Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29953 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 145/2019 proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.Q.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 217/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

pubblicata il 19/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Corte di appello di Trieste con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto l’appello proposto da S.Q., nato in (OMISSIS), avverso il provvedimento di primo grado che aveva respinto il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 proposto contro il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto credibile il racconto del richiedente, che aveva narrato di avere lasciato il suo Paese a seguito delle violenze subite perchè, pur professando la religione (OMISSIS), si era fidanzato con una ragazza di fede (OMISSIS) e per tale ragione era stato minacciato di morte e perseguitato. Respinte la altre domande, ha, quindi, accolto quella relativa alla protezione umanitaria.

Il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo. Il richiedente è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per avere la Corte d’appello fondato la propria decisione unicamente sulla base del percorso di inserimento lavorativo avviato dallo straniero in Italia, senza verificare l’esistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità rilevante nello specifico e di una incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali, tale da comportare la lesione della vita privata e familiare, come richiesto dall’orientamento inaugurato da Cass. n. 4455 del 23/2/2018.

2. Il motivo non merita accoglimento.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di appello non ha fondato il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie esclusivamente sul percorso di integrazione.

La Corte territoriale, infatti, ha affermato che nella regione di provenienza del (OMISSIS) le condizioni di vita sociali, politiche ed individuali apparivano soddisfacenti, secondo le informazioni disponibili, tanto da respingere le domande relative alle forme di protezione maggiori; ha tuttavia statuito che sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria perchè il ricorrente “sta seguendo un programma di inserimento lavorativo in Italia che, al tempo stesso, gli consente di superare le condizioni di vulnerabilità esistenti nel Paese di provenienza (in particolare i conflitti interreligiosi) e di migliorare, anche in vista di un futuro rientro in Patria, la sua capacità professionale” (fol. 3 della sent. imp.); in tal modo non solo ha valorizzato il percorso di integrazione, ma – a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente – ha anche contestualmente individuato le specifiche ragioni di vulnerabilità direttamente ricollegate alla vicenda sua personale, ritenuta credibile, da cui emergevano comportamenti vessatori e minacciosi nei suoi confronti, da ascrivere a ragioni di contrapposizione religiosa che non facevano del richiedente un semplice “migrante economico”, ed ha compiuto un’adeguata comparazione.

La decisione impugnata risulta pertanto in linea con la sopravvenuta decisione delle Sezioni Unite che, nel dare continuità all’orientamento inaugurato da Cass. n. 4455/2018, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019 hanno affermato i principi di diritto così massimati:

I) “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto D.L.”.

II) “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato.”.

Può ben dirsi, pertanto, che in conformità ai principi sopra enunciati, il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non sia stato riconosciuto nel caso di specie al richiedente – come sostenuto dal ricorrente – “considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia”, nè solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (v. Cass. n. 17072 del 28/6/2018), ma conformemente al parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che richiede “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (v. Cass. n. 9304 del 3/4/2019).

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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