35 lavoratori, costituiti con un diverso difensore, resistevano parimenti all’appello principale di A.T.A.F.. A loro volta impugnavano, con appello incidentale, i capi della sentenza del Tribunale di Firenze con i quali: a) erano state respinte le domande di ricalcolo dell’indennità di buonuscita per il periodo anteriore al maggio 1982; b) erano state assunte a base di ricalcolo del t.f.r. per il periodo successivo al 31.5.1982 le parziali risultanze dell’indagine peritale espletata in primo grado, con omissione integrale del periodo 1982 – 1990 e con omissione del computo dell’equivalente della massa vestiaria; c) erano state interamente compensate tra le parti le spese processuali, nonostante la pur parziale fondatezza delle domande.

La Corte d’appello disponeva il rinnovo della c.t.u. contabile, all’esito della quale decideva la controversia con sentenza del 4 aprile – 9 maggio 2008 rigettando l’appello principale proposto dalla società ed accogliendo l’appello incidentale dei dipendenti.

Pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la società al pagamento di ulteriori maggiori importi specificamente classificati in favore degli appellati incidentali.

Condannava altresì la società al pagamento delle spese di lite.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con sei motivi.

Resistono con controricorso le parti intimate.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in sei motivi.

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., nonchè della L. n. 297 del 1982, art. 4 e della normativa contrattuale di riferimento. Sostiene che, in presenza di una disposizione contrattuale collettiva che dettava una nozione di retribuzione utile ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita spettante ai lavoratori del settore autoferrotranviario, tale clausola, dopo la sostituzione dell’indennità di buonuscita con il trattamento di fine rapporto, doveva essere riferita anche al trattamento di fine rapporto. Ha quindi formulato il prescritto quesito di diritto chiedendo se, in presenza di una clausola contrattuale collettiva che dettava una nozione di retribuzione utile ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita spettante ai lavoratori del settore autoferrotranviario, tale clausola deve essere riferita al computo del trattamento di fine rapporto, in applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 4, comma 12; e se le clausole dei contratti collettivi di settore, stipulati dopo il 31 maggio 1982, che hanno confermato la medesima nozione di retribuzione, debbano essere applicate ai fini del computo del trattamento di fine rapporto, a preferenza della definizione legale di cui all’art. 2120 c.c., comma 2, nel testo della L. n. 297 del 1982.

Con il secondo motivo la società ricorrente deduce violazione degli artt. 2120 e 2121 c.c. nonchè dell’art. 24 del contratto collettivo per gli autoferrotranvieri del 23 luglio 1976. Formula il prescritto quesito di diritto chiedendo se l’art. 24 del c.c.n.l. del 23 luglio 1976 per gli autoferrotranvieri sia da dichiararsi nullo per contrasto con gli artt. 2120 e 2121 c.c., nel testo vigente anteriormente alla L. 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui l’art. 24 ancorava la base di computo dell’indennità di buonuscita per gli autoferrotranvieri aventi diritto a pensione alla retribuzione normale come definita dallo stesso c.c.n.l.

Con il terzo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., comma 2. Sostiene che non possono essere computati al fine del trattamento di fine rapporto i compensi per lavoro straordinario, i riposi lavorati, il lavoro festivo, le ferie non godute in mancanza di un accertamento individuale, per ciascun lavoratore, del carattere continuativo dell’erogazione dell’emolumento.

Con il quarto motivo, connesso con il terzo, la società ricorrente denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’applicazione del criterio della non occasionalità contenuto nell’art. 2120 c.c..

Con il quinto e il sesto motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2120 e 2121 c.c. In particolare contesta il criterio di computo di alcuni emolumenti sulla base della media mensile ex post. Contesta altresì che gravasse sull’azienda l’onere di fornire i dati contabili per il conteggio devoluto al consulente tecnico d’ufficio.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. In via preliminare deve considerarsi che le censure della società ricorrente formulate con i primi due motivi, nella parte in cui fanno riferimento all’interpretazione della normativa contrattuale collettiva (e segnatamente all’art. 6 c.c.n.l. per gli autoferrotranvieri del 23 luglio 1976 e agli accordi nazionali successivi), che conterrebbe un autonomo criterio di calcolo dell’indennità di buonuscita spettante ai lavoratori controricorrenti, sono affette da improcedibilità ex art. 369 c.p.c.. La società -che ha sostenuto che l’art. 6 citato conterrebbe una nozione di retribuzione normale diversa e più restrittiva da quella di retribuzione onnicomprensiva – ha omesso di depositare la copia integrale del contratto collettivo della cui interpretazione si dibatte limitandosi a depositare il fascicolo dei gradi di merito senza alcuna specificazione.

In proposito questa Corte (Cass., sez. un., 23 settembre 2010, n. 20075) ha affermato che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.

2.2. I primi due motivi però contengono anche profili di diritto che non sono necessariamente legati al contenuto testuale della contrattazione collettiva richiamata e che quindi possono essere autonomamente esaminati nel merito.

Essi sono però infondati.

Quanto al profilo di diritto del primo motivo di ricorso, che riguarda il periodo successivo alla L. n. 297 del 1982, la giurisprudenza di questa corte è nel senso che i contratti collettivi successivi, che a norma dell’art. 2120 c.c., comma 2, possono derogare al principio di retribuzione comprensiva, sono soltanto quelli che lo prevedono esplicitamente e non già quelli che richiamano contratti collettivi previgenti.

In particolare Cass., sez. lav., 5 maggio 2000, n. 5624, ha affermato che l’omnicomprensività della retribuzione da prendere a base di calcolo ai fini dell’indennità di buonuscita in favore degli autoferrotranvieri (con la conseguente inclusione di tutte le voci retributive continuativamente corrisposte) può essere derogata soltanto da contratti o accordi collettivi successivi all’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982 e sempre che detti accordi o contratti preveda espressamente tale deroga, ovvero, in caso di richiamo a clausole di contratti previgenti che prevedevano tale deroga (clausole da considerarsi nulle con riferimento alla disciplina anteriore alla citata novella n. 297 del 1982) riformulino le clausole richiamate con l’esplicita menzione della conoscenza della preesistente nullità. Successivamente cfr. Cass., sez. un., 13 dicembre 2007, n. 26096, che ha ribadito che il principio di onnicomprensività della retribuzione, sancito dall’art. 2121 cod. civ. (nel testo anteriore alla L. n. 297 del 1982) ai fini della determinazione dell’indennità di anzianità, poi confluita nel trattamento di fine rapporto, trova applicazione anche ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita spettante agli autoferrotranvieri con diritto a pensione, con conseguente nullità, ai sensi del citato art. 2121 c.c. e dell’art. 1419 cod. civ., di clausole contrattuali che escludano espressamente la computabilità di indennità corrisposte in maniera continuativa o che adottino una nozione di retribuzione non comprensiva di emolumenti percepiti in maniera continuativa, come il compenso per lavoro straordinario continuativo, il quale è computabile anche ai fini del t.f.r. per il periodo successivo al 31 maggio 1982, dovendo, per un verso, escludersi che le clausole collettive nulle, per contrarietà al principio di onnicomprensività di cui all’art. 2121 (vecchio testo) cod. civ., possano rivivere nel contesto normativo introdotto dalla stessa L. n. 297 del 1982 e, per altro verso, ritenersi che una eventuale deroga al predetto principio di omnicomprensività da parte di contratti o accordi collettivi successivi all’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, debba essere espressamente prevista.

Pertanto la circostanza che la contrattazione collettiva successiva alla L. n. 297 del 1982 abbia continuato a richiamare la normativa collettiva precedente e quindi anche la nozione di retribuzione normale non vale a convalidare una clausola che in questa parte deve ritenersi nulla ai sensi dell’art. 4, comma 11, della legge citata.

Nè tanto meno il comma 12 della medesima disposizione vale a rendere applicabili quelle clausole dei contratti collettivi precedenti che sono nulle, ai sensi del precedente comma 11, in quanto regolanti la materia del trattamento di fine rapporto.

L’art. 4, comma 12 ha una portata ben più limitata: una volta depurata la disciplina della contrattazione collettiva delle clausole regolanti la materia del trattamento di fine rapporto, ai sensi del comma 11, rimangono nondimeno i richiami agli istituti indicati nel precedente comma 10, quale appunto l’indennità di buonuscita, richiami che dopo la L. n. 297 del 1982, devono intendersi riferiti al trattamento di fine rapporto. L’interpretazione sostenuta dalla difesa della ricorrente, oltre ad essere contraria alla citata giurisprudenza di questa corte, finisce per predicare in sostanza una lettura del comma 12 che verrebbe a sovrapporsi e a schermare del tutto la portata del precedente comma 11 con un’inammissibile perdurante applicabilità di una disciplina contrattuale precedente contrastante con quella posta dalla L. n. 297 del 1982 quanto alla nozione onnicomprensiva di retribuzione. Cfr. Cass., sez. lav., 10 agosto 1999, n. 8559, che ha affermato che nel trattamento di fine rapporto spettante agli autoferrotranvieri a far tempo dall’1 giugno 1982 (data di entrata in vigore della L. n. 297 del 1982) la computabilità di tutti gli elementi retributivi a carattere continuativo, in applicazione dell’art. 2120 cod. civ. – che, anche nel testo modificato dall’art. 1 della legge anzidetta, ribadisce il principio della omnicomprensività riferito ad ogni erogazione non occasionale, facendo tuttavia salva la diversa previsione dei contratti collettivi – può essere esclusa solo in virtù di disposizioni contrattuali successive alla legge medesima, poichè tutte le precedenti disposizioni legislative e collettive regolanti la materia del trattamento di fine rapporto sono state rispettivamente abrogate e dichiarate nulle dall’art. 4, commi 10 e 11, della legge stessa (e non sono suscettibili di reviviscenza in forza del nuovo testo dell’art. 2120 cit., comma 2) e poichè in tal senso depone il principio generale di irretroattività della legge.

Cfr. anche Cass., sez. lav., 18 luglio 1995, n. 7774; 24 giugno 1995, n. 7185.

2.3. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, che riguarda il periodo precedente la L. n. 297 del 1982, la giurisprudenza di questa corte (ex plurimis (Cass., sez. 6^, 21 dicembre 2010, n. 25904) ha più volte affermato che il principio enunciato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 140 del 1971 e n. 124 del 1975, secondo cui la retribuzione da prendere a base del calcolo dell’indennità di buonuscita del personale autoferrotramviario senza diritto a pensione (artt. 26 e 27, all. A), R.D. 8 gennaio 1931, n. 148) deve intendersi in senso onnicomprensivo, secondo i criteri fissati per l’indennità di anzianità dagli artt. 2120 e 2121 cod. civ., trova applicazione anche riguardo alla indennità di buonuscita prevista dalla contrattazione collettiva in favore del personale autoferrotranviario con diritto a pensione, la quale ha anch’essa la medesima natura e funzione dell’indennità di anzianità, con la conseguente nullità (ai sensi dell’art. 1419 c.p.c., comma 2) di clausole contrattuali esclusive della computabilità di emolumenti di natura retributiva.

3. Gli altri motivi del ricorso, che contestano il carattere continuativo dell’erogazione di alcuni emolumenti e la loro quantificazione, attengono ad elementi di fatto della controversia il cui accertamento è devoluto al giudice di merito. Tale apprezzamento ha operato la corte d’appello con motivazione sufficiente e non contraddittoria sicchè i motivi sono inammissibili.

4. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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