Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29974 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 20/11/2018), n.29974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11441-2018 proposto da:

H.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONINO CIAFARDINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO presso la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BARI (OMISSIS),

PUBBLICO MINISTERO presso il TRIBUNALE di L’AQUILA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 144/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – H.M. proponeva opposizione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale con il quale era stata respinta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e negata ogni altra misura di protezione. L’interessato chiedeva che gli venisse riconosciuta la protezione internazionale, in via subordinata quella sussidiaria e in via ulteriormente gravata quella umanitaria. Sosteneva di essere fuggito dal Pakistan, temendo di essere arrestato, dopo essere stato coinvolto in una rissa causata da un debito non pagato da un cliente dell’officina che egli gestiva. Il Tribunale di L’Aquila rigettava il ricorso, ritenendo non sussistere i presupposti per la concessione delle tutele invocate giudicando contraddittorie le ricostruzioni offerte dal richiedente.

2. – Era proposto gravame che la Corte di appello di L’Aquila respingeva con sentenza del 25 gennaio 2018.

3. – Contro quest’ultima pronuncia H. ha proposto un ricorso per cassazione basato su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha rassegnato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte di appello applicato nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato e non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. cit. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, Lamenta l’istante che il Tribunale prima e la Corte di merito poi avevano omesso di utilizzare i poteri istruttori che gli competevano ai fini del riconoscimento della protezione internazionale: infatti, nella predetta materia doveva ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Il motivo è infondato.

La Corte di appello, dopo aver spiegato che la vicenda narrata dal ricorrente doveva considerarsi una controversia tra privati, che non esponeva l’istante ad alcuna persecuzione da parte dello Stato o di organizzazioni criminali, ha evidenziato che le ragioni addotte per giustificare la mancata denuncia dell’accaduto da parte dello stesso H. risultavano confuse e basate sul richiamo di atti che non risultavano acquisiti al giudizio di appello; ha inoltre osservato che l’assunto secondo cui il ricorrente sarebbe stato accusato di lesioni e di omicidio risultava inattendibile, siccome basato su di un documento non prodotto e su dati imprecisi.

Ciò detto, la pronuncia appare conformarsi a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che in tema di accertamento del diritto ad ottenere una misura di protezione internazionale, consente di superare il dato della mancata prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, ove il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, abbia fornito un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi, le dichiarazioni rese siano coerenti, plausibili e correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il caso, abbia presentato la domanda il prima possibile o comunque abbia avuto un valido motivo per ritardarla e dai riscontri effettuati il richiedente sia da ritenere attendibile (cfr. Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138). In particolare, la Corte del merito ha rettamente conferito rilievo decisivo alla oggettiva non credibilità dei fatti rappresentati dal richiedente.

Quanto alla mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi, va osservato che l’istante nemmeno spiega quale sia lo specifico oggetto degli accertamenti che i giudici di merito avrebbero dovuto porre in atto con riferimento alla vicenda che interessa.

2. – Col secondo motivo è lamentata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). L’istante si duole del fatto che la Corte di appello non abbia riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, come meglio definita dalla sentenza della Corte di giustizia C-465/07. Osserva il ricorrente che, con particolare riferimento alla protezione sussidiaria, le esigenze di protezione derivanti da violenza indiscriminata non discendono dalla sola guerra dichiarata, ma si estendono a situazioni di violenza generalizzata non altrimenti controllabili dalle autorità locali. Evidenzia il ricorrente che il Pakistan è interessato da un vero e proprio stato di guerra, avendo particolarmente riguardo alla presenza di bombardamenti alla frontiera con l’India. Deduce inoltre, sempre con riferimento alla protezione sussidiaria, che diversi report attestavano che il paese soffriva di una forte limitazione delle libertà di espressione e di informazione.

Anche tale motivo va disatteso.

L’ultimo profilo di doglianza si riferisce a un tema di cui la Corte di merito non si occupa e che l’istante non deduce essere stato dedotto nella percorsa fase di merito. Va qui rammentato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, onde il ricorrente ha comunque l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197). Il detto profilo è peraltro estraneo alla fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), posto a fondamento della domanda di protezione sussidiaria cui fa riferimento il motivo di ricorso.

Per quanto attiene alle restanti deduzioni, occorre certamente muovere dal rilievo per cui l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale ex cit. art. 14, lett. c) – non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese, lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083). La Corte di appello ha nondimeno osservato che la violenza per motivi politici e religiosi praticata in alcune zone del Pakistan non possa riguardare il ricorrente, sia perchè di fede musulmana, sia perchè proveniente da regione non interessata a tale fenomeno. Il motivo di censura, del resto, nemmeno prospetta l’esistenza di un conflitto che abbia assunto le dimensioni di cui si è sopra detto.

3. – Il terzo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte di appello riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela.

Deduce l’istante che diritti fondamentali, come quelli alla salute e all’alimentazione, non tutelati dalle diverse forme della protezione internazionale e della protezione sussidiaria, sarebbero posti in serio pericolo nel caso di rimpatrio.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata non prende in esame la questione relativa alla lesione dei diritti sopra indicati e spiega che la protezione umanitaria era stata di contro invocata prospettando, in modo però generico, condizioni di privazione delle libertà personali e deducendo, oltre alla giovane età del richiedente, le precarie condizioni economiche di questo. Mentre il profilo relativo alla soppressione delle non meglio chiarite libertà personali non è stato posto a fondamento del motivo di ricorso in esame, l’istante ha lamentato, con esso, il mancato apprezzamento delle esigenze di tutela dei propri diritti alla salute e all’alimentazione. come si è detto. Nondimeno, si tratta di una doglianza che presenta il connotato dell’assoluta novità e che, come tale, implicando accertamenti di fatto, non è deducibile col ricorso per cassazione (per tutte: Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319).

Tale rilievo, che incide sulla stessa ammissibilità della censura, esime da ogni ulteriore considerazione quanto alla rilevanza che possano oggi assumere, nella materia che interessa, le disposizioni introdotte col D.L. n. 113 del 2018. Pur potendosi infatti dibattere dell’immediata applicabilità delle modifiche introdotte col detto decreto, nel caso in esame viene in questione un profilo, quello della novità delle deduzioni del ricorrente, che preclude in radice l’esame del motivo di censura e che risulta pertanto assorbente, quale che sia l’ambito della protezione cui l’istante – a seguito del richiamato intervento legislativo – possa oggi ambire.

4. – In conclusione, il ricorso è respinto.

5. – Non è luogo a statuire sulle spese processuali, stante la mancata resistenza da parte del Ministero.

L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 stante la prenotazione a debito dipendente dall’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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