Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29979 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7863-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA FENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PC GENERATION S.R.L. IN LIQUIDAZIONE in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA, 28 SC

A, presso lo studio dell’avvocato MARCO ALBANESE, rappresentata e

difesa dagli avvocati FABIOLA DEL TORCHIO, CLAUDIO COSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4891/7/2016 della COMMISSIONE, TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 26/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, nei confronti della PC Generation srl (che si è costituita con controricorso, pure depositando memoria), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente l’avviso di accertamento notificato per la ripresa a tassazione di IVA per l’anno 2006 – è stato rigettato l’appello contro la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della parte contribuente, ritenendo che l’Ufficio era decaduto dal potere accertativo, in assenza di denunzia anteriore all’accertamento, trovando applicazione il regime normativo di cui alla L. n. 208 del 2015, comma 132.

La ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 comma 3, del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 comma 3, e art. 11 preleggi. Lamenta in particolare che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che il raddoppio dei termini dell’azione accertativi dipendesse dalla previa denunzia di reato, per di più applicando retroattivamente il D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, in vigore dal 2.9.2015.

La censura, ammissibile in rito, è inammissibile, essendosi formato il giudicato interno sull’infondatezza nel merito della pretesa fiscale ritenuta, con autonoma ratio, dal giudice di primo grado.

Ed invero, come puntualmente evidenziato dalla controricorrente, la CTP di Milano, non si era limitata ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il c.d. raddoppio dei termini di decadenza, ma aggiunse a tale statuizione, preceduta dall’avverbio ‘Infinè, l’autonoma valutazione per cui criticità evidenziate nell’avviso di accertamento sono state analiticamente e dettagliatamente smentite dalla parte ricorrentè.

Orbene, a fronte di tale affermazione, chiaramente espressiva di una valutazione di infondatezza nel merito dell’accertamento spiccato nei confronti del contribuente, autonoma rispetto alla ritenuta inapplicabilità della disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, l’Agenzia delle entrate propose appello unicamente con riferimento al capo della decadenza dell’azione accertativa. Tale circostanza ha determinato, così, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in punto di infondatezza nel merito dell’accertamento. Statuizione che, per effetto della formazione del giudicato interno sull’infondatezza nel merito della pretesa- rilevabile anche d’ufficio-cfr. Cass. n. 6326 del 16/03/2010- rende, per l’effetto, inammissibile la censura esposta dall’Agenzia, relativa alla questione del c.d. raddoppio.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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