Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29977 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 19/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 19/11/2019), n.29977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23794-2C16 proposto da:

OST SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CESARE FEDERICO GLENDI, giusta

procura in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 334/2016 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 09/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. CROLLA COSMO;

udito il R.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato STIVALI per delega dell’Avvocato

MANZI che si riporta agli scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli

scritti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. O.S.T. srl impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) del 22/4/2011 con il quale l’Agenzia del Territorio, sull’istanza avanzata dalla contribuente di variazione in categoria E/9 di parte del complesso immobiliare sito in comune di (OMISSIS), distinto all’NCEU al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS) sub 4, destinato a parco acquatico, confermava la classificazione catastale in D/3 mantenendo la rendita definitiva in Euro 88.428,00

2. La CTP di Cuneo accoglieva il ricorso evidenziando la carenza di motivazione dell’atto sotto il profilo del classamento e con riferimento alla determinazione della rendita catastale.

3.La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte accoglieva l’appello osservando, per quanto di interesse in questa sede, che il provvedimento di classamento dell’immobile era adeguatamente motivato ed appariva corretto sia in relazione alla qualificazione catastale sia con riferimento alla quantificazione della rendita.

4 Avverso la sentenza della CTR la contribuente proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione al D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, al D.M. n. 701 del 1994 e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sostiene che la CTR ritenendo assolto l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento dell’immobile con la semplice indicazione dei dati dell’immobile, si sia discostata dal più recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale in una procedura “Docfa”, almeno nel caso in cui il classamento e la rendita catastale accertati dall’Ufficio differiscono da quella proposta dal contribuente, devono essere indicate le specifiche ragioni poste a fondamento di tali diversità di giudizio.

1.1 Con il secondo motivo viene dedotta violazione o falsa applicazione del R.D. n. 652 del 1939, art. 10 in relazione al D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e D.M. n. 701 del 1994, comma 1, L. n. 278 del 2015, art. 21 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere i giudici di seconde cure erroneamente inquadrato il complesso immobiliare nella categoria D/3 sula base del solo criterio della finalità di lucro correlata all’utilizzo del bene.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1 Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione sulla motivazione degli atti di classamento ed attribuzione di rendita catastale conseguenti a procedura Docfa che si è andato recentemente consolidandosi,: “qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati là dove, in caso contrario – e cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene ma dalla divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente -la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (da ultimo, Cass.n. 977/2018 e 2497/16).Si tratta di un insegnamento che si pone in linea con quanto stabilito da Cass.n. 23237/14, la quale (richiamando Cass. ord.nr 3394/14) ha affermato che in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la procedura Docfa, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria- motivazione, che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa.

2.2 Ciò premesso nella fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte il procedimento cosiddetto Docfa, che ha condotto alla conferma del classamento, ha indubbiamente natura partecipativa nel senso che l’impugnato provvedimento si fonda sugli medesimi elementi di fatto indicati nella proposta Docfa dalla contribuente. Quest’ultima, infatti, non contesta le caratteristiche tipologiche, la consistenza catastale, l’ubicazione ed i valori economici dei terreni oggetto della proposta di variazione di categoria.La divergenza tra categoria proposta e quella riconosciuta dall’Agenzia del Territorio non è fondata su dati di fatto ma sulla valutazione di dette circostanze incontroverse e sulle conseguenze giuridiche che da tali valutazioni debbono esser fatte discendere. L’Amministrazione, infatti, sulla scorta della descrizione dell’immobile e del fine lucrativo dell’attività ivi esercitata – elementi di fatto inter partes pacifici- ha confermato il classamento dell’immobile in D/3 disattendendo la proposta del contribuente di inquadramento in E/9.

2.3 L’impugnato atto di classamento risulta sorretto da una motivazione che,per quanto sommaria, si fonda su una”causa petendi” conosciuta dalla contribuente al quale è stato garantito il diritto di confutare la classificazione del terreno in D/3 operata dall’Agenzia del Territorio.

2.4 Quanto alla motivazione della determinazione della rendita è sufficiente rilevare, come accertato dalla CTR, che la medesima risulta coincidente con quella indicata dal contribuente

3. Il secondo motivo, è parimenti, infondato.

3.1 La qualificazione nel gruppo E è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc…), con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rende sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dalla L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, a tenore del quale: “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”. Dal che si evince come la legge instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale.

3.2 Tale assunto trova convalida giurisprudenziale nel consolidato indirizzo di questa Corte secondo il quale ” In tema di classamento, ai sensi del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 4, convertito, con modificazioni, nella L. n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare ” (Cass. n. 20026/15, 7868/2016, 4223/2019).

3.3 La CTR ha confermato la correttezza della sussunzione del terreno in categoria D/3 sulla base delle seguenti considerazioni: “….corretta è la valutazione effettuata dall’Ufficio, sia con riferimento alla categoria sia con riferimento alla rendita catastale. Quanto alla prima, poichè l’immobile è un parco acquatico destinato allo svago e al divertimento costituito da piscine con scivoli, onde e svariate attrezzature, da spogliatoi e servizi, da gazebi per la vendita di gelati, da più di un bar, da una area per pic-nic, da un’area solarium (il tutto come si evince anche dalle fotografie contenute nella perizia allegata al ricorso introduttivo del giudizio) sicchè del tutto logico è il suo inquadramento nella categoria D/3, trattandosi di un bene privato utilizzato per fine di lucro. Con riguardo alla rendita catastale (pari a Euro 88.438,00) poichè la stessa risulta financo coincidente con quella indicata dalla contribuente”.

3.4 I giudici di appello hanno, quindi, fatto buon governo della normativa di settore e dei principi giurisprudenziali sopra indicati.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

4.1 Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 5.000 oltre spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 19 novembre 2019

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