Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29987 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/11/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 19/11/2019), n.29987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9495/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

Contro

IGAP s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli avvocati Erminio

Araldi e Enzo Parini ed elettivamente domiciliata presso

quest’ultimo in Roma, via Taro n. 35;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia sez. staccata di Brescia n. 5440/65/16 depositata il

20/10/2016, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

27/06/2019 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure ha accolto in parte l’appello della società contribuente conseguentemente annullando gli atti impugnati relativamente all’importo di Euro 250.000,00 versato quale indennizzo in forza della transazione in atti, riferita a operazioni doganali poste in essere tra il 2010 e il 2011;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’Amministrazione doganale con atto affidato a un solo motivo; la società contribuente resiste con controricorso, presenta ricorso incidentale affidato a tre motivi e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. illustrativa delle proprie difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso principale si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la CTR omesso di considerare il fatto decisivo che la risoluzione contrattuale disciplinata dalla transazione del 3.11.2001 aveva ad oggetto anche il pagamento di royalties da ricomprendere nell’imponibile a fini impositivi;

– il motivo è inammissibile ma comunque infondato;

– in forza della giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5795 del 08/03/2017; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018) in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi;

– invero, la CTR ha ritenuto, operando in sede di ermeneutica contrattuale, “che non si tratti di una somma imputabile alle royalties è altresì provato dal fatto che il contratto di licenza prevedeva al punto (OMISSIS) obbligazioni ulteriori rispetto al mero pagamento delle royalties, con particolare riferimento all’investimento pubblicitario per la pubblicità dei prodotti con il marchio oggetto di licenza, per l’attività di pubblicità istituzionale, ecc.”;

– pertanto, la CTR ha percepito il legame tra la somma di Euro 250.000 versata a fronte della transazione, ma – interpretando il regolamento contrattuale della stessa – ha ritenuto che nel suo complesso questo fosse un elemento secondario, quindi autonomo rispetto al contratto di licenza sul quale l’obbligo di pagamento di tali royalties si fonda;

– se ciò è vero, come è vero, ne deriva che tal interpretazione – ove la si fosse intesa come erronea – doveva esser diversamente censurata in questa sede ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quale violazione di legge; di qui l’inammissibilità;

– venendo al ricorso incidentale, il primo motivo censura la sentenza della CTR per violazione e falsa applicazione del Reg. CEE n. 2913/1992, artt. 29 e 32, nonchè del Reg. CEE n. 2454/1993, artt. 143, 157 e 160, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 43, per avere la CTR erroneamente desunto dalla clausole contrattuali che il pagamento delle royalties costituisse condizione della vendita della merce, e che il licenziante potesse esercitare un potere di costrizione e orientamento di diritto o di fatto sui fornitori della contribuente;

– il secondo motivo di ricorso incidentale svolge la medesima eccezione sotto il diverso profilo dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, quali il mancato esercizio in fatto del ridetto potere e assenza in fatto della condizione di pagamento;

– il terzo motivo di ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nell’attribuire alle parti l’onere della prova dei fatti oggetto della controversia;

– tutti tali sopra cennati motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto tra di loro logicamente connessi; gli stessi sono infondati;

– in diritto, va premesso che l’art. 29 del codice doganale comunitario (istituito dal Reg. (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992) stabilisce che il valore in dogana delle merci importate è, di regola, il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve, però, le rettifiche da effettuare conformemente all’art. 32 di tale codice (cfr. Corte Giust. 21 gennaio 2016, Stretinskis; Corte giust. 12 dicembre 2013, Christodoulou). Esso deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultimo, Corte giust. 20 dicembre 2017, Hamamatsu). Il menzionato art. 29, nell’individuare gli elementi che devono essere aggiunti al prezzo effettivamente pagato per determinare il valore in dogana, attribuisce rilevanza, tra gli altri, alla lett. c), ai “corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare”. Il Reg. (CEE) n. 2454/93, art. 157, par. 1, (che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario), chiarisce che per “corrispettivi e diritti di licenza”, ai fini dell’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario, deve intendersi, in particolare, quanto versato per l’utilizzo di diritti inerenti (anche) alla vendita per l’esportazione della merce importata in oggetto, in particolare marchi commerciali o di fabbrica e modelli depositati, e all’impiego e alla rivendita di dette merci importate, in particolare diritti d’autore e procedimenti di produzione incorporati in modo inscindibile in tali merci. Il medesimo articolo, successivo par. 2, precisa che al prezzo effettivamente pagato o da pagare devono essere aggiunti i corrispettivi o diritti di licenza soltanto nel caso in cui tale pagamento, da un lato, si riferisca alle merci oggetto della valutazione e, dall’altro, costituisca una condizione di vendita di tali merci. Così ricostruito il quadro normativo deve concludersi, in coerenza con quanto affermato nella sentenza della Corte di Giustizia del 9 marzo 2017, GE Healthcare, che la rettifica prevista dall’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. Da ciò consegue che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come “relativi alle merci da valutare” anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione, ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia ha affermato che la nozione “condizione di vendita” sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Ha, quindi, aggiunto, che qualora, come nel caso in esame, il beneficiario delle royalties sia soggetto diversi dal venditore, occorre “verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente”. Può, dunque, ritenersi che i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) dovuti dall’importatore in relazione alle merci importate costituisce una “condizione della vendita”, ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore in dogana di cui all’art. 32 del codice doganale comunitario e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che vincolano i diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties. Con riferimento alla nozione di controllo utilizzata nella richiamata pronuncia della Corte di Giustizia, si rileva che l’allegato 23 al Reg. (CEE) n. 2454/93 stabilisce, con riferimento all’art. 143, par. 1, lett. e), che “si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda”. Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perchè è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perchè ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato. Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene. Utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento (OMISSIS), nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale (ormai parte dell’acquis communautaire con valore di soft law, come riconosciuto anche dalla richiamata pronuncia della Corte di Giustizia secondo cui le conclusioni del comitato doganale “sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sè considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice”). Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante (in termini Cass. Sez. 5 Num. 8473 del 06/04/2018 e Cass. Sez. 5 Num. 14547 del 06/06/2018;

– nel caso che ci occupa, come si evince dalle pattuizioni contrattuali esaminate e riportate nel loro contenuto in sentenza, il par. G7 del contratto prevede che il licenziante fornirà “linee guida” al licenziatario, da seguirsi da parte dei produttori esteri; il par. G8 prevede una “lettera di autorizzazione” da parte del licenziante, con il vincolo al terzo fornitore di vendere i prodotti con il marchio solo al licenziatario salvo “autorizzazione scritta del licenziante”; il par. G9 prevede al punto 6 l’obbligo per il terzo fornitore di “rispettare i contenuti del contratto anche a proposito dei diritti del licenziante sulla proprietà intellettuale”; infine il pag. G15 al punto 6 prevede “controlli e ispezioni” da parte del licenziante sui prodotti;

– quindi, sono presenti più di uno dei sopra indicati elementi che consentono di ritenere esistente la condizione di vendita in virtù del controllo esercitato sugli altri soggetti dal licenziante, come correttamente ha ritenuto la CTR, operando una esatta attività di ermeneutica contrattuale ex lege disciplinata;

– in definitiva, quindi, nel caso in esame va applicato il Reg. n. 2454/93, art. 157, par. 2 e pertanto il ricorso va accolto in quanto la sentenza impugnata si pone al riguardo in contrasto con tale norma, così come ricostruita nella sua portata; conseguentemente, il ricorso incidentale va respinto;

– quanto a detto ricorso incidentale va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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