Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29953 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 19/11/2019), n.29953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15321-2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 49,

presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA GABRIELLA MAROTTA;

– ricorrente –

contro

SP.DO., SP.GI., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NOMENTANA 78, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

SPAGNUOLO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 325/2018 della CORTE D’APPELLO di / SALERNO,

depositata il 14/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 27 febbraio 2007 S.G. evocava in giudizio gli avvocati Sp.Gi. e Sp.Do. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la responsabilità professionale deducendo che i professionisti, nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto di impugnazione del licenziamento subito dall’attore ad opera della Banca Popolare della Penisola Sorrentina e conclusosi con sentenza del Tribunale di Salerno, confermata in appello, avevano erroneamente richiesto la reintegrazione nel posto di lavoro del cliente illegittimamente licenziato ai sensi dello statuto dei lavoratori, art. 18. Pertanto, il Tribunale, pur dichiarando l’illegittimità del licenziamento, escludeva la operatività della tutela reale per la presenza di soli sette dipendenti presso l’agenzia dove prestava lavoro l’attore, rilevando che non era possibile invocare la tutela convenzionale, riconosciuta ai lavoratori del settore dai contratti collettivi, poichè questi non erano stati nè invocati, nè prodotti dal ricorrente. Inoltre, i convenuti non avevano informato il cliente della documentazione prodotta da controparte e avevano esibito documentazione riservata della banca con ciò determinando un secondo licenziamento, notificato il 30 ottobre 2001. Aggiungeva che i professionisti, nel giudizio di impugnazione, non avevano prodotto il contratto collettivo di lavoro, con ciò compromettendo ancora una volta il diritto del cliente ad essere reintegrato nell’ipotesi di riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento;

si costituivano i convenuti spiegando domanda riconvenzionale per il pagamento dei compensi spettanti e contestando la fondatezza della pretesa;

il Tribunale di Salerno con sentenza del 10 settembre 2010, rigettava la domanda dell’attore e quella riconvenzionale spiegata dai convenuti;

avverso tale decisione S.G. proponeva appello con atto di citazione notificato il 14 ottobre 2011. Si costituivano i professionisti proponendo appello incidentale teso a contrastare la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale per il pagamento, in favore di ciascuno di essi, della somma di Euro 22.130, a titolo di compenso professionale, oltre accessori;

la Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 14 marzo 2018, riteneva infondato l’appello principale perchè il primo motivo era privo del carattere della specificità imposto all’art. 342 c.p.c. nella formulazione al tempo vigente. L’appellato si era limitato a segnalare delle imprecisioni della sentenza nella parte dedicata allo svolgimento del processo omettendo di articolare critiche avverso le ragioni della decisione impugnata e senza individuare le ricadute che le discrasie lamentate avrebbero avuto sulla statuizione finale. Il secondo motivo era infondato avendo il Tribunale correttamente applicato la regola della preponderanza dell’evidenza, segnalando che la documentazione esibita dai professionisti era finalizzata all’esercizio del diritto di difesa. Sotto altro profilo la mera argomentazione del Tribunale di Salerno riguardo alla mancata produzione del contratto collettivo non implicava che la disamina dello stesso avrebbe certamente assicurato la reintegra nel posto di lavoro. Anche perchè l’appellante si era limitato a produrre uno stralcio di tale contratto collettivo nazionale. Quanto agli obblighi di informazione, le censure erano generiche, il ricorrente era presente in udienza e lo stesso Tribunale aveva evidenziato che la violazione dell’obbligo di informazione non aveva determinato l’esito negativo del giudizio. La Corte d’Appello accoglieva, invece, l’appello incidentale articolato dai professionisti limitatamente all’importo di Euro 3056 in favore di Sp.Gi. e di Euro 2836 in favore di Sp.Do.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.G. affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso Sp.Gi. e Sp.Do..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Il ricorrente censura l’argomentazione della Corte relativa al secondo motivo per avere affermato che il gravame sul punto era generico e infondato. Al contrario, il ricorrente avrebbe indicato analiticamente i documenti costituiti dai tabulati fidi in originale e dal rapporto ispettivo riservato della Banca d’Italia e tali documenti erano stati enunciati più volte nella descrizione dei fatti di causa dei giudizi richiamati con l’atto di appello. Si trattava di documenti in originale relativi ad operazioni patrimoniali bancarie ed un rapporto ispettivo riservato, riguardante violazioni di norme bancarie e reati;

con il secondo motivo si lamenta la violazione delle medesime disposizioni oggetto del precedente motivo, oltre che dell’art. 2697 c.c. rilevando che la Corte d’Appello avrebbe rigettato il secondo motivo nonostante le deduzioni dell’appellante che attesterebbero la responsabilità aggravata dei professionisti, tanto da richiedere, nella successiva fase di giudizio, la tutela convenzionale, ma ormai tardiva, in quanto preclusa dall’art. 345 c.p.c. La Corte avrebbe ulteriormente errato nell’applicare l’art. 2697 c.c. attraverso una inesatta ricostruzione del fatto perchè, contrariamente a quanto affermato in sentenza, sarebbero stati prodotti integralmente i contratti e trascritti gli articoli relativi alla tutela convenzionale, come risulterebbe dall’indice dei documenti esibiti in primo grado;

il primo motivo è inammissibile, sia perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sia perchè non svolge una critica alla motivazione della sentenza, nè sotto il profilo della genericità, il che avrebbe richiesto la specifica indicazione ai sensi del detto art. 360 c.p.c., n. 6, del contenuto della doglianza svolta con l’appello, nè quanto all’altra argomentazione, la quale, pur riprodotta nel motivo, non viene fatta oggetto di una critica ad essa riferibile (si veda la terza pagina dell’illustrazione). Inoltre, sempre in quella pagina si sostiene che la documentazione “ben poteva essere omessa”, così non avvedendosi della contraddizione rispetto all’articolazione stessa della doglianza in appello. Nella pagina successiva si evocano, poi, le norme degli artt. 118 e 210 c.p.c. che non appaiono pertinenti e di seguito si assume la violazione dell’art. 116 in modo non conforme a quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità (secondo quanto indicato in motivazione da Cass. n. 11892 del 2016 e da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016);

anche le censure oggetto del secondo motivo ex artt. 115 e 116 c.p.c. presentano i medesimi inconvenienti. Inoltre, per costante orientamento di legittimità, l’omesso esame di un documento (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) non dà luogo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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