Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29960 del 13/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 29960 Anno 2017
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

(SENTENZA
sul ricorso 29496-2015 proposto da:
CIERVO GOFFREDO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI
EMILIO IACOBELLI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MASSIMO RAFFIO, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2017
3066

contro
POSTE ITALIANE S.P.A. C.E.

9/103880585, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN SATURNINO 5, presso

Data pubblicazione: 13/12/2017

lo studio dell’avvocato FRANCESCA NAPPI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 3707/2015 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/06/2015 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/07/2017 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
inammissibilità o in subordine rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato IPPOLITO GIULIO per delega Avvocato
IACOBELLI GIANNI EMILIO;
udito l’Avvocato ALIFANO NICOLA MARIA per delega
verbale Avvocato NAPPI FRANCESCA.

5617/2013;

Fatti di causa
1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado
con la quale era stata respinta la domanda di Goffredo Ciervo intesa
all’accertamento della nullità, illegittimità, inefficacia del licenziamento per
giusta causa irrogato con lettera in data 15.11.2010, con conseguente ordine
di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società datrice, Poste

maturate fino alla reintegra, nonché al risarcimento del danno scaturito dalla
violazione degli obblighi di protezione ex art. 2087 cod. civ..
1.1. Il giudice di appello, ritenuto non preclusiva dell’autonomo
apprezzamento dei fatti di causa da parte del giudice civile la sentenza di
assoluzione del Ciervo dal reato di cui all’art. 314, comma 2, cod. penale,
premesso che era pacifico l’ammanco di cassa accertato in esito a ispezione
presso l’ufficio ove il Ciervo era stato applicato in sostituzione del responsabile,
ammanco sul quale era stato fondato il recesso datoriale, ha ritenuto di dover
privilegiare, rispetto alla successiva ritrattazione, in quanto più genuina, la
dichiarazione resa nell’immediatezza dei fatti dal lavoratore il quale aveva
ammesso di avere trattenuto la somma mancante per ragioni personali,
riservandosi di indicarle agli ispettori; tale versione, rispetto a quella risultante
dalla ritrattazione che ascriveva la mancanza accertata ad errore contabile,
risultava, infatti, avvalorata dalle deposizioni dei testi Castellano e De Cesare
da reputarsi più attendibili rispetto a quella del teste Buzzo, persona coinvolta
nella vicenda ; le mansioni svolte dal lavoratore, implicanti maneggio di
danaro, l’atteggiamento ambiguo da questi tenuto, la non irrilevante entità
della somma, configuravano una giusta causa di recesso dovendosi, anche alla
luce delle ipotesi esemplificative previste dal contratto collettivo, ritenere
proporzionata la sanzione espulsiva. Non sussistevano i presupposti per il
risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., prospettato in relazione alle
conseguenze psicofisiche scaturite dalla ripetute rapine verificatesi negli uffici
nei quali aveva prestato servizio il Ciervo e dai numerosi distacchi presso
diverse sedi di lavoro, posto che dall’istruttoria espletata era emerso che Poste
si era dotata di adeguati sistemi di sicurezza e che i distacchi erano

“–

Italiane s.p.a., al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni

contrattualmente previsti e comunque era stata

sempre acquisita la

preventiva disponibilità a riguardo del lavoratore
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Goffredo Ciervo
sulla base di 7 motivi;la parte intimata ha resistito con tempestivo
controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 651, 652, 653, 654 cod.proc. pen. e degli artt. 2106 e 2119 cod.
civ., censurandosi la decisione per avere ritenuto che la sentenza di
assoluzione in sede penale non precludesse l’autonomo apprezzamento dei
medesimi fatti – a base del recesso datoriale – da parte del giudice civile; in
particolare si sostiene la vincolatività in sede civile dell’accertamento della
insussistenza materiale del fatto operata dal giudice penale con sentenza
passata in giudicato.
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa fatti e documenti
decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentati dallo
stato psicofisico del Cervo all’atto dell’ispezione, che si assume avere influito
sulla dichiarazione da questi resa nell’immediatezza agli ispettori, dalla
circostanza che il lavoratore non aveva nascosto o tentato di occultare
l’ammanco di cassa, dalle condizioni oggettive e soggettive dei testi escussi.
Con riferimento alla prova testimoniale si deduce la inattendibilità delle
deposizione dei testi favorevoli a Poste per essere gli stessi dipendenti dalla
società e si sottolinea l’assenza di interesse del teste Buzzo nel confermare la
tesi del ricorrente relativa alla sussistenza di errore contabile, ove la stessa
non fosse stata veritiera.
3. Con il terzo motivo di deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
2016 cod. civ. e 2110 cod,. civ , degli artt. 1, 3, e 5 L. n. 604 del 1966 e
dell’art. 7 L. n. 300 del 1970, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e
116 anche in relazione all’art. 2697 cod. civ., insussistenza o non addebitabilità
del fatto contestato. Erronea interpretazione delle risultanze probatorie in

violazione dell’art. 5 L. n. 604 del 1966 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e
dell’art. 2697 cod. civ. . Si censura la decisione per avere ritenuto provata,
omettendo di considerare i fatti decisivi in precedenza richiamati, la
sussistenza e l’addebitabilità al Ciervo del fatto contestato; si assume che il
ragionamento presuntivo del giudice di appello era stato fondato su indizi privi
dei necessari connotati di gravità, precisione e concordanza; si contesta la

4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
1455, 2104, 2106 e 2119 cod. civ., degli artt. 1,3,5, L. n. 604 del 1966, art. 7
L. n. 300 /1970, artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , violazione degli artt. 1362 e
sgg. cod. civ., anche in relazione agli artt. 54, 55, 56 c.c.n.l. 11.2.2007
personale non dirigente, violazione norme ermeneutiche in tema di
interpretazione del contratto collettivo e del principio del gradualismo delle
sanzioni. Si critica la decisione perché, pur astrattamente richiamando i principi
giurisprudenziali in tema di clausole elastiche, non aveva operato una
valutazione coordinata unitaria dei dati legalmente rilevanti ai fini della
valutazione di proporzionalità della sanzione; a tal fine si sottolinea che il
dipendente non aveva mai cercato di celare l’ammanco, che difettava la
volontà di appropriarsi delle somme risultate mancanti, che il Ciervo non era
mai stato destinatario di provvedimenti disciplinari, che al momento dei fatti
versava in una situazione psico patologica particolare .
5. Con il quinto motivo si deduce omesso esame di fatti e documenti
decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, censurandosi la
statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno per violazione
degli obblighi di protezione ex art. 2087 cod. civ. . Si assume che dalla prova
orale era emersa una inadeguatezza dei sistemi di sicurezza adottati da Poste e
che, in particolare, il giudice di appello aveva omesso di considerare che la
relativa implementazione era avvenuta solo nell’anno 2005, in epoca
successiva ad alcune delle rapine subite presso gli uffici nei quali prestava la
propria attività il lavoratore.

valutazione di inattendibilità della deposizione del teste Buzzo.

6. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
2087 cod. civ. degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , dell’art. 2697 cod. civ.,
erronea interpretazione delle risultanze probatorie in violazione dell’art. 5 L n.
604 /1966 . Si assume che la decisione, nell’escludere la violazione dell’art.
2087 cod. civ. da parte della società datrice, non era conforme al principio che
impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure tecnologicamente

di specie, la inadeguatezza delle misure apprestata emergeva dalla numerose
rapine delle quali era stato vittima il lavoratore, il quale, in considerazione
della sua particolare situazione psico fisica, non avrebbe dovuto essere
esposto al relativo rischio.
7. Con il settimo motivo si censura la decisione per mancata ammissione
dei mezzi istruttorii, deducendosi violazione degli artt. 115, 116, 421 e 437
cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2967 cod. civ. e all’art. 24 Cost. nonché
omessa o insufficiente valutazione su un punto decisivo della controversia e
omesso esame di fatti decisivi. Si censura la decisione per non avere dato
ingresso alle istanze istruttorie proposte e per non avere ammesso la ctu
medico legale destinata a provare il pregiudizio sofferto ed il relativo nesso
con la condotta datoriale.
8.

Il primo motivo di ricorso è infondato alla luce del principio,

ripetutamente ribadito da questa Corte, in tema di autonomia
dell’accertamento del giudice penale rispetto all’accertamento operato in sede
civile. E’ stato, infatti, affermato che, ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del
giudizio civile di danni) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod.
proc. pen., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile
solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa
l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche
quando l’assoluzione sia determinata dall’ accertamento dell’insussistenza di
sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di
esso all’imputato e cioé quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma
dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (Cass. 11/03/2016 n. 4764); si è,

possibili per salvaguardare la salute psico – fisica del lavoratore e che, nel caso

inoltre, precisato che, in tema di effetti in sede civile, ex art. 654 cod. proc.
pen., della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dibattimentale, con
qualsiasi formula adottata, il “discrimen” tra efficacia vincolante
dell’accertamento dei fatti materiali in sede penale e libera valutazione degli
stessi in sede civile è costituito dall’apprezzamento della rilevanza in detta
sede degli stessi fatti, essendo ipotizzabile che essi, pur rivelatisi non decisivi

dedotto innanzi al giudice civile, con la conseguenza che dall’assoluzione dalla
penale responsabilità non discende in tal caso l’automatica conseguenza della
preclusione alla cognizione della domanda da parte di detto giudice (Cass.
05/01/2015 n. 13; Cass. 29/11/ 2004 n. 22484); con particolare riferimento
all’ipotesi di licenziamento per motivi disciplinari, fondato sui medesimi fatti
oggetto di imputazione in sede penale, è stato chiarito che il giudice del lavoro,
adito con impugnativa di licenziamento, non è affatto obbligato a tener conto
dell’ accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha
il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti
materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto
svincolate dall’esito del procedimento penale (Cass. 09/06/2005 n. 12134).
8.2. La sentenza impugnata ha fatto coerente applicazione di tali principi
laddove ha proceduto all’autonoma verifica e valutazione del fatti alla base
dell’intimato licenziamento considerato che, nel caso di specie, la sentenza
penale di assoluzione non conteneva alcun effettivo e specifico accertamento
in ordine alla insussistenza del fatto materiale; come esplicitato sia nella parte
motiva che nella stessa parte dispositiva, l’assoluzione dal reato ascritto è
stata, infatti, fondata sulla insufficienza di prove in ordine alla insussistenza del
fatto.
9. Il secondo motivo risulta inammissibile. In primo luogo il riferimento alla
situazione clinica del Ciervo al momento delle dichiarazioni rese all’ispettore è
articolato in maniera alquanto generica in quanto affidato a considerazioni di
fatto, prive di esplicitazione relativa agli atti e documenti di causa dai quali era
dato desumere la circostanza e, soprattutto, priva, dell’adeguata illustrazione

per la configurazione del reato contestato, conservino rilievo ai fini del rapporto

della decisività della stessa, non potendo conseguire in via automatica dalla
esistenza di tale situazione, giammai prospettata in termini di assenza di
capacità di intendere e di volere, la conferma della non veridicità delle
dichiarazioni rese dal lavoratore nell’immediatezza della scoperta dell’ammanco
di cassa. Inoltre, parte ricorrente, nel dolersi della valutazione della prova orale
da parte del giudice di merito, omette di trascrivere il contenuto delle

dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. . Questa Corte ha,infatti, ripetutamente
affermato che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o
erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai
sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere,
imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto
introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il
documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o
riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di
legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere
all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte. (Cass. 12/12/2014, n. 26174) Il
primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase
processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento; il secondo deve
essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto
contenuto ( Cass. 07/02/2011, n. 2966). In altri termini, occorre non solo che
la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi
giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza
procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di
consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza
dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte, occorre altresì che
detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia
puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini. L’inosservanza anche
di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art.
366, primo comma, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile
(Cass. 26174/ 2014 cit. ).

deposizioni che assume erroneamente valutate così incorrendo nella violazione

10. Il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile per una pluralità di
profili.
10.1. In primo luogo la modalità di deduzione della violazione di norme di
diritto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., non è conforme
all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il motivo con cui si denunzia
il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. prov. civ. deve essere

delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e
intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano
ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie,
diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento
della lamentata violazione. ( Cass. 03/08/2007 n. 5353; Cass. 17/05/2006 n.
11501 del 2006). Parte ricorrente si è sottratta a tale onere in quanto non ha
individuato le affermazioni di diritto della sentenza impugnata in contrasto con
le norme regolatrici della fattispecie ma si è limitata a contestare la valutazione
delle risultanze probatorie operata dal giudice di appello.
10.2. In secondo luogo parte ricorrente è incorsa nella violazione dell’art.
366 cod. proc. civ. ( per cui si richiama quanto osservato in sede di esame del
secondo motivo di ricorso) in quanto non ha assolto all’onere di integrale
riproduzione delle deposizioni testimoniali della cui valutazione si duole.
10.3. In terzo luogo, la deduzione del vizio di motivazione non è conforme
all’attuale configurazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., applicabile ratione
temporis, in quanto non individua alcuno specifico fatto, di rilevanza decisiva, il
cui esame è stato omesso dal giudice di merito, ma tende ad un diverso diretto
apprezzamento delle emergenze probatorie, attività preclusa al giudice di
legittimità (tra le altre, Cass. 26/03/2010 n. 7394)
11. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile. Si premette che il
giudice di appello ha ritenuto proporzionata la massima sanzione espulsiva
sulla base di una serie di elementi, attinenti al profilo oggettivo e soggettivo,
che ha ritenuto integrare la giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119

dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione

cod.civ. ; ha fatto, quindi, riferimento alle previsioni del contratto collettivo,
come argomentazione aggiuntiva, destinata ad avvalorare la considerazione di
gravità della condotta del lavoratore.
11.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la giusta causa
di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi
essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario,

lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle
circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo
intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per
stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione
del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima
sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche
provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola
generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite
valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi
tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno
natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come
violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli
elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di
fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di
errori logici e giuridici. (v., tra le altre, Cass. 26/04/2012 n. 6498).
11.2. Parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di
diritto, sotto il profilo della corretta applicazione delle clausole generali di cui
agli artt.2119 e 2106 cod. civ., non individua alcuno specifico contrasto con i
criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, nei parametri astratti ai
quali ha fatto riferimento il giudice di merito nel ritenere proporzionata la
sanzione espulsiva; le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a
contestare la valutazione di proporzionalità del licenziamento sotto il profilo
della mancata considerazione di alcune circostanze di fatto, che – si sostieneavrebbero condotto ad escludere l’applicabilità della sanzione espulsiva. In altri
termini, ciò che viene in concreto criticato è l’apprezzamento di fatto delle

dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al

circostanze del caso concreto ed il relativo giudizio di proporzionalità,
censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione (v. tra le altre,
Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965). Sotto questo
profilo, occorre rilevare che trovando applicazione, ratione temporis, il testo
attualmente vigente dell’art. 360 comma primo, n. 5 cod. proc. civ., la relativa
denunzia richiedeva la indicazione dell’omesso esame di un fatto decisivo e

11.3. Le deduzioni del ricorrente sono inidonee alla valida censura della
decisione sia perché le circostanze delle quali si denunzia la omessa
considerazione (assenza di precedenti disciplinari, situazione psicofisica del
lavoratore ecc.) appaiono obiettivamente prive di decisività, sia perché parte
ricorrente ha omesso di indicare il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulta l’esistenza delle
stesse, il cui esame si asserisce omesso, nonché il come e il quando le stesse
risultino nel quadro processuale ( Cass. Sezioni U. 07/04/2014, n. 8053).
11.4. Quanto ora rilevato assorbe l’esame delle ulteriori critiche formulate
alla interpretazione delle previsioni del contratto collettivo in tema di gradualità
delle sanzioni, in quanto il giudice di appello ha fondato la legittimità del
licenziamento con riferimento alla nozione legale di giusta causa di cui all’art.
2119 cod. civ. , senza specificamente ricondurre il fatto addebitato alle ipotesi
previste dal contratto collettivo, evocate nell’economia della motivazione,solo
in funzione confermativa della correttezza della valutazione di proporzionalità.
12. Il quinto motivo di ricorso è infondato, non essendo ravvisabile alcun
omesso esame di un fatto avente rilevanza decisiva da parte del primo giudice
in relazione alla questione della mancata adozione di adeguate misure di
sicurezza atte a prevenire il rischio di rapine nell’ufficio al quale era adibito il
Ciervo. Il giudice di appello, infatti, con articolata argomentazione, priva di vizi
logici, ha dimostrato di avere preso in considerazione le concrete misure di
sicurezza esigibili dal datore di lavoro pervenendo alla conclusione
dell’adeguatezza dei sistemi adottati da Poste. In particolare ha preso
espressamente in considerazione la implementazione dei sistemi di sicurezza a

controverso oggetto di discussione tra le parti.

partire da una certa data ( v. sentenza, pag. 7), di talché rispetto a tale
circostanza non è configurabile l’omesso esame denunziato con il motivo in
oggetto.
13. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile dovendosi richiamare quanto
già osservato in relazione al terzo motivo di ricorso in ordine alla corretta la
modalità di deduzione della violazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360

alcuna specifica affermazione di diritto della sentenza impugnata, in contrasto
con i principi richiamati, ma si limita in concreto a contestare l’accertamento
del giudice d’appello relativo all’osservanza da parte della società dell’obbligo
di adozione delle misure idonei all’adeguata tutela del lavoratore in osservanza
del precetto imposto dall’art. 2087 cod. civ..
14.

Il settimo motivo di ricorso è inammissibile con riferimento alla

denunzia di mancato accoglimento delle istanze istruttorie, non avendo parte
ricorrente specificamente indicato le circostanze oggetto della prova,
provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire al giudice di
legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, come suo onere (
Cass. 30/07/2010 n. 17915).
14.1. Quanto poi alla mancata ammissione della consulenza tecnica
d’ufficio, espressione di un potere discrezionale del giudice di merito ( tra le
altre, Cass. 02/03/20 n. 4185), si rileva che, in assenza di condotta datoriale
configurabile come violativa dell’obbligo di protezione ex art. 2087 cod. civ.,
non sussistevano i presupposti per far luogo alla stessa.
15. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere quindi
respinto.
16. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
17. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al
30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma

comma 1 n. 3 cod. proc. civ. . Anche in questo caso parte ricorrente non indica

t

17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della
disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per
l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto,
poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna
alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile
di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa

previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur
sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sezioni U 17/10/2014 n.
22035).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in C 4.000,00 per compensi
professionali, C 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13 .

Roma, 5 luglio 2017
Il Presidente

Il Consigliere est.

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