Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29979 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 19/11/2019), n.29979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24226-2013 proposto da:

SAIPEM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA A. GRAMSCI 7, presso lo studio

dell’avvocato PIERO COLANTONE LECIS, che la rappresenta e difende,

giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

SAIPEM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA A. GRAMSCI 7, presso lo studio

dell’avvocato PIERO COLANTONE LECIS, che la rappresenta e difende,

giusta procura notarile Notaio C.G. in Milano del

07/01/2014, rep. 46197;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 20/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 11/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. NICASTRO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLANTONE LECIS che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito della liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni Modello Unico/2006 e Modello 770/2006, entrambe per l’anno d’imposta 2005, effettuata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, fu notificata alla SNAMPROGETTI s.p.a. (successivamente incorporata nella SAIPEM s.p.a.) una cartella di pagamento, che recava l’iscrizione a ruolo, tra l’altro: a) dell’imposta sul reddito conseguito da una società estera controllata dalla stessa SNAMPROGETTI s.p.a. e con sede in uno Stato o territorio con regime fiscale privilegiato (liquidazione delle imposte dovute in base al Modello Unico/2006); b) di ritenute alla fonte per Euro 444.789,00 (liquidazione delle imposte dovute in base al Modello 770/2006). L’iscrizione a ruolo dell’imposta sul reddito conseguito dalla società estera controllata era scaturita, in particolare, dal fatto che la SNAMPROGETTI s.p.a. – che nel 2005 aveva dichiarato una perdita fiscale – aveva assoggettato i redditi del soggetto estero, a essa imputati, a tassazione separata con l’aliquota del 27 per cento, indicata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 167, comma 6, primo periodo, nel testo vigente ratione temporis, anzichè con l’aliquota ordinaria dell’IRES del 33 per cento (prevista dall’art. 77 dello stesso decreto, anch’esso nel testo vigente ratione temporis). L’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte era scaturita dall’asserito indebito scomputo di precedenti eccedenze di versamento.

2. La cartella di pagamento e i due ruoli furono impugnati, con due distinti ricorsi, davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc: “CTP”) che, dopo averli riuniti, li accoglieva.

3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale I di Milano, propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc, anche: “CTR”), che lo accolse parzialmente. Per quanto interessa in questa sede, la CTR, in via preliminare, rigettò l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla SAIPEM s.p.a. per essere stato l’atto di appello sottoscritto non dal Direttore ma dal Capo dell’Ufficio controlli senza che fosse stata prodotta in giudizio una corrispondente specifica delega, sull’assunto che la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio da parte del preposto al reparto competente doveva ritenersi validamente apposta anche in assenza di tale produzione, considerato che “la Società si è limitata a fare l’eccezione, senza nulla allegare a dimostrazione della presunta abusiva posizione del firmatario dell’appello”. Nel merito dell’impugnazione, la CTR: a) in riforma della sentenza della CTP, dichiarò la legittimità dell’iscrizione a ruolo dell’imposta sul reddito conseguito dalla società estera controllata, in particolare: a.1) negando che tale iscrizione a ruolo dovesse essere preceduta dalla comunicazione dell’esito della liquidazione della dichiarazione (cosiddetto “avviso bonario”) Modello Unico/2006; a.2) affermando che lo stesso reddito doveva essere assoggettato a tassazione con l’aliquota del 33 per cento (in quanto “occorre tener presente che al QUADRO RM – Redditi soggetti a tassazione separata e a imposta sostitutiva – Imposte immobili e attività finanziarie all’estero, in colonna 5, è inserita l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito indicato in colonna 2, fino a concorrenza dell’importo di colonna 4, per la parte riferibile al dichiarante. Per il quadro RM, riferito alla tassazione degli interessi percepiti all’estero, è applicabile l’imposta sostitutiva del 27% sugli interessi percepiti su conti correnti o di deposito (12,50% nel caso di interessi da obbligazioni) o, in alternativa, l’opzione per la tassazione ordinaria; la Società contribuente non ha dato prova di avere diritto all’applicazione dell’aliquota più bassa e non ha compilato il quadro RM del Modello Unico. Secondo la Suprema Corte, in un caso diverso, ma a questo speculare (Cassazione civile, sez. trib., n. 16628/28.07.2011), solo dal corrispondente quadro, il cui contenuto ben riporta la composizione dei costi sostenuti, è possibile rintracciare i presupposti dell’imposta”); b) confermò l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00 (affermando che “per (esse) la Società contribuente ha prodotto documentazione, che l’Ufficio non è stato in grado di contestare in modo idoneo. L’appello dell’Agenzia delle entrate non merita pertanto accoglimento sul punto delle ritenute IRPEF, per i motivi esposti e in virtù dei principi sopra affermati con riferimento all’onere della prova. Infatti la società contribuente ha formulato idonee contestazioni in merito all’esistenza di circostanze modificative e/o estintive dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che l’Ufficio non ha puntualmente contestato neppure in giudizio”).

4. Avverso tale sentenza di secondo grado, la SAIPEM s.p.a. propose ricorso per revocazione ordinaria, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 64, davanti alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che – dopo avere sospeso, su istanza della stessa SAIPEM s.p.a., il termine per proporre il ricorso per cassazione – lo rigettò.

5. Avverso la stessa sentenza di secondo grado, limitatamente alla parte di essa concernente l’iscrizione a ruolo dell’imposta sul reddito conseguito dalla società estera controllata, ricorre per cassazione la SAIPEM s.p.a., che affida il proprio ricorso, notificato il 28 ottobre 2013, a tre motivi.

6. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 4 dicembre 2013. Con lo stesso atto, l’Agenzia delle entrate ha altresì proposto ricorso incidentale, per la parte della sentenza della CTR concernente l’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00, affidato a un unico motivo.

7. La SAIPEM s.p.a. resiste al ricorso incidentale con controricorso.

8. La stessa SAIPEM s.p.a. ha depositato una memoria.

9. Il ricorso e il ricorso incidentale sono stati discussi alla pubblica udienza del 17 settembre 2019, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, con riguardo al rigetto della propria eccezione di inammissibilità dell’appello per essere stato l’atto di appello dell’Agenzia delle entrate sottoscritto dal Capo dell’Ufficio controlli e non dal Direttore, la “(v)iolazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, art. 11, comma 2, nonchè dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. La ricorrente lamenta, in particolare: a) quanto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, impongono che l’Ufficio documenti l’esistenza di una delega di firma del direttore in favore del sottoscrittore dell’atto di appello, e l’art. 2697 c.c. pone a carico dello stesso Ufficio l’onere di provare la propria capacità di stare in giudizio; b) quanto al vizio di motivazione, che la CTR non avrebbe “sufficientemente motivato e chiarito (…) quale avrebbe potuto essere, nella specie, l’onere probatorio in capo al contribuente in ordine alla prova su tale questione”.

Il motivo è infondato quanto alla denuncia di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed è inammissibile quanto alla denuncia del vizio di motivazione della sentenza.

1.1. Quanto alla prima denuncia di violazione o falsa applicazione di norme di diritto – che, concernendo la validità o no del procedimento, deve essere più correttamente inquadrata nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – va ribadito il principio, costantemente affermato da questa Corte, che, “(i)n tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (Cass., 21 marzo 2014, n. 6691, Rv. 630527-01; nello stesso senso, ex plurimis, Cass., 15 gennaio 2009, n. 874, 18 ottobre 2011, n. 21546, 26 luglio 2016, n. 15470, 30 ottobre 2018, n. 27570 e 25 gennaio 2019, n. 2138).

Alla luce di tale ormai consolidato principio di diritto – rispetto al quale sono inconferenti i richiami operati dalla ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte in tema di validità della procura alle liti al difensore – deve affermarsi la correttezza della sentenza impugnata, là dove, sulle premesse della non necessità della produzione in giudizio di una specifica delega al preposto al reparto competente che abbia sottoscritto l’atto di appello e dell’onere del contribuente di allegare e di provare l’eventuale posizione abusiva di tale sottoscrittore, ha asserito, in assenza di tale prova, l’ammissibilità dell’appello sottoscritto dal Capo dell’Ufficio controlli.

1.2. La denuncia del vizio di motivazione della sentenza è inammissibile.

Con tale doglianza, la ricorrente lamenta il difetto di sufficienza della motivazione della sentenza impugnata, in ordine, in particolare, alla propria eccezione di inammissibilità dell’appello. Tale difetto, in base alla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 1, comma 1), qui applicabile ratione temporis, non può più essere dedotto quale vizio di legittimità, avendo la suddetta formulazione circoscritto il sindacato sulla motivazione della sentenza di merito impugnata ai soli casi della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, ma “con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza”. Al di fuori dei casi menzionati, il vizio di motivazione può essere dedotto solo per “omesso esame di un fatto storico”, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (così, per tutte, Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 e 7 aprile 2014, n. 8054).

2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, per avere la CTR negato che l’iscrizione a ruolo dell’imposta sul reddito conseguito dalla società estera controllata dovesse essere preceduta dall’invito alla contribuente a fornire i chiarimenti necessari previsto da detta disposizione, nonostante ne ricorresse, nella specie, il presupposto applicativo della sussistenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, relative, in particolare, all’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167.

Il motivo non è fondato.

Dalla sentenza della CTR e dalle difese delle parti si evince che: a) nella dichiarazione Modello Unico/2006, presentata dalla società contribuente, l’imposta dovuta sul reddito conseguito dalla società estera controllata era stata determinata applicando l’aliquota del 33 per cento e così pedissequamente dichiarata; b) la contribuente aveva versato l’imposta sullo stesso reddito nella misura risultante dall’applicazione dell’aliquota del 27 per cento.

Ciò chiarito, va rammentato che la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, stabilisce, al suo primo periodo, che, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti dalle dichiarazioni, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti, “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. In base a tale chiara disposizione, pertanto, l’obbligo di trasmettere al contribuente, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo, il menzionato invito è previsto solo nel caso in cui sussistano delle incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, mentre, in caso contrario, nessun obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente grava sull’amministrazione finanziaria (ex plurimis, Cass., 12 aprile 2017, n. 9463 e 30 ottobre 2018, n. 27562).

Orbene, nessuna incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione è ravvisabile nella fattispecie in considerazione, nella quale l’amministrazione finanziaria si è limitata a iscrivere a ruolo la differenza tra l’imposta risultante dalla dichiarazione della contribuente e quella da essa versata (nel senso della non necessità dell’invito nei casi in cui la liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni faccia emergere la non corrispondenza tra l’imposta dichiarata e quella versata, ex plurimis, Cass., 24 gennaio 2018, n. 1711).

Contrariamente a quanto sembra reputare la ricorrente, il ricordato presupposto applicativo della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, primo periodo, non potrebbe ritenersi integrato in ragione dell’esistenza di incertezze sull’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167 (relativamente, in particolare, all’aliquota applicabile nel caso in cui il soggetto residente controllante abbia dichiarato una perdita fiscale). Questa Corte ha infatti chiarito che l’obbligo dell’invito al contribuente sorge solo in presenza di incertezze (di rilevante portata) che derivano dal contenuto intrinseco della dichiarazione o dal confronto tra essa e i dati di cui l’amministrazione finanziaria ha la disponibilità, ma “non anche in caso di esistenza di incertezze di natura interpretativa” (Cass., 11 maggio 2012, n. 7329).

Ne consegue che, non sussistendo, nella specie, alcuna incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria non aveva alcun obbligo, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, prima di procedere all’iscrizione a ruolo, di instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e n. 5), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167, commi 1 e 6, per avere la CTR affermato, in contrasto con tali disposizioni, che, nel caso in cui il soggetto residente controllante abbia dichiarato una perdita fiscale, i redditi del soggetto non residente controllato sono assoggettati a tassazione con l’aliquota del 33 per cento.

Il motivo non è fondato.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, disponeva che, “(s)e un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati”.

Il successivo, dello stesso art. 167, comma 6, sempre nel testo vigente ratione temporis, disciplina, nei suoi primi due periodi, le modalità, rispettivamente, di tassazione (primo periodo) e di determinazione (secondo periodo) dei redditi delle imprese controllate estere (Controlled Foreign Companies – CFC) imputati, “per trasparenza”, al soggetto residente ai sensi del citato comma 1. Detto comma 6 stabilisce, in particolare, che “(i) redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento. I redditi sono determinati in base alle disposizioni del titolo I, capo VI, nonchè degli artt. 96, 96-bis, 102, 103, 103-bis; non si applicano le disposizioni di cui all’art. 54, comma 4, e art. 67, comma 3”.

La questione in esame riguarda le modalità di tassazione dei redditi delle CFC e, più specificamente, l’aliquota applicabile a tali redditi nel caso in cui il soggetto residente controllante abbia dichiarato una perdita fiscale o, comunque, non abbia prodotto alcun reddito imponibile proprio.

Con riguardo a tale specifica questione, in due precedenti occasioni, questa Corte, premesso che la legislazione fiscale sulle CFC ha una ratio spiccatamente antielusiva, in quanto l’imputazione cosiddetta “per trasparenza” richiama alla disciplina tributaria interna redditi prodotti in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, ha chiarito che, per effetto della regola antielusiva (CFC rule), il reddito dell’impresa controllata estera è trattato come reddito della controllante residente in Italia ed è quindi assoggettato all’aliquota interna: pro tempore, all’aliquota del 33 per cento (Cass., 28 febbraio 2017, n. 5154 e 27 luglio 2018, n. 19991).

Il reddito dell’impresa controllata estera è assoggettato alla più ridotta aliquota media, comunque non inferiore al 27 per cento, solo nel caso in cui il soggetto residente controllante sia effettivamente provvisto di una tale aliquota media, per avere conseguito un reddito che è stato legittimamente assoggettato, in parte, ad aliquote agevolate.

Ne consegue, sempre secondo i due citati precedenti – che questo Collegio condivide e ai quali intende, perciò, dare continuità – che il soggetto residente controllante che non abbia prodotto alcun reddito imponibile proprio, e che è quindi sprovvisto di una propria aliquota media, non può assoggettare i redditi del soggetto non residente a lui imputati “per trasparenza” all’aliquota del 27 per cento. Tale misura percentuale del 27 per cento è infatti prevista dal legislatore come soglia minima dell’aliquota media, sicchè essa non può venire in rilievo quando una tale aliquota non vi sia. L’applicazione, in questo caso, dell’aliquota del 27 per cento si tradurrebbe, d’altra parte, nel riconoscimento di un trattamento fiscale agevolato giustificazione.

L’aliquota applicabile nel caso in cui il soggetto controllante abbia dichiarato una perdita fiscale o, comunque, non abbia prodotto alcun reddito imponibile proprio è, dunque, quella del 33 per cento.

Ne consegue la correttezza della conclusione cui è pervenuta la CTR, ancorchè espressa sinteticamente e con qualche imprecisione, dell’applicabilità dell’aliquota del 33 per cento al reddito dell’impresa controllata estera imputato alla ricorrente, non avendo questa titolo, in quanto risultata sprovvista di una propria, più ridotta, aliquota media, per assoggettare lo stesso reddito a quest’ultima aliquota, comunque non inferiore al 27 per cento.

4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso e/o l’omessa motivazione con riguardo alla parte della sentenza impugnata concernente l’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00, per non avere la CTR indicato da quali elementi abbia tratto il proprio convincimento in ordine all’infondatezza di tale iscrizione a ruolo (e dell’appello dell’Agenzia delle entrate sul punto) e, in particolare, quali fossero i documenti, prodotti dalla contribuente, ritenuti idonei a comprovarla.

4.1. Preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo, sollevata dalla SAIPEM s.p.a. nel controricorso al ricorso incidentale, sull’assunto che esso sarebbe “diretto a ottenere un inammissibile riesame del merito”.

Il motivo in esame, infatti, non si sostanzia in una censura di merito sull’accertamento di fatto operato dalla CTR in ordine all’esistenza delle eccedenze di versamento scomputate e, in particolare, nella prospettazione di una diversa lettura o interpretazione dei documenti sulla base dei quali tale esistenza è stata affermata, ma consiste, piuttosto, nella denuncia del carattere meramente apparente della motivazione del provvedimento impugnato, in quanto essa, riferendosi genericamente alla documentazione prodotta dalla contribuente, non consentirebbe di comprendere il fondamento della decisione.

4.2. Nel merito, il motivo è fondato.

In proposito, va ribadito il principio che si ha motivazione apparente – anomalia che, come si è visto al punto 1.2., è denunciabile in cassazione pure dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) a opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b)) – quando la motivazione, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01; in senso conforme, Cass., 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).

La motivazione dell’impugnata sentenza della CTR rientra in modo paradigmatico in tale grave anomalia argomentativa, concretizzando, perciò, un caso di motivazione apparente, chiaramente al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 2014).

Con riguardo all’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00, la CTR ha affermato che “per (esse) la Società contribuente ha prodotto documentazione, che l’Ufficio non è stato in grado di contestare in modo idoneo” e che “la società contribuente ha formulato idonee contestazioni in merito all’esistenza di circostanze modificative e/o estintive dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che l’Ufficio non ha puntualmente contestato neppure in giudizio”.

Tali affermazioni non estrinsecano il ragionamento che ha indotto il giudice di appello al convincimento dell’infondatezza dell’iscrizione a ruolo, atteso che esse non consentono di comprendere nè quali “documentazione” e “idonee contestazioni”, che l’ufficio non avrebbe adeguatamente contestato, la CTR abbia considerato ed esaminato nè la valenza probatoria delle stesse (nel senso dell’apparenza della motivazione che faccia generico riferimento alle produzioni in atti senza indicare i documenti esaminati e la valenza probatoria degli stessi, Cass., n. 13977 del 2019 e 30 maggio 2019, n. 14762). Contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso al ricorso incidentale, la motivazione della sentenza impugnata, nella parte che concerne l’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00 (integralmente citata al punto 3. dei “Fatti di causa”), non fa alcun riferimento nè ai cosiddetti “cedolini” dei lavoratori dipendenti della SAIPEM s.p.a. (l’unico richiamo a tali documenti è operato, alla sesta pagina, a proposito di altre e diverse iscrizioni a ruolo, con riguardo alle quali si afferma, peraltro, che “i cedolini dei dipendenti prodotti non costituiscono dimostrazione adeguata e sufficiente”) nè alla sentenza di primo grado e agli specifici documenti da essa esaminati.

5. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale deve essere accolto in relazione al suo unico motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a tale unico motivo del ricorso incidentale e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinchè riesamini la vicenda processuale relativa all’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte per Euro 444.789,00 fornendo un’adeguata motivazione e provveda, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte: rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale in relazione al suo unico motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione a tale motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 19 novembre 2019

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