Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2996 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4219-2019 proposto da:

N.A., rappresentato e difeso dall’avv. GIANDOMENICO DELLA

MORA, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 693/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 29/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 6.11.2017 il Tribunale di Trieste rigettava il ricorso proposto da N.A. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il N. e la Corte di Appello di Trieste, con la sentenza impugnata, n. 693/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.A. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato al ricorrente il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza adempiere al dovere di cooperazione istruttoria nè procedere ad un esame della condizione interna esistente in Pakistan, Paese di origine del N., sulla base di fonti informative idonee, specifiche ed aggiornate.

La censura è inammissibile. Il ricorrente aveva narrato di esser stato un militante del partito (OMISSIS) e di aver intrattenuto una relazione affettiva con una ragazza i cui familiari militavano invece nell’opposto partito (OMISSIS). Una volta scoperta la relazione, i familiari della fanciulla avevano picchiato il richiedente e minacciato suo padre; temendo quindi per la propria incolumità, il N. si era risolto ad abbandonare il Paese di origine. La storia è stata ritenuta non credibile, tanto dal Tribunale che dalla Corte di Appello, alla luce delle varie contraddizioni tra le diverse versioni fornite dal richiedente, prima nel colloquio svoltosi presso la Commissione territoriale e poi innanzi il Tribunale, in occasione della sua audizione personale disposta dal giudice di merito. Contraddizioni che la Corte territoriale ha debitamente evidenziato a pag. 7 della sentenza impugnata, con articolato passaggio motivazionale non specificamente attinto dal motivo in esame, nel quale si evidenzia che il N. aveva inizialmente collocato la propria aggressione nel (OMISSIS), e quindi quando egli aveva 23 anni di età, mentre in udienza aveva poi affermato che la sua relazione con la fidanzata si era svolta quando egli aveva 17 anni. Egualmente, la Corte di Appello dà atto che innanzi alla Commissione il N. aveva dichiarato di aver conosciuto la fanciulla mentre frequentava la scuola “(OMISSIS)”, mentre dinanzi al Tribunale ha affermato di aver frequentato una scuola diversa, chiamata “(OMISSIS)”. L’incerta collocazione temporale e spaziale dei fatti salienti del racconto non risulta in alcun modo considerata dal ricorrente, il quale, quindi, non si confronta con l’effettiva ratio del rigetto della propria domanda di protezione internazionale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 19 e 29 e art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte friulana avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile. La Corte triestina dà atto che il richiedente non aveva documentato alcuna idonea forma di integrazione nel tessuto socio-ecomomico italiano e, quindi, alcun profilo di vulnerabilità. Tale statuizione non è adeguatamente attinta dalla doglianza in esame, con la quale il N. non indica alcuno specifico profilo di vulnerabilità, o elemento concreto, che il giudice di merito non avrebbe considerato o avrebbe considerato in modo non corretto, ma si limita a ribadire che in Pakistan esisterebbe un contesto di generale pericolo ed insicurezza, di per sè non sufficiente a giustificare la concessione della protezione umanitaria. Per poter ottenere tale forma di tutela, infatti, è necessario che il richiedente deduca e dimostri una condizione individuale di debolezza e vulnerabilità tale che, alla luce della condizione del Paese di origine e del livello di integrazione socio-lavorativa conseguito in Italia, si possa ritenere che il suo rimpatrio rischi di esporlo al pericolo di subire una lesione al nucleo ineludibile dei suoi diritti fondamentali, nella declinazione che di tale concetto è stata fornita da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471).

Il terzo motivo, con il quale il ricorrente argomenta esclusivamente in merito alla sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, è inammissibile, sia perchè la questione non è devoluta alla decisione di questa Corte, sia perchè la censura non contiene alcuna critica diretta avverso la decisione oggetto del ricorso in Cassazione. Ancor meno ammissibile sarebbe, la doglianza, ove per “provvedimento impugnato” dovesse intendersi la decisione della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione, posto che il sindacato di questa Corte non si rivolge direttamente contro tale provvedimento, bensì esclusivamente avverso la sentenza che viene assoggettata a ricorso in sede di legittimità.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

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