Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29989 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 31/12/2020), n.29989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9958/2018 proposto da:

Comune di Massa, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo

studio dell’Avvocato Domenico Iaria, rappresentato e difeso dagli

Avvocati Francesca Panesi, e Manuela Pellegrini, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M., Gi.Ma., e G.N., elettivamente

domiciliati in Roma, Viale Giulio Cesare 14-A/4, presso lo studio

dell’Avvocato Gabriele Pafundi, rappresentati e difesi dall’Avvocato

Federico Montaldo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Genova del 28/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Genova, con ordinanza in data 28 dicembre 2017, accoglieva l’opposizione proposta da G.M., Gi.Ma. e G.N. avverso la stima dell’indennità di esproprio compiuta dalla Commissione provinciale e, ritenuto che le aree espropriate, ubicate nel Comune di Massa, ricadessero in parte nella zona industriale/artigianale di cui al PRG approvato nel 1980, in parte in zona di rispetto stradale, determinava in Euro 908.778 l’indennità complessivamente spettante ai ricorrenti.

2. Per la cassazione di tale ordinanza ha proposto ricorso il Comune di Massa prospettando sette motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso G.M., Gi.Ma..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Va disattesa, innanzitutto, l’istanza di riunione del presente procedimento a quello distinto al n. 9962/2018 avanzata dai difensori dell’amministrazione ricorrente.

I due ricorsi infatti, oltre a non rientrare nell’ipotesi disciplinata dall’art. 335 c.p.c. (dato che impugnano due diverse statuizioni della Corte d’appello di Genova), riguardano fondi limitrofi, ma con diversa destinazione (in quanto gli uni ricadono – come detto – in parte nella zona industriale/artigianale di cui al PRG approvato nel 1980, in parte in zona di rispetto stradale, gli altri invece sono ricompresi in aree destinate in parte a viabilità di progetto in senso generico, in parte a zona di rispetto stradale).

In assenza di ragioni di unitarietà sostanziale delle due controversie pare a questo collegio non opportuno disporre la riunione, facoltativa, della controversia.

4. Non merita di essere accolta neppure l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata preliminarmente dalla difesa dei controricorrenti, per mancanza del requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

E’ fuor di dubbio che il ricorso sia stato redatto, per ampi tratti, con la tecnica del collage, assemblando il contenuto integrale di vari atti e documenti; tecnica, questa, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto inidonea a soddisfare la necessità di sintetica esposizione dei fatti a mente della norma appena richiamata (Cass., Sez. U., 5698/2012).

Il coacervo dei documenti integralmente riprodotti è però individuabile ed isolabile con immediatezza, tenuto conto dei differenti caratteri di stampa, e può essere separato ed espunto agevolmente dall’atto processuale.

All’esito di una simile operazione è possibile constatare come il ricorso – la cui autosufficienza, una volta che lo stesso sia stato ricondotto al canone di sinteticità, deve essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (v. Cass. 8245/2018, Cass. 18363/2015) – si faccia comunque carico di effettuare una narrazione sufficiente a consentire a questa Corte di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, in funzione delle questioni da decidere.

5. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1 e art. 9, commi 2 e 3 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9, comma 1, poichè la Corte d’appello, una volta escluso che si dovesse tener conto del vincolo espropriativo imposto con una variante del 2003, avrebbe dovuto considerare l’area non secondo la destinazione urbanistica prevista dal P.R.G. approvato nel 1980, ma quale zona bianca, applicando, di conseguenza, il criterio dell’edificabilità di fatto.

6. Il motivo non è fondato.

Il valore dell’immobile a fini indennitari deve essere relazionato alla condizione urbanistica esistente al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

Tale momento va inteso, in senso logico, attraverso l’identificazione della condizione urbanistica precedente alla previsione comportante l’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

Il che significa che nel caso di specie l’avvenuta individuazione di un vincolo preordinato all’esproprio, imposto con varianti al vigente P.R.G. del 2008 e 2003, non ha reso l’area priva di regolamentazione urbanistica, ma, più semplicemente, ha imposto di fare riferimento alla destinazione in precedenza sussistente, a prescindere dell’adozione di tali varianti.

In questa prospettiva i giudici distrettuali hanno correttamente ritenuto di fare riferimento alla condizione urbanistica preesistente e modificata in funzione dell’espropriazione, di persistente vigenza, piuttosto che considerare l’area priva di pianificazione urbanistica.

7.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 37 e 40, D.L. n. 180 del 1998, art. 1, convertito nella L. n. 267 del 1998, e L. n. 183 del 1989, art. 17, nonchè della disciplina prevista dalla Delib. Consiglio Regionale Toscana n. 11 del 2005, con cui è stato approvato il piano stralcio per l’assetto idrogeologico per il bacino di rilievo regionale Toscana nord: la Corte d’appello – in tesi del ricorrente – non avrebbe tenuto in adeguata considerazione le conseguenze derivanti dal fatto che l’area in cui sono ubicati i terreni espropriati ricade in zona ASIP – aree strategiche per interventi di prevenzione, dato che questa collocazione comporta l’inedificabilità dei suoli, come è già stato riconosciuto con altra statuizione della Corte d’appello resa in una diversa lite in cui erano coinvolti gli odierni controricorrenti.

7.2 Il sesto motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, costituito dall’incidenza del vincolo idraulico sulla capacità edificatoria dei terreni ovvero sulla quantificazione del loro valore di mercato.

8. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro sovrapponibilità, sono fondati.

Per mezzo degli stessi l’amministrazione ricorrente in sostanza si duole dell’erronea applicazione della regola della ricognizione legale della destinazione dell’immobile, secondo cui al giudice del merito è affidato il compito di accertare la destinazione legale di ciascuna delle particelle di terreno espropriate.

Un simile errore, riguardando i criteri legali di determinazione della natura del bene espropriato, deve essere ricondotto alla violazione di legge e, come tale, risulta censurabile in questa sede.

In vero, sussistendo un indissolubile collegamento tra l’indennità di espropriazione e il momento del trasferimento della proprietà del bene, attraverso l’espropriazione per pubblica utilità, nel senso che l’ammontare dell’indennità deve determinarsi con riferimento alla data del provvedimento ablatorio, in relazione al regime urbanistico al momento del decreto di espropriazione, è necessario, ai fini della valutazione indennitaria del bene, tener conto di tutti gli elementi di carattere conformativo e, tra questi, dei vincoli che presiedono alla tutela del territorio e si sovrappongono alla disciplina urbanistica, che ad essi deve conformarsi.

L’accertata esistenza di un vincolo connesso alla stabilità idrogeologica del terreno espropriato è idonea a far classificare il medesimo come non edificabile, rientrando tra le limitazioni legali della proprietà fissate in via generale, con la conseguente incidenza negativa sul valore di mercato dei beni coinvolti, divenuti legalmente inedificabili, e quindi sul calcolo dell’indennità di espropriazione (v. Cass. 9408/2017, Cass. 13521/2014, Cass. 18681/2005).

Nel caso di specie il consulente tecnico ha espressamente dato conto (a pag. 12 della propria relazione, riportata a pag. 39 del ricorso ed espressamente citata nell’ordinanza impugnata, a pag. 13) che i terreni in esame erano inseriti, all’interno del piano di assetto idrogeologico della Regione Toscana, in area “ASIP – Aree strategiche di interventi di prevenzione, zona nella quale non sono ammesse nuove destinazioni urbanistiche di carattere insediativo, ma solo nuove infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico”.

La Corte di merito, nello svolgere il proprio compito di ricognizione giuridica dell’area, non poteva disinteressarsi di questo accertamento e con esso doveva necessariamente confrontarsi prima di stabilire la natura edificabile, in parte, dei terreni espropriati.

9. Rimangono di conseguenza assorbiti sia il terzo motivo di ricorso (che assume, in relazione alla stima riguardante i mappali aventi destinazione a “zona artigianale”, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9, comma 2, in relazione all’art. 37 delle norme tecniche di attuazione del PRG del 1980), sia il quarto motivo di ricorso (con cui si lamenta, rispetto alla stima della porzione di terreno destinata a zona di rispetto stradale, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, in relazione agli artt. 9, 37 e 45 delle norme tecniche di attuazione del PRG del 1980).

Queste doglianze, infatti, presuppongono la correttezza della valutazione di edificabilità dell’area e sono state proposte in via gradata nell’ipotesi in cui questa valutazione fosse stata ritenuta corretta.

La necessità di rivisitare la ricognizione giuridica dell’area in termini di edificabilità esclude quindi la necessità di provvedere in proposito.

10. Il quinto motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, poichè la Corte avrebbe erroneamente disconosciuto la riduzione del 25 per cento prevista da questa norma nel caso in cui l’espropriazione, come nella specie, sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale.

11. Il motivo non è fondato.

In tema di indennità di espropriazione per pubblica utilità il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della sua determinazione, deve riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (v. Cass. 11081/2020, Cass. 1621/2016).

Non è perciò sufficiente ad applicare la riduzione pretesa l’addotta destinazione dell’area alla fruizione di una struttura ospedaliera, in mancanza di una specifica previsione normativa che individui, in linea generale o per il territorio in questione, l’utilizzo dell’area espropriata quale intervento di riforma economico-sociale.

12. Il settimo motivo di ricorso si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, costituito dai vincoli derivanti dall’inserimento dei terreni nella perimetrazione del sito di interesse nazionale di (OMISSIS) di cui al D.M. 21 dicembre 1999, collocazione che subordinava l’utilizzo delle aree alla restituzione agli usi legittimi mediante la realizzazione degli interventi di caratterizzazione e bonifica, ai sensi del combinato disposto della L. n. 349 del 1986, art. 6,L. n. 426 del 1998, art. 1,D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 17 e 19 e LRT 2572008, art. 13, con la conseguente necessità di computare in detrazione i costi che i privati avrebbero dovuto sostenere a tale titolo.

13. Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. U., 8053/2014).

La doglianza in esame, laddove lamenta la mancata considerazione da parte del provvedimento impugnato del fatto che il terreno in questione fosse inserito nell’ambito di un sito di interesse nazionale, si limita a individuare il fatto storico che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare a dispetto della sua decisività, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui lo stesso risultava esistente nonchè (se non con un generico rinvio alla comparsa di risposta) il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti.

La censura, così formulata, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato.

14. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il sesto motivo di ricorso, rigetta il primo e il quinto motivo, dichiara inammissibile il settimo motivo e assorbiti il terzo e il quarto motivo, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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