Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29953 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 20/11/2018), n.29953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12813/2013 proposto da:

P.A.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ARCHIMEDE 138, presso lo studio dell’avvocato GIULIO BELLINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato NADIA CORA’;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI MANTOVA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA N. 2, presso lo studio

dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato

VINCENZO AVOLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 14/11/2012 R.G.N. 243/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato Giulio Bellini;

udito l’Avvocato Annalisa Avolio per delega verbale dell’Avvocato

Vincenzo Avolio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Dott.ssa P.A.M., già dirigente sociologo a tempo indeterminato della Asl della Provincia di Mantova, adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Mantova per l’accertamento della nullità del preavviso di risoluzione del rapporto di lavoro comunicatole dall’Azienda in data 20 ottobre 2009 e in data 18 gennaio 2010 e per l’accertamento della nullità del recesso disposto dall’Azienda con decorrenza 1 luglio 2010, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. in L. n. 133 del 2008. La domanda veniva respinta in primo grado e l’appello proposto dalla P. era rigettato dalla Corte di appello di Brescia.

2. La Corte territoriale premetteva che:

– ai sensi del citato art. 72, comma 11, nella originaria formulazione, era consentito alle Pubbliche Amministrazioni di risolvere con un preavviso di sei mesi il rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che avessero raggiunto la massima a contributiva (40 anni); la Asl, avvalendosi di tale norma, aveva comunicato alla ricorrente il preavviso di risoluzione del rapporto a decorrere dal 1 luglio 2009;

– la norma aveva subito una modifica ad opera della L. n. 15 del 2009, in forza della quale la risoluzione del rapporto di lavoro era consentita nei confronti dei dipendenti che avessero raggiunto i quarant’anni di servizio effettivo e, poichè alla data del 1 luglio 2009 la lavoratrice non era in possesso di tale anzianità di servizio, che avrebbe maturato esattamente un anno dopo, ossia il 30 giugno 2010, la Asl aveva provveduto alla sospensione della pratica di pensionamento e aveva conferito alla lavoratrice un incarico di responsabile di struttura semplice della durata di un anno, con scadenza 30 giugno 2010;

– la norma era stata nuovamente modificata dal D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, che aveva ripristinato il requisito della massima anzianità contributiva; sulla base di tale previsione, l’Azienda sanitaria aveva comunicato alla dipendente il preavviso di risoluzione con effetto dal 1 luglio 2010 (nota 20 ottobre 2009 del Direttore Generale e comunicazione in data 18 gennaio 2010).

2.1. La Corte di appello osservava, in relazione alle censure di insufficiente motivazione dei provvedimenti della Asl: a) che la nuova formulazione dell’art. 72, comma 11, nel testo applicato al momento della risoluzione del rapporto, contempla la facoltà di recesso della Pubblica Amministrazione quale determinazione adottata con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001; b) che la Asl mantovana, con la Delib. n. 578 del 2008, nel dettare i criteri per l’individuazione del personale cui applicare la risoluzione del rapporto, aveva stabilito di esercitare la facoltà di recesso nei confronti della generalità dei dipendenti in possesso della prescritta anzianità contributiva, salve quelle situazioni che fossero risultate dettate specifiche esigenze organizzative ovvero da particolari esperienze professionali acquisite dai dipendenti, quali posizioni di responsabilità infungibili, incarichi di particolare importanza strategica o tecnica; c) che non vi era contestazione in giudizio circa la generale applicazione della risoluzione del rapporto ai dipendenti che si trovassero nelle stesse condizioni dell’appellante, nè vi era deduzione alcuna circa la sussistenza nel caso di specie di una delle eccezioni stabilite dalla Delib. n. 578 del 2008; d) la censura di incompetenza funzionale e di mancanza, nella comunicazione del preavviso del 20 ottobre 2009, dell’atto amministrativo prodromico (c.d. atto presupposto) ometteva di considerare che si verte in ipotesi di atti o comportamenti gestionali posti in essere dalla Pubblica Amministrazione, quale datore di lavoro privato, e non di atti amministrativi insindacabili secondo i vizi di illegittimità di tali atti.

2.2. Rigettava le due domande subordinate in ordine alle quali l’appellante aveva lamentato l’omessa pronuncia da parte del Tribunale: quanto alla richiesta di pagamento dell’indennità di buonuscita pari a nove mensilità, che sarebbe stata concordata tra le parti nel mese di aprile 2009, risultava dalla stessa narrativa del ricorso introduttivo che nessun accordo in tal senso venne raggiunto e che la disponibilità offerta dalla lavoratrice a valutare la cessazione concordata del rapporto non si trasformò in accordo contrattuale; quanto alla domanda di pagamento dell’indennità di mancato preavviso, era sufficiente rilevare che il preavviso era stato interamente riconosciuto e lavorato dalla dipendente.

3. Per la cassazione di tale sentenza la P. propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Asl della Provincia di Mantova, che ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. in L. n. 133 del 2008 e degli artt. 1175 e 1375 c.c..

Si assume che l’art. 72, comma 11, non consente il licenziamento ad nutum generalizzato di tutti i dipendenti pubblici che abbiano raggiunto un’anzianità contributiva di quarant’anni, ma attribuisce la facoltà di risolvere il rapporto in relazione a specifiche e concrete esigenze della singola amministrazione: il provvedimento di collocamento a riposo tramite risoluzione del rapporto di lavoro emanato a norma dell’art. 72, comma 11, cit. non costituisce un obbligo e pertanto deve essere adeguatamente motivato al fine di consentire lo scrutinio giurisdizionale circa l’osservanza delle regole di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui gli artt. 1175 e 1375 c.c., anche in ragione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. Tanto premesso, si deduce che la Delib. 23 dicembre 2008, n. 578, nel definire i criteri generali per l’individuazione del personale in relazione al quale la Asl intendeva avvalersi della facoltà, aveva indicato le ipotesi che costituivano eccezioni alla regola generale; in ragione di ciò, l’Azienda avrebbe dovuto esplicitare espressamente nel preavviso di risoluzione che non sussisteva nei confronti della ricorrente alcuna di queste situazioni eccezionali.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 4 e 5. Si assume che gli atti di gestione del personale, anche a rilevanza esterna, devono essere adottati dal dirigente funzionalmente competente, che relativamente provvedimenti di gestione del rapporto di lavoro non può che essere il dirigente del personale; pertanto, nel caso in esame, il preavviso di recesso era stato adottato e sottoscritto da un organo funzionalmente incompetente.

3. Il ricorso è infondato.

3.1. La questione giuridica oggetto della presente controversia è stata già affrontata in altre occasioni da questa Corte. Si richiamano di seguito i principi espressi (cfr. Cass. n. 25378 e n. 11595 del 2016, n. 21626 del 2015), occorrendo premettere la ricostruzione degli interventi normativi che hanno interessato l’istituto, più volte modificato dal legislatore.

3.2. La facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della massima anzianità contributiva è stata prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, poi convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario prevedeva: “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti” (…) “sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa (n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello “affari esteri”), tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali”.

L’art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dalla L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 6, comma 3, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del “compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni”.

Entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima anzianità contributiva, nell’altro della massima anzianità di servizio, senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell’obbligo motivazionale. La determinazione di specifiche modalità applicative era, infatti, espressamente prevista solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti.

Successivamente, il D.L. 10 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 35-novies, convertito dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, sostituiva dell’art. 72, comma 11. Si faceva riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; si confermava il preavviso; si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all’esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; si prevedeva l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale. L’adozione di specifici criteri e modalità applicative continuava ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri.

Il comma 35-decies stabiliva, inoltre, che “Restano ferme tutte le cessazioni dal servizio per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni, decise dalle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 e successive modificazioni, in applicazione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della L. 4 marzo 2009, n. 15, nonchè i preavvisi che le amministrazioni hanno disposto prima della medesima data in ragione del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni e le conseguenti cessazioni dal servizio che ne derivano”.

Le condizioni richieste per il recesso sono rimaste immutate anche nelle successive novelle, fino all’intervento del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento” (…) “risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale” (…).

La ricostruzione della disciplina va completata con il richiamo al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, che, ha stabilito: “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”. 3.3. Le disposizioni sopra citate sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 21626 del 23 ottobre 2015, che ha affermato il carattere innovativo e non interpretativo del D.L. n. 98 del 2011, art. 16 e con la sentenza n. 11595 del 6 giugno 2016 con la quale, ribadito il principio, si è precisato che “se è chiaro che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), altrettanto chiaro e condiviso è che l’obbligo motivazionale – solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui all’art. 72, comma 11 del D.L. del 2008”.

3.4. E’ stato, quindi, affermato che la facoltà attribuita dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche Amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nei caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poichè in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro. Tale motivazione, si aggiunge, si rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perchè costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l’Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale. In mancanza, la risoluzione unilaterale dei rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), l’applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonchè l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE.

4. La sentenza impugnata ha riferito dell’esistenza della motivazione negli atti datoriali, evidenziando come nella comunicazione del 20 ottobre 2009 il Direttore Generale avesse richiamato “…tra l’altro la Delib. n. 578 del 2008, circa i criteri per l’individuazione del personale oggetto della risoluzione ex art. 72, comma 11”. Secondo i Giudici di merito, l’Azienda datrice di lavoro non si era limitata a comunicare all’attuale ricorrente la volontà di avvalersi della facoltà prevista dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, ma aveva richiamato la Delib. n. 578 del 2008, in cui erano stati indicati i criteri che sarebbero stati applicati e ciò escludeva la necessità di stabilire i criteri di scelta, oggettivi e predeterminati da ripetere nel provvedimento.

4.1. In altri termini, la Corte di merito ha ritenuto che i provvedimenti impugnati avessero richiamato – ed implicitamente anche rispettato – i criteri indicati nel provvedimento generale con riguardo alla loro applicazione alla ricorrente. L’indagine in ordine al contenuto motivazionale del provvedimento impugnato è questione di merito, sottratta al giudizio di legittimità. Ugualmente di merito è la questione (di fatto e non di diritto) della mancata applicazione nei confronti della ricorrente della deroga che consentiva alla Pubblica Amministrazione, solo in casi eccezionali, di non dare corso alla regola generale dell’esercizio della facoltà di recesso nei confronti di tutto il personale che avesse raggiunto la massima anzianità contributiva.

4.2. Il ricorso non individua le regole di ermeneutica contrattuale violate dalla Corte territoriale. Va ricordato che l’esegesi dell’atto unilaterale è riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.; inoltre, in tal caso, il ricorso non può limitarsi a prospettare un’interpretazione difforme rispetto a quella contenuta nella sentenza gravata, dovendo invece individuare le norme asseritamene violate e i principi in esse contenuti e precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 6641 del 2012, Cass. n. 14318 del 2013, Cass. n. 21888 del 2016).

5. Il secondo motivo è inammissibile. Esso si incentra sul presunto difetto di competenza funzionale del Direttore Generale a comunicare il preavviso, spettando tale potere al dirigente responsabile. Trattasi di questione giuridica di cui la Corte territoriale non parla nella sentenza impugnata, nè il ricorrente la prospetta come omesso esame di un motivo di appello.

5.1. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (ex plurimis, Cass. n. 23675 del 2013, n. 324 del 2007, nn. 230 e 3664 del 2006). Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. n. 4787 del 2012).

6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto del D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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