Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29979 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 31/12/2020), n.29979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6919/2016 proposto da:

D.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonella Troiano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D’.Va., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe

Avezzana n. 31, presso lo studio dell’avvocato Flauti Alessandra,

rappresentata e difesa dall’avvocato Paone Alberto, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Lanciano, con sentenza n. 237/2014, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra D.P. e D’.Va. e poneva a carico dell’ex marito l’obbligo di versamento a favore dell’altro ex coniuge, a titolo di assegno divorzile, di Euro 300 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo Indici Istat.

2. L’appello proposto dal D. avverso la citata sentenza è stato rigettato dalla Corte d’appello di L’Aquila con sentenza n. 57-2016, pubblicata il 15-1-2016 e notificata nella stessa data. La Corte territoriale ha ravvisato sussistente lo squilibrio tra i redditi degli ex coniugi, come accertato dal Tribunale, effettuando la comparazione tra detto redditi e ritenendo lo squilibrio reddituale accertato non compensato da quello dei patrimoni, valutata la consistenza del patrimonio immobiliare dell’ex marito e raffrontata con quella dell’appellata, su cui gravavano anche le spese di locazione, mentre in costanza di matrimonio, durato 19 anni, la D’. abitava la casa coniugale di proprietà esclusiva dell’ex marito. La Corte d’appello ha, inoltre, affermato che non era stato dimostrato in causa, in base alle testimonianze assunte e richiamate nella sentenza, che l’appellata svolgesse altre attività lavorative, oltre a quella di insegnante di educazione fisica, assunta in ruolo dopo la sentenza di separazione, in quanto la palestra, di proprietà dell’appellata, era chiusa per infiltrazioni di acqua.

3. Avverso questa sentenza D.P. propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, nei confronti di D’.Va., che resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

5. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella decisione del ricorso.

2. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo il vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ossia della L. n. 898 del 1970 art. 5, comma 6, per non avere la Corte d’appello verificato se l’ex moglie potesse essere considerata economicamente autosufficiente, in base all’età ed alle possibilità di lavorare, atteso che la stessa, successivamente alla separazione consensuale con cui il marito si obbligava a corrisponderle un assegno pari ad Euro650, era stata assunta con contratto a tempo indeterminato quale insegnante di educazione fisica ed era proprietaria di un locale ad uso palestra, fonte di ulteriori potenziali guadagni; (ii) con il secondo motivo il vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ossia dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma, n. 4, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare specificatamente il motivo sollevato nell’atto di appello (pag. 7) in ordine alla mancata prova del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, richiamando principi giurisprudenziali sotto un profilo giuridico astratto e senza contestualizzarli al caso di specie, sicchè la sentenza era da ritenersi nulla per motivazione apparente su un fatto decisivo; (iii) con il terzo motivo il vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e all’art. 2697 c.c., perchè risultava omessa l’individuazione della prova dalla quale desumere che il medesimo tenore di vita potesse essere garantito con la corresponsione di un assegno divorzile di Euro300; (iv) con il quarto motivo il vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte di merito omesso l’esame del motivo di appello (pag. 9 atto di appello) relativo alla mancanza di ogni prova che i redditi accertati in capo alla resistente non fossero sufficienti a garantire un tenore di vita analogo a quello matrimoniale, violando così l’art. 2697 c.c., e l’art. 132 c.p.c., stante l’assenza di motivazione sul punto, sì da risultare impedito il controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge sul divorzio, in particolare dell’art. 5, comma 6, in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento; (v) con il quinto motivo il vizio di violazione di legge, ossia della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per non avere la Corte territoriale esaminato i parametri indicati nel citato articolo, dato che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico criterio di riferimento ai fini della statuizione dell’assegno divorzile, come da giurisprudenza richiamata nella pronuncia n. 11/2015 della Corte Costituzionale; (vi) con il sesto motivo il vizio di violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 115 e 228 c.p.c. e segg., per travisamento della prova, avendo la Corte d’appello, nel richiamare le risultanze dell’interrogatorio formale del ricorrente D., estrapolato una sola frase dal contesto più ampio relativo all’intera risposta data dall’interrogando, come risulta dal verbale di udienza del 22.01.2014, che allega al ricorso, ed in particolare avendo il ricorrente precisato che la quota dell’impresa familiare, prima di titolarità dell’ex moglie, era stata trasferita al figlio, sicchè il 49% degli utili dell’impresa spettano a quest’ultimo, in base a quanto pacifico in causa e accertato anche dalla Guardia di Finanza con la relazione in atti; (vii) con il settimo motivo il vizio di violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione all’art. 345 c.p.c. e alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere la Corte di merito, in via preliminare, dichiarato inammissibile la produzione documentale ai sensi dell’art. 345 c.p.c., senza considerare che dette prove erano state reperite in epoca successiva al primo grado in quanto formatesi successivamente, così incorrendo nella violazione sia della norma processuale dettata dall’art. 345 c.p.c., sia della legge sul divorzio, disponendo l’art. 5 di detta legge la valutazione all’attualità della decisione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile.

3. I primi quattro motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti concernenti il tenore di vita degli ex coniugi e le capacità economiche dell’ex moglie, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

3.1. Il ricorrente, nel denunciare vizi di violazione di legge segnatamente della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, con il primo e il quarto motivo – si duole, in realtà, dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e detta allegazione è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, in quanto è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054/2017). Nel caso di specie, la violazione di legge denunciata viene prospettata dal ricorrente sulla base degli assunti, imprescindibili, che non siano stati provati il tenore di vita degli ex coniugi in costanza di matrimonio e le reali condizioni economiche dell’ex moglie, anche in relazione alle sue potenziali capacità lavorative. La violazione di legge lamentata è, dunque, mediata dalla valutazione delle risultanze processuali, presupponendo una diversa ricostruzione, in fatto, della fattispecie concreta, e pertanto la censura di cui trattasi è inammissibile.

La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. – denunciata in ricorso con i motivi terzo e quarto – è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove, come nella specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395/2018).

Non ricorre il vizio motivazionale – denunciato, cumulativamente con quello di violazione di legge, con i motivi secondo, terzo e quarto – nè quello di omessa pronuncia (motivi terzo e quarto) perchè la Corte territoriale ha argomentato con motivazione idonea (Cass. n. 8053/2014) il proprio convincimento in ordine al ritenuto squilibrio reddituale tra gli ex coniugi ed alla situazione economica della ex moglie, anche con riferimento alle sue potenzialità lavorative, pronunciando su tutte le questioni oggetto di devoluzione.

4. Il quinto motivo è inammissibile.

4.1. Il ricorrente, pur lamentando la mancata considerazione degli altri parametri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per un verso svolge le proprie considerazioni critiche, espresse con i primi quattro motivi, richiamando, appunto, il criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio e, per altro verso, non precisa affatto quali degli altri parametri abbiano rilevanza nella fattispecie.

5. Il sesto motivo è infondato.

5.1. Il ricorrente assume che le sue parole, in ordine alla disponibilità esclusiva in capo a lui dei profitti dell’impresa familiare, avrebbero assunto un significato diverso se messe in relazione con una frase successiva, riportata nel verbale d’interrogatorio. In definitiva, pertanto, lamenta l’errata interpretazione, da parte della Corte territoriale, delle dichiarazioni confessorie dallo stesso rese. L’interpretazione della prova è rimessa esclusivamente al giudice di merito e la censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Non ricorre il vizio motivazionale, essendo stato argomentato in modo idoneo il convincimento espresso dalla Corte territoriale sul punto (pag. n. 6 sentenza), e nella sentenza impugnata si dà atto che la restante quota dell’impresa familiare, prima intestata all’ex moglie, era stata di seguito intestata al figlio, sicchè il fatto, assunto come decisivo e travisato, è stato anche esaminato.

6. Il settimo motivo è inammissibile.

6.1. Il ricorrente si duole genericamente della declaratoria di inammissibilità della produzione documentale dal medesimo effettuata in appello, senza specificamente indicare quale sia il contenuto dei documenti di cui trattasi, rendendo così impossibile apprezzarne la rilevanza. La censura è, pertanto, generica e difetta di autosufficienza.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

10. Va disposto che in casi di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

PQM

La Corte rigetta i ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200, per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA