Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29982 del 29/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 14/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29982
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
L.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato
in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato
CIABATTINI SGOTTO LIDIA, che lo rappresenta e difende, giusta mandato
a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
BANCA REGIONALE EUROPEA SPA – subentrata in tutto il patrimonio
attivo e passivo della Banca CASSA DI RISPARMIO DI TORTONA SPA a
seguito di incorporazione di quest’utima società in persona del
Presidente, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27,
presso lo Studio TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dagli
avvocati TRIFIRO’ SALVATORE, MOLTENI GIORGIO, ZUCCHINALI PAOLO,
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6010/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
17.7.08, depositata il 20/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Lidia Sgotto Ciabattini che
insiste nell’accoglimento del ricorso;
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO FRESA
che ha concluso per l’improcedibilità del ricorso.
Fatto
FATTO E DIRITTO
L.B. aveva lavorato presso la Cassa di Risparmio di Tortona dal 1965 al 1978, mentre da quella data in poi si era impiegato altrove; il medesimo godeva di pensione integrativa a carico del fondo interno ed al momento di pagamento della pensione obbligatoria da parte dell’Inps è sorta questione sull’ammontare della pensione integrativa e in particolare sul sistema con cui calcolare la pensione erogata dall’Inps e cioè se questa andasse calcolata, secondo la tesi del lavoratore, solo sul monte contributivo risultante all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro, oppure se andasse calcolata, come sosteneva la Banca, nella maggior somma di cui al monte contributivo acquisito anche con la contribuzione versata dal successivo datore di lavoro dopo lo scioglimento del rapporto con la Banca. Nel primo caso, dovendo essere detratta dalla pensione integrativa una somma minore per la pensione Inps, il trattamento integrativo sarebbe risultato in misura maggiore, ed era questa la pretesa fatta valere davanti al Tribunale di Roma, che la rigettava con statuizione confermata dalla locale Corte d’appello, che considerava univoca la volontà espressa dalle parti nel regolamento che disciplina la pensione integrativa.
Avverso detta sentenza ricorre il L. con due motivi, mentre la Banca resiste con controricorso;
Con i due motivi di ricorso si imputa sostanzialmente alla sentenza di avere erroneamente valutato le disposizioni concernenti il regolamento del fondo integrativo, invocando il ricorrente la clausola di cui all’art. 2, comma 5, che starebbe a dimostrare che la pensione Inps da considerare è solo quella maturata nel periodo di servizio prestato presso la Cassa di Risparmio. La controparte a sua volta richiama il medesimo articolo, u.c. in cui si prevede che la pensione Inps da considerare deve essere comprensiva di qualunque supplemento aumento o maggiorazione; Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di improcedibilità del ricorso; Letta la memoria adesiva della Banca; Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;
infatti, se tale è la materia del contendere, si comprende che per accertare la effettiva disciplina della pensione integrativa e verificare se vi sia stata in relazione ad essa la violazione dei canoni ermeneutici lamentata è imprescindibile il deposito del relativo regolamento.
Questo infatti è il “documento su cui il ricorso si fonda e pertanto doveva essere allegato al ricorso per cassazione come prescrive l’art. 369 c.p.c., n. 4 che ricollega la improcedibilità al suo mancato deposito;
E’ stato infatti affermato (tra le tante Cass. Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010) che ” In tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto;
tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile….”.
Nella specie risulta che, unitamente al ricorso, sono stati depositati i fascicoli dei pregressi gradi di giudizio, ma non si precisa se e dove in essi sia inserito il documento citato. Il ricorso va quindi dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro trenta/00 per esborsi e duemila/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011