Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29964 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7823-2019 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE

STROZZI n. 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BARBARA VIDOTTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 31/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 12.6.2017 il Tribunale di Trieste rigettava il ricorso proposto da A.R. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello l’ A. e la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, n. 31/2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione A.R. affidandosi ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, che si individua a partire da pag. 12 del ricorso, posto che la parte iniziale dell’atto è dedicata esclusivamente alla riproposizione dei motivi di appello proposti avverso la decisione di primo grado, il ricorrente attinge in modo indistinto tutte le forme di protezione, internazionale e umanitaria, senza tuttavia confrontarsi in modo adeguato con la valutazione di non credibilità della storia, formulata tanto dal Tribunale che dalla Corte di Appello.

La censura è inammissibile. Il ricorrente dichiara che aver raccontato di aver subito reiterate aggressioni ad opera di imprecisati “gruppi terroristico – mafiosi” (cfr. pag. 2 del ricorso) con scontri a fuoco, ferimenti e reiterati ricoveri in ospedale; di aver denunciato invano i fatti di cui anzidetto, ottenendo come unica conseguenza il rapimento e l’uccisione dello zio; di essersi, al fine, risolto ad abbandonare il proprio Paese per timore di ulteriori ripercussioni. Il racconto non è stato – come già detto – ritenuto credibile da entrambi i giudici di merito; la Corte di Appello, in particolare, afferma che gli episodi riferiti dall’ A. “sono rimasti incerti e fumosi nel tempo e nello spazio” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) e tale statuizione non risulta in alcun modo attinta dalla censura proposta dal ricorrente, che non contrappone alcun elemento di specificazione del racconto che il giudice territoriale avrebbe trascurato di esaminare, o valutato in modo non coerente.

Del pari inammissibile, per la sua estrema genericità, è la censura riferita alla mancata considerazione del contesto interno esistente in (OMISSIS), Paese di origine del richiedente, posto che la Corte di Appello indica le fonti informative idonee ed aggiornate che ha consultato e le specifiche informazioni da esse ricavate (cfr. pag. 6 della sentenza). Di conseguenza, risulta rispettato il precetto stabilito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di esaminare la domanda di protezione internazionale “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che dette informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative”.

Altrettanto generica è la confutazione relativa al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, poichè la Corte triestina dà atto che il richiedente non aveva documentato alcuna idonea forma di integrazione nel tessuto socio-ecomomico italiano e, quindi, alcun profilo di vulnerabilità, e la censura nulla contrappone a tale statuizione. Va ribadito, in argomento, che ai fini della concessione della tutela umanitaria il richiedente deve dimostrare di essere esposto, in caso di rimpatrio, al rischio di subire una lesione al nucleo ineludibile dei suoi diritti fondamentali, nella declinazione che di tale concetto è stata affermata dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471). Poichè nel caso specifico il ricorrente non indica alcuno specifico profilo di vulnerabilità, o elemento concreto, che il giudice di merito non avrebbe considerato o avrebbe considerato in modo non corretto, ma si limita a ribadire che in (OMISSIS) esisterebbe un contesto di generale pericolo ed insicurezza, di per sè non sufficiente a giustificare la concessione della protezione umanitaria, la censura non è assistita dal necessario grado di specificità.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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