Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29962 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5409-2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO n.

14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FAUSTO TOMASELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 784/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 27/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 18.12.2017 il Tribunale di Trieste rigettava il ricorso proposto da B.A. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il B. e la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, n. 748/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.A. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,8 e 11, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2,8,27 e 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio di motivazione, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente condotto la valutazione di credibilità della sua storia personale, ritenendo in particolare che il richiedente avesse fatto riferimento ad un solo episodio di aggressione, laddove egli aveva invece inteso descrivere una sequela di eventi che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese per timore di essere perseguitato.

La censura è inammissibile. La Corte di Appello dà atto che il B. aveva riferito di essere fuggito dal (OMISSIS), suo Paese di origine, perchè appartenente ad una famiglia (OMISSIS), che un giorno, durante la preghiera, era stata assalita da un gruppo di sunniti, i quali gli avevano fratturato le gambe. Il ricorrente contrappone a questa versione di aver riferito di appartenere ad un gruppo, gli sciiti, oggetto di sistematici episodi di persecuzione ad opera della maggioranza sunnita. La censura non coglie l’effettiva ratio del rigetto della domanda di protezione avanzata dal richiedente, in quanto la Corte triestina non si è affatto basata, nella valutazione della storia personale del B., sul numero degli episodi di aggressione da questi riferiti, ma ha piuttosto ritenuto che l’espatrio sia stato causato, principalmente, dalla condizione di povertà del ricorrente (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). La valutazione di non idoneità del racconto non è in alcun modo attinta dalla censura in esame, con la quale il ricorrente denuncia il presunto errore di metodo che la Corte territoriale avrebbe commesso – appunto, consistente nell’aver ritenuto che il racconto si riferisse ad un solo episodio – senza tuttavia avvedersi che alla base del rigetto della domanda vi è un giudizio di non idoneità dei fatti narrati a giustificare il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 del D.Lgs. n. 25 del 2008, 2, 27 e 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio della motivazione, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria.

La censura è inammissibile. Lo stesso motivo dà atto (cfr. pag. 11 del ricorso) che il collegio triestino è pervenuto al rigetto della domanda di protezione sussidiaria sulla base di notizie tratte da C.O.I. aggiornate ed idonee, in particolare consistenti nel rapporto redatto dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice di esaminare la domanda di protezione internazionale “… alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che dette informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative”.

Le Country of Origin Information (cosiddette “C.O.I.”) assumono quindi un ruolo centrale nell’istruzione e nella decisione delle domande di protezione internazionale, poichè la relativa decisione deve essere assunta, per precisa disposizione normativa, sulla base delle notizie sul Paese di origine, o di transito, del richiedente che siano tratte da fonti informative specifiche ed aggiornate. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha rispettato tale disposizione, poichè ha esaminato la condizione interna del (OMISSIS) facendo riferimento al rapporto della Commissione Nazionale per il diritto di asilo, che è l’organo deputato per legge ad assicurare la disponibilità di informazioni attendibili ed aggiornate alle varie Commissioni territoriali. Il riferimento, contenuto in sentenza, consente certamente di verificare l’attendibilità e la pertinenza dell’informazione utilizzata dal giudice di merito, onde non si configura alcun profilo di violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria previsto e declinato dal già richiamato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Nè rileva il fatto che la Corte territoriale non abbia ritenuto, nel suo insindacabile apprezzamento, di non utilizzare le fonti informative allegate da parte ricorrente a sostegno della domanda di protezione, internazionale o umanitaria, posto il ben noto principio per cui la valutazione del materiale istruttorio costituisce un terreno di indagine tendenzialmente riservato al giudice di merito, “… il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: coni. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 2 Cost., art. 8 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè il vizio della motivazione, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile. La Corte triestina dà atto che il richiedente non aveva documentato alcuna idonea forma di integrazione nel tessuto socio-economico italiano e, quindi, alcun profilo di vulnerabilità. In particolare, la sentenza impugnata evidenzia che il B. aveva documentato un impiego a tempo determinato e part-time in Italia (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), e ritiene che ciò non sia sufficiente a dimostrare la predetta integrazione. Sulla base di tale valutazione, non utilmente sindacabile in questa sede perchè si risolvente in un giudizio di fatto, il giudice di merito ha ritenuto che il rimpatrio non esponesse il richiedente al rischio di subire una lesione al nucleo ineludibile dei suoi diritti fondamentali. Tale statuizione, da ritenersi coerente con i principi e la declinazione del predetto nucleo ineludibile che sono stati affermati da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471) non è adeguatamente attinta dalla doglianza in esame, con la quale il B. non indica alcuno specifico profilo di vulnerabilità, o elemento concreto, che il giudice di merito non avrebbe considerato o avrebbe considerato in modo non corretto, ma si limita a ribadire che in (OMISSIS) esisterebbe un contesto di generale pericolo ed insicurezza, di per sè non sufficiente a giustificare la concessione della protezione umanitaria. Per poter ottenere tale forma di tutela, infatti, è necessario che il richiedente deduca e dimostri una condizione individuale di debolezza e vulnerabilità tale che, alla luce della condizione del Paese di origine e del livello di integrazione socio-lavorativa conseguito in Italia, si possa ritenere che il suo rimpatrio rischi di esporlo al pericolo di subire una lesione. Prova che, nel caso di specie, non risulta raggiunta.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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