Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29954 del 25/10/2021

Cassazione civile sez. I, 25/10/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 25/10/2021), n.29954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16144/2020 proposto da:

M.W., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta

elettronica enricovillanova.pec.ordineavvocatitreviso.it,

rappresentato e difeso dall’avv. E. Villanova, per procura in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4265/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/05/2021 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Venezia ha accolto il gravame proposto dal Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che in parziale accoglimento dell’opposizione di M.W., cittadino nigeriano (Edo State), aveva riformato il provvedimento della competente Commissione territoriale – che aveva negato al richiedente ogni protezione – riconoscendogli la protezione umanitaria.

In riferimento alla vicenda personale, il ricorrente ha riferito di aver svolto l’attività di saldatore a (OMISSIS) dove si era trasferito con il fratello maggiore e lì uno dei fratelli moriva a causa dei contrasti con i mussulmani e un altro in un incidente stradale, per cui, essendo rimasto solo, raggiungeva un fratello che lavorava in Libia.

A supporto delle ragioni di accoglimento del gravame del Ministero, la Corte d’appello ha evidenziato la contraddittorietà dell’ordinanza del tribunale di Venezia che da un lato aveva negato la protezione sussidiaria per l’assenza di un serio rischio in capo al richiedente in caso di rientro nel suo paese e dall’altro aveva giustificato la richiesta di protezione umanitaria affermando che chi professa la religione cristiana è particolarmente esposto, in Nigeria, agli attacchi degli islamisti anche in considerazione della situazione di povertà in cui versava, nella presente vicenda, il ricorrente; Secondo la Corte d’appello è evidente che l’esposizione ad attacchi terroristici in ragione della propria fede religiosa va considerato un serio rischio, ma eventualmente, ai fini della protezione sussidiaria. Successivamente, la Corte d’appello ha accertato l’insussistenza di situazioni di violenza indiscriminata nel paese di provenienza per l’assenza di conflitti armati e, inoltre, non ha ravvisato la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario, infatti, la motivazione dell’espatrio era prettamente economica (il tribunale aveva giustificato il riconoscimento della protezione umanitaria sulla base di una generica “mancanza di prospettive”).

Contro la sentenza della medesima Corte d’appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base della proposizione di due questioni di legittimità costituzionale e di due motivi di ricorso.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

In via preliminare, il ricorrente propone: 1) questione di legittimità costituzionale per manifesta illegittimità del D.L. n. 113 del 2018 (che ha abrogato il permesso di soggiorno, del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6) per contrasto con l’art. 77 Cost., per assenza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza con violazione del principio per cui il potere legislativo è affidato al Parlamento; 2) questione di legittimità costituzionale per manifesta illegittimità del D.L. n. 113 del 2018 (che ha abrogato il permesso di soggiorno, del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6) per contrasto con l’art. 10, comma 2 e art. 117, comma 1, in quanto l’abrogazione del permesso per motivi umanitari è in contrasto con il diritto di asilo e con la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 (v. rubrica a p. 4 del ricorso), per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria fondato, esclusivamente, sulla mancata prospettazione da parte del ricorrente, in fase di audizione, di essere esposto a concrete minacce.

In via preliminare, le questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili, perché non rilevanti nel presente giudizio, in quanto la domanda di protezione internazionale è stata presentata prima dell’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1.

Il primo motivo e’, da un lato, inammissibile, in quanto mira a rimettere in discussione la valutazione della situazione personale del ricorrente in ordine alla sussistenza di una situazione di lesione di diritti fondamentali nel paese di origine, che la Corte d’appello aveva valutato con motivazione congrua, quindi, incensurabile nella presente sede; mentre, d’altro lato e nel merito è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

Il secondo motivo è inammissibile, perché solleva censure di merito sull’accertamento di fatto riferito sia alla situazione generale della Nigeria che alla situazione personale del ricorrente, condotto dalla Corte d’appello sulla base delle fonti informative consultate, che il ricorrente contesta ma in termini di mero dissenso.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente a pagare Euro 2.100,00 oltre SPAD, all’amministrazione statale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2021

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