Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29961 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 19/11/2019), n.29961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25804-2018 proposto da:

C.A., considerata domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE STRANGIO;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 535/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata in data 1/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.A. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la Fondiaria SAI Assicurazioni S.p.a. (ora Unipolsai Assicurazioni S.p.a.) per sentirla condannare alla corresponsione dell’indennizzo per i danni patiti in seguito al furto del motociclo KAWASAKI 1000 di sua proprietà, avvenuto in data 24 novembre 2012, pari all’importo di Euro 6.800,00, corrispondente al valore assicurato del mezzo (Euro 8.000,00), decurtato dello scoperto del 15%, o alla diversa somma che fosse ritenuta dovuta.

Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda, che contestò sia in ordine all’an che al quantum, ed eccependo il dolo dell’assicurata, con conseguente inoperatività della garanzia assicurativa, nonchè la nullità del contratto per “sopraassicurazione” dolosa dell’assicurato.

Con sentenza n. 2557/2017, pubblicata il 1 marzo 2017, il Tribunale di Milano rigettò la domanda e condannò la C. al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza C.A. propose appello contestando sia l’omessa applicazione dell’art. 1226 c.c. sia la sua condanna alle spese.

Si costituì Unipolsai Assicurazioni S.p.a., chiedendo, per quanto ancora rileva in questa sede, il rigetto dell’impugnazione con conferma della sentenza impugnata.

La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 535/2018, pubblicata in data 1 febbraio 2018, rigettò l’appello e, per l’effetto, confermò la sentenza appellata, condannò la C. al pagamento delle spese di lite di quel grado in favore dell’appellata e diede atto della sussistenza dei presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, e che la parte appellante era tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Avverso la sentenza della Corte di merito C.A. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo e illustrato da memoria.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevato che, pur avendo la ricorrente depositato prima dell’adunanza camerale l’asseverazione di conformità della copia analogica del ricorso nativo digitale, il ricorso è, comunque, improcedibile, atteso che la copia della sentenza impugnata e depositata in questa sede risulta autenticata dall’avv. Ares Aymo Maringolo, in qualità di difensore di C.A., in data 11 settembre 2018, successivamente, quindi, al conferimento in data 20 luglio 2018, da parte della C., al solo avv. Giuseppe Strangio, della procura speciale per proporre il ricorso all’esame.

Ed invero questa Corte ha affermato il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui “a seguito della nomina del difensore in cassazione e, quindi, dell’assunzione del patrocinio, l’autenticazione della copia della sentenza d’appello, ai fini del ricorso, non può essere effettuata da un altro avvocato cui non sia stata conferita la procura speciale per la proposizione del suddetto ricorso, essendo solo il primo, sulla base della procura rilasciatagli per il giudizio di legittimità, abilitato all’attività di accesso presso il giudice della sentenza impugnata, al fine di ottenere la copia della sentenza dalla cancelleria o di acquisire le credenziali per l’accesso al fascicolo telematico. (Nella specie, la S. C. ha dichiarato improcedibile il ricorso per cassazione, essendo stata l’autenticazione della copia della sentenza impugnata effettuata da un difensore il cui ministero era cessato)” (Cass., ord., 29/11/2018, n. 30846).

2. Il Collegio osserva che, a prescindere dal rilievo di improcedibilità, il ricorso, in ogni caso, non avrebbe avuto alcuna prospettiva di accoglimento, in base alle ragioni appresso indicate.

3. L’unico motivo è così rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – mancata applicazione art. 1226 c.c. – vizio di ultrapetizione della sentenza in appello in violazione del combinato disposto degli artt. 112 e 345 c.p.c. – nullità”.

Con tale mezzo la ricorrente deduce che il Tribunale e la Corte di merito, con argomentazioni tra loro diverse e contrastanti, avrebbero rigettato la domanda in violazione dell’art. 1226 c.c., avendo tali Giudici omesso, per ragioni diametralmente opposte, di esercitare il potere discrezionale loro attribuito dalla predetta norma.

Sostiene la C. che il Tribunale, “pur riconoscendo la sussistenza del motociclo perfettamente funzionante e che lo stesso era stato oggetto di furto, in seguito al quale la ricorrente aveva subito un danno”, aveva rigettato la domanda in quanto non sarebbe stata fornita la prova del valore del bene.

La motivazione della sentenza di primo grado sul punto sarebbe stata appellata sul rilievo, che qui interessa, che il motociclo aveva un valore al momento del furto, anche se oggettivamente non quantificabile, che tale furto aveva in ogni caso arrecato un danno alla ricorrente (danno in re ipsa, secondo quest’ultima). Ad avviso della C., il Tribunale avrebbe potuto liquidare il danno in via equitativa ex art. 1226 c.c., sussistendone i presupposti e non avrebbe, invece, dovuto rigettare la domanda per carenza probatoria sul preciso valore del mezzo al momento del furto, in quanto il Tribunale avrebbe dovuto verificare, anche d’ufficio, se la domanda di indennizzo proposta dovesse essere accolta nei limiti della somma richiesta (Euro 6.800,00) o, invece, se tale domanda potesse ritenersi fondata per un importo inferiore e non rigettarla tout court per mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine al preciso ammontare del valore del mezzo al momento del furto.

La ricorrente sostiene che la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito – che, diversamente dal Tribunale, avrebbe ritenuto che la C. non abbia fornito “la prova dell’esistenza del danno”, sarebbe illogica ed erronea perchè il danno, come conseguenza del furto subito sarebbe comunque in re ipsa. Inoltre, secondo la ricorrente, dalla prova testimoniale sarebbe emerso che il motociclo, successivamente alla data (29 ottobre 2012) dell’incidente, in cui aveva riportato lievi danni, anche se non riparato, era perfettamente funzionante. Pertanto, “alla data del furto, il motociclo era integro ed idoneo alla circolazione e aveva comunque un valore economicamente apprezzabile, anche se non esattamente quantificabile. La sottrazione del mezzo ha provocato un effettivo danno economico alla proprietaria che la compagnia assicuratrice è tenuta a risarcire”.

La ricorrente pertanto “censura la mancata liquidazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. da parte dei Giudici di merito, pur in presenza di tutti i presupposti fattuali e giuridici che consentono al Giudice l’esercizio di tale potere discrezionale”. Sostiene la C. che “L’omessa pronuncia di liquidazione del danno in via equitativa non è stata adeguatamente motivata sotto il profilo logico-giuridico dai Giudici di merito, i quali, con argomentazioni tra loro confliggenti hanno disatteso la legittima richiesta di indennizzo dei danni proposta dalla ricorrente”.

Assume la ricorrente che la sentenza di primo grado, con statuizione passata in giudicato, avrebbe acclarato la sussistenza di un danno economico risarcibile subito dalla ricorrente, runica difficoltà” sarebbe stata ravvisata dal Tribunale nell’esatta quantificazione del valore del bene al momento del furto. La questione inerente alla sussistenza di un danno effettivo e risarcibile a seguito del furto subito non avrebbe costituito motivo di impugnazione e, quindi, al riguardo, si sarebbe formato il giudicato.

Ad avviso della C., la cognizione della Corte di merito era circoscritta alla quantificazione del valore del bene al momento del furto e al se la stessa potesse avvenire in via equitativa; ed invece detta Corte, in palese violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., avrebbe “emesso una sentenza affetta da vizio di ultrapetizione, in quanto avrebbe escluso un fatto la cui sussistenza era già stata positivamente acclarata con decisione passata in giudicato, ovvero la prova che la ricorrente avesse subito, a seguito del furto, un danno

effettivo e risarcibile”.

3.1. Il motivo sarebbe stato comunque, infondato, ove fosse stato scrutabule.

Ed infatti non sussiste la lamentata violazione degli artt. 112 c.p.c., perchè nessuna specifica statuizione passata in giudicato circa la sussistenza del danno si desume dalla sentenza del Tribunale, risultando, peraltro, la stessa decisa in base alla cd. ragione più liquida.

Inoltre, non ricorre nella specie una ipotesi di danno in re ipsa, al più si potrebbe ipotizzare un possibile ed eventuale danno.

Va poi rimarcato che la sussistenza e l’entità materiale del danno sono state ritenute non provate dai Giudici del merito (v. sentenza di primo grado p. 2, in cui si afferma “nulla essendo stato provato in termini utili in merito allo stato della moto” e sentenza della Corte territoriale p. 7 in cui si afferma che “nella specie C.A. non ha provato, come era suo onere, l’obiettiva esistenza dell’effettività del danno che assume di aver subito”, evidenziandosi che gli elementi specificamente indicati nell’ultimo capoverso della pagina già indicata della sentenza impugnata in questa sede “sulla scorta di una valutazione complessiva dei fatti depongono per l’impossibilità di accertare l’esistenza di un danno risarcibile ancor prima di individuare il valore del bene astrattamente indennizzabile”)

e va ribadito che il relativo onere probatorio era a carico dell’attuale ricorrente.

Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22/02/2018, n. 4310), con la precisazione che l’obiettiva impossibilità o la particolare difficoltà di provare il danno nel suo preciso ammontare non esimono, però, la parte interessata – per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso – dall’onere di dimostrare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre (Cass. 17/10/2016, n. 20889). E’ stato pure affermato che la liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell’ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità (Cass., ord., 22/02/2017, n. 4534).

Tale impossibilità o estrema difficoltà nella specie non può ritenersi sussistente, in quanto l’attuale ricorrente ben avrebbe potuto produrre consulenza tecnica di parte ovvero fornire elementi certi circa il valore del veicolo dopo l’incidente o almeno sufficienti ed idonei elementi presuntivi circa la sussistenza del danno.

Le censure relative all’art. 345 c.p.c. (in memoria indicato come 245) richiamato nella rubrica del motivo non risultano neppure specificamente e chiaramente illustrate (v. p. 9 del ricorso).

4. Il ricorso, alla luce di quanto sopra evidenziato, va dichiarato improcedibile.

5. Non vi è luogo a provvedere per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 19 novembre 2019

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