Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29986 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. I, 20/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5533/2017 proposto da:

Banco Popolare Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico

Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Luigi, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Manzi Andrea,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della

Federazione Italiana dei Consorzi Agrari in c.p., in persona del

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Nicolò Porpora n. 16, presso lo studio dell’avvocato Molè

Marcello, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

Federazione Italiana dei Consorzi Agrari soc. coop. a r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3578/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2018 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto che ha chiesto che

Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E’ impugnata per cassazione dal Banco Popolare soc. coop la sentenza in atti con la quale la Corte d’Appello di Roma, a definizione del giudizio di rinvio seguito alla sentenza di questa Corte 9589/2012, ha proceduto, tra l’altro, alla liquidazione del credito della ricorrente nei confronti della Federconsorzi – e quindi in ragione della condanna a manleva di questo – anche del MEF – credito discendente dal finanziamento concesso nell’immediato dopoguerra al debitore per l’approvvigionamento di olio da destinare ad usi alimentari – escludendo dal computo in linea capitale gli interessi anatocistici.

Il mezzo così proposto si vale di quattro motivi di gravame ai quali resistono con controricorso il MEF e la Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federconsorzi, mentre non ha svolto attività giudiziale la Federconsorzi in liquidazione ed in concordato preventivo.

Requisitorie del P.M. ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso l’impugnante censura il deliberato d’appello nella parte in cui questo ha giudicato illegittima la pretesa capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti, sull’assunto, che benchè il finanziamento fosse stato erogato in vigenza dell’art. 1283 c.c., nondimeno andava considerato che la banca, stante l’intervento dello Stato e l’estrema urgenza di assecondare i bisogni alimentari del paese, “non avrebbe potuto non dare per certo (opinio iuris ac necessitatis) che la deroga dell’art. 1283 c.c., fosse un comportamento giuridicamente obbligatorio, tale da comportare, come effetto, il superamento del divieto dettato dall’art. 1283 c.c.”.

2.2. Il motivo – ancorchè inammissibile perchè la sua declinazione, limitata alla sola enunciazione in rubrica delle norme violate, non soddisfa il parametro, rilevante ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, secondo cui nell’illustrazione delle censure di diritto occorre indicare in qual modo le affermazioni contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità – è peraltro infondato nel merito, poichè, fermo più generale che per il diritto vivente in materia di rapporti aventi ad oggetto operazioni di credito devono ritenersi senz’altro applicabili le limitazioni previste dall’art. 1283 c.c., non rilevando in senso opposto l’esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto da questa norma, la derogabilità di essa non è nella specie neppure argomentabile in base alle norme speciali di settore, come questa Corte ha già avuto occasione di ritenere in relazione ad analoga vicenda riguardante l’approvvigionamento cerealico, allorchè, cassando il contrario principio affermato dalla stessa Corte d’Appello, ha rigettato la pretesa in punto di capitalizzazione degli interessi scaduti sul rilievo che la normativa di settore, a partire dalle disposizioni del D.Lgs. 26 gennaio 1948, n. 169, “nulla precisa riguardo alla capitalizzazione degli interessi” (Cass., Sez. 1, 13/05/2016, n. 9887).

3. Il secondo motivo lamenta, ancora inammissibilmente, anche per la ragione sopra evocata, in guisa di errore di diritto, che la Corte d’Appello avrebbe liquidato gli interessi riconosciuti nella misura del 7,5% in luogo del 7,7/8%, ma nessuna delle norme richiamate in rubrica si perita di confortare l’allegazione, tanto più che è la stessa ricorrente ad invocare quale parametro di comparazione non una norma di legge, ma una non meglio precisata “nota” proveniente dall’Amministrazione interessata; e si duole, a torto, che nel predisporre il dispositivo, il soggetto obbligato in via diretta sia stato identificato nella Federconsorzi in liquidazione e in concordato amministrativo e non nella pure intimata Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federconsorzi, a torto perchè, come ha bene spiegato la sentenza impugnata, richiamando sul punto anche la giurisprudenza di questa Corte, “i debiti di Federconsorzi verso le banche finanziatrici sono stati generati nell’ambito di una gestione nettamente separata da quella istituzionale propria di Federconsorzi, tanto che, anche a livello contabile, ne è stata prevista la separazione “da ogni altra sua attività” (L. n. 1294 del 1957, art. 5)”.

4. Non ha parimenti pregio neppure il terzo motivo di ricorso, che argomenta la formazione di un insussistente giudicato interno in ordine alla quantificazione del credito azionato, sul rilievo che il MEF, una volta che la sentenza cassata ne aveva dichiarato il difetto di legittimazione, si sarebbe astenuto dal coltivare la relativa eccezione nel giudizio di cassazione, a smentita di esso dovendo osservarsi che il decidente nel procedere alla quantificazione del credito si è esattamente attenuto al compito demandatogli dalla sentenza cassatoria (“in proposito osserva il Collegio che il giudice del rinvio dovrà provvedere tenendo conto delle diverse contestazioni che erano state precedentemente sollevate avverso la relativa quantificazione, e quindi determinare la somma dovuta dal Ministero in accoglimento della domanda di rivalsa originariamente proposta dalla Federconsorzi, e implicitamente contenuta in quella formulata da ultimo in questa sede concernente il riconoscimento dell’intero credito verso lo Stato”) ed è inutile rammentare i vincoli a cui è perciò soggetto il giudice del rinvio; che il MEF non avrebbe avuto alcun onere di reiterare l’eccezione nel giudizio di cassazione, essendo risultato totalmente vittorioso nel pregresso grado di merito e, se lo avesse fatto, il controricorso così proposta sarebbe stato dichiarato inammissibile, per difetto di interesse (Cass., Sez. 2, 30/03/2000, n. 3908); e, in ultimo, che, come si insegna (Cass., Sez. 2, 24/01/2011, n. 1566), non applicandosi al giudizio di cassazione l’art. 346 c.p.c., sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito non si forma alcun il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio.

5. E la medesima sorte accompagna anche lo scrutinio del quarto motivo di ricorso, la prima allegazione del quale (il decidente, attingendo ad un proprio conforme precedente, avrebbe ritenuto che la responsabilità azionata nella specie sarebbe di natura extracontrattuale, quando invece si era inteso far appello alla responsabilità contrattuale della Federconsorzi) si rivela appunto inammissibile per difetto di interesse, condividendosi a riguardo il rilievo del P.M. secondo cui “non si comprende quale sia l’interesse che sorregge la censura”, e risultando la pronuncia cosi adottata comunque assistita da congrua ed adeguata motivazione; mentre la seconda e la terza (l’una intesa a biasimare il fatto che si fosse introdotto un nuovo tema di indagine nel ritenere che non fosse dovuta la capitalizzazione per difetto di una fonte negoziale, l’altra volta a conseguire il riconoscimento della capitalizzazione in ragione della rendicontazione presentata alla Corte dei Conti) risultano, a loro volta, inammissibili poichè entrambe dirette a reiterare, sotto diversa veste, le medesime doglianze già illustrate nel primo motivo e già oggetto di analoga declaratoria.

6. Il ricorso va dunque respinto con ovvio riflesso di spese a carico del soccombente nei soli confronti delle parti costituite ovvero nei confronti del MEF e della Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federconsorzi, esclusa la Federconsorzi in liquidazione ed in concordato preventivo non avendo costei svolto alcuna attività processuale.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori della Federconsorzi nella somma cadauno di Euro 10200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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