Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29958 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/11/2019), n.29958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28533-2017 proposto da:

D.B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BAIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE PONTORIERO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. SPA, GENERALI ITALIA SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 8587/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

27/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI

MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 19 marzo 2009, sul Grande Raccordo Anulare di Roma, si verificò un sinistro stradale che danneggiò le infrastrutture autostradali.

Per ottenere il risarcimento di tali danni la società Anas s.p.a. convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma la proprietaria del veicolo che aveva causato il sinistro, D.B.S., nonchè la società Generali Italia s.p.a., quale impresa designata dal fondo di garanzia vittime della strada, dal momento che il suddetto veicolo era sprovvisto di copertura assicurativa.

La Generali Italia si costituì e formulò domanda di regresso nei confronti dell’altra convenuta.

D.B.S. si costituì allegando che il veicolo causa del sinistro gli era stato rubato, ed al momento in cui causò il danno circolava prohibente domino.

2. Con sentenza 18 febbraio 2015 n. 8030 il Giudice di pace di Roma accolse la domanda principale e quella di regresso.

La sentenza venne appellata dalla soccombente Sabina D.B..

3. Con sentenza 27 aprile 2017 n. 8587 il Tribunale di Roma dichiarò inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c..

Ritenne il Tribunale che tale norma è stata voluta dal legislatore al fine di consentire al giudice di affrontare “l’esame lo studio la valutazione del gravame in modo più spiccio e concentrato” (sic); che a tale scopo “l’appellante ha l’onere di esporre in modo chiaro e assertivo quale sarebbe l’esatto modulo decisionale che si propone al giudice del gravame in sostituzione di quello adottato dal giudice a quo”, e che di conseguenza l’appellante deve proporre “un progetto di sentenza alternativo a quella realmente emessa dal giudice”.

4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione D.B.S., con

ricorso fondato su un motivo.

Nessuna delle parti intimate si è difesa.

A seguito di fissazione della trattazione in una precedente adunanza questa Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso all’ANAS, adempimento che risulta eseguito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso D.B.S. lamenta la violazione, da parte del Tribunale, dell’art. 342 c.p.c..

Deduce che tale norma richiede unicamente che l’appello sia chiaro ed intelligibile, mentre non richiede affatto un “progetto alternativo di sentenza”.

1.2. Il motivo è fondato.

11 Tribunale ha ritenuto che, per effetto della riforma dell’art. 342 c.p.c. introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. (0a), (convertito nella 1. 7 agosto 2012, n. 134), colui il quale intenda proporre appello non possa limitarsi a riproporre le ragioni in fatto ed in diritto già prospettate in primo grado, ma debba esporre “un progetto alternativo di sentenza”.

Come già stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, si tratta d’una tesi insostenibile, per due ragioni.

1.3. La prima ragione è che le norme processuali, se ambigue, vanno interpretate in modo da favorire una decisione sul merito, piuttosto che esiti abortivi del processo. Le regole processuali infatti costituiscono solo lo strumento per garantire la giustizia della decisione, non il fine stesso del processo.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite di questa Corte, sia pure in materia diversa da quella dell’ammissibilità dell’atto d’appello.

In particolare, nella decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, si è proclamato il superamento “dell’assunto della inossidabile primaria del rito rispetto al merito”, soggiungendo che tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile: sicchè tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, p.p. 5.14.6 e 5.14.8 dei “Motivi della decisione”).

1.6. La seconda ragione è che anche il diritto processuale, come quello sostanziale, non può non essere interpretato alla luce delle regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario.

Tra queste vi è l’art. 6, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea (c.d. “Trattato di Lisbona”, ratificato e reso esecutivo con 1. 2 agosto 2008, n. 130), il quale stabilisce che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…) fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. Per effetto di tale norma, dunque, i principi della CEDU sono stati “comunitarizzati”, e sono divenuti “principi fondanti dell’Unione Europea”.

Tra i principi sanciti dalla CEDU vi è quello alla effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 6 CEDU. Nell’interpretare tale norma, la Corte di Strasburgo (CEDU) ha ripetutamente affermato che il principio di effettività della tutela giurisdizionale va inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito.

Ciò vuol dire che gli organi giudiziari degli Stati membri, nell’interpretazione della legge processuale, “devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dal CEDU del 1950, art. 6”.

In applicazione di questi principi, la sentenza pronunciata da Corte EDU, II sezione, 28.6.2005, Zednik c. Repubblica Ceca, in causa 74328/01, ha affermato che le cause di nullità o di inammissibilità “non possono restringere l’accesso alla giustizia al punto tale da che sia vulnerata l’essenza stessa del diritto fatto valere. Inoltre, (le cause di nullità od inammissibilità) si conciliano con l’art. 6, p. 1, della Convenzione solo se perseguono un fine legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e/o scopo avuto di mira”.

Ed in questo senso si sono altresì pronunciate Corte EDU, I sez., 21.2.2008, Koskina c. Grecia, in causa 2602/06; e Corte EDU, I sez., 24.4.2008. Kemp c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/05.

1.7. I principi sin qui riassunti, già affermati da Sez. 3, Ordinanza n. 10916 del 05/05/2017, Rv. 644015 – 01, sono stati ribaditi – come si accennava – dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017.

Alla luce di tali principi deve concludersi che l’art. 342 c.p.c., nella sua attuale formulazione:

-) non esiga dall’appellante alcun “progetto alternativo di sentenza”;

-) non esiga dall’appellante alcun vacuo formalismo fine a se stesso; non esiga dall’appellante alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa.

1.8. Ciò posto in diritto, si rileva in punto di fatto che l’appello proposto da D.B.S. indicava in modo non equivoco le doglianze proposte: e cioè che al momento del sinistro il suo veicolo circolava contro la sua volontà.

Nessun profilo di inammissibilità era dunque ravvisabile in quell’atto di gravame.

2. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 19 novembre 2019

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