Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29950 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4213/2016 proposto da:

SERVIZI AUSILIARI SICILIA società consortile per azioni a totale

capitale pubblico, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

MASSIMILIANO MARINELLI, CLAUDIO ALONGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONINO MARIA CREMONA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

MULTISERVIZI S.P.A. in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 124/2015 del TRIBUNALE di AGRIGENTO,

depositata il 23/11/2015 R.G.N. 1/2012.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Agrigento, con la pronuncia n. 124/2015, ha dichiarato intercorrente tra D.D. e la Servizi Ausiliari Sicilia società consortile p.a. (da ora S.A.S.) un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e ha condannato la società a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, a titolo di indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, una somma commisurata a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto: ciò sul presupposto della illegittimità del contratto di somministrazione di lavoro stipulato con l’agenzia di lavoro interinale e in forza della cessione di azienda intervenuta tra la originaria utilizzatrice Multiservizi s.p.a. e la Servizi Ausiliari Sicilia soc. coop. p.a.;

che la Corte di appello di Palermo, con ordinanza del 5/23.11.2015 ha dichiarato inammissibile l’appello sul rilievo che alla luce della giurisprudenza consolidatasi non vi erano ragionevoli probabilità di accoglimento del ricorso.

che la S.A.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento articolando cinque motivi cui ha resistito con controricorso D.D. mentre la Multiservizi s.p.a. è rimasta intimata;

che entrambe le parti costituite hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che col primo motivo di ricorso la S.A.S. ha censurato la sentenza del Tribunale di Agrigento per violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis, conv. in L. n. 133 del 2008 e della L.R. n. 11 del 2010, art. 20, in combinato disposto con la L. n. 183 del 2010, art. 32, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte di appello escluso l’applicazione delle citate disposizioni alle fattispecie in esame in quanto, sull’assunto secondo cui la sentenza che accerta l’insussistenza dei requisiti che consentono il legittimo utilizzo dei contratti di somministrazione abbia natura dichiarativa e non costitutiva, aveva affermato che i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sarebbero iniziati prima dell’entrata in vigore delle norme sopra richiamate;

che col secondo motivo la S.A.S. ha denunciato la violazione della L.R. 29 dicembre 2008, n. 25, art. 1, comma 10, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto la sentenza che la predetta norma, che statuiva il divieto di procedere ad assunzioni, non fosse applicabile alla S.A.S. in quanto le società a partecipazione pubblica erano soggetti diversi da quelli elencati nella disposizione;

che col terzo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la sentenza di primo grado, in primo luogo, violato l’art. 2112 c.c., ritenendo che il semplice passaggio di personale, da un soggetto ad un altro, che è subentrato nell’attività economica da questo svolta, costituisca di per sè trasferimento di azienda e per non avere considerato necessario l’accertamento del tipo di attività svolta, delle concrete modalità di essa nonchè dell’omessa verifica dell’effettivo passaggio o meno di beni o strumenti materiali; in secondo luogo, per avere violato l’art. 2697 c.c., ponendo a carico della S.A.S. l’onere di dimostrare che, in presenza di fatti di per sè non sufficienti a dimostrare l’esistenza della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., non vi fosse un trasferimento di azienda;

che col quarto motivo la ricorrente ha dedotto violazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 3 e della L.R. n. 11 del 2010, art. 20, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale ritenuto che, essendo l’assunzione degli 897 lavoratori avvenuta per rispettare un diritto di precedenza imposto dal legislatore regionale, tale circostanza non avrebbe potuto essere assunta come elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.;

che col quinto motivo la S.A.S. ha censurato la sentenza per falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 1 e 36, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, essendo la S.A.S. sottoposta ad un forte ed incisivo potere di direzione, controllo e coordinamento da parte degli enti pubblici consorziati, il giudice di merito non avrebbe potuto applicare l’art. 2112 c.c., ma la disciplina delle citate disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, in tema di indisponibilità di costituire rapporti di lavoro con la PA in virtù di provvedimenti giudiziari;

che il primo motivo non è fondato. Invero, è un dato acquisito e pacifico che, nel caso in esame, si verte in ipotesi di genericità della causale dei contratti di somministrazione di lavoro stipulati dal lavoratore con la società di intermediazione. Orbene, la conversione del rapporto in capo a Multiservizi spa a far data dall’inizio del rapporto (11.6.2009), con tutte le conseguenze in tema di normativa applicabile circa i divieti di assunzione previsti dalle leggi regionali, come in seguito si vedrà, trova la sua assorbente ratio nella disposizione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, nella sua versione ratione temporis applicabile a seguito della modifica di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 247 e prima di quella di cui alla L. 24 dicembre 2009, n. 191, che testualmente prevede, in ipotesi di somministrazione irregolare, la costituzione di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione (cfr. in termini, per quel che interessa in questa sede, Cass. 15.12.2016 n. 25918 e, in motivazione, Cass. 1.8.2014 n. 17540). E’, pertanto, in virtù di tale disposizione che la Corte di merito ha individuato la decorrenza del costituito rapporto a tempo indeterminato e non per la L. n. 183 del 2010, art. 32, esaminato, invece, solo ai fini di valutare la sollevata eccezione di decadenza dall’impugnazione dei contratti disattesa in entrambi i gradi di merito; che il secondo motivo è parimenti infondato. Giova premettere che la norma censurata (L.R. 29 dicembre 2008, n. 25, art. 1, comma 10), applicabile al caso concreto perchè la decorrenza della costituzione del rapporto a tempo indeterminato è anteriore all’1.7.2009, data dell’entrata in vigore del D.L. n. 79 del 2009, art. 19 (conv. nella L. n. 102 del 2009), che ha introdotto il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis (convertito a sua volta nella L. n. 133 del 2008), testualmente recita: “E’ fatto divieto alle Amministrazioni regionali, istituti, aziende, agenzie, consorzi, esclusi quelli costituiti unicamente tra enti locali, organismi ed enti regionali comunque denominati, che usufruiscono di trasferimenti diretti da parte della Regione, di procedere ad assunzioni di nuovo personale sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Le disposizioni de presente comma non si applicano alle aziende unità sanitarie locali e alle aziende ospedaliere per le quali continuano ad applicarsi le vigenti norme nazionali in materia”. La interpretazione data dalla Corte di merito, secondo cui la disposizione in parola non è applicabile nè alla Multiservizi spa nè alla SAS che non rientrano, in quanto società per azioni a partecipazione pubblica, nei soggetti giuridici indicati, è conforme al criterio di interpretazione letterale (cd. vox iuris) volto ad attribuire alla norma il significato che si evince chiaramente dalle parole utilizzate che escludono dal divieto le società a partecipazione pubblica. Nè è possibile una interpretazione della disposizione oltre i casi tassativi non considerati perchè, trattandosi di norma eccezionale (in quanto vieta una facoltà attribuita di regola agli organi di amministrazione attiva dei soggetti giuridici indicati limitandone i poteri) e di norma finanziaria (essendo diretta ad incidere sugli stanziamenti di bilancio degli enti), non è consentita una sua applicazione in via analogica nè estensiva (art. 14 preleggi);

che il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati per essere la gravata pronuncia conforme ai principi di diritto enunciati in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24803/2015; Cass. n. 24804/2003; Cass. n. 6693/2015) in fattispecie analoghe in fatto a quella in esame e cui si intende dare seguito. In particolare, con le citate decisioni, si è affermato che tra la Multiservizi spa e la SAS era avvenuto un trasferimento di azienda, avendo la seconda società adoperato la quasi totalità della forza lavoro in precedenza addetta alla medesima attività e dipendente dalla Multiservizi stessa e che non ostava la circostanza che il fenomeno traslativo avesse riguardato soltanto il personale perchè la giurisprudenza comunitaria aveva configurato come entità economica organizzata anche il “complesso organizzato di lavoratori subordinati specificamente adibiti all’espletamento di un compito comune”. Tali statuizioni hanno ricevuto un recente avallo sempre dalla giurisprudenza Euro-unitaria (da ultimo sent. 11.7.2018 nella causa C60/2017) che ha precisato che: a) una entità economica può essere in grado, in determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali materiali o immateriali significativi, di modo che la conservazione dell’identità di una unità di questo tipo al termine dell’operazione di cui essa è oggetto non può, per ipotesi, dipendere dalla cessione di tali elementi; b) in determinati settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere ad un’entità economica che può conservare la sua identità anche dopo il suo trasferimento qualora il nuovo titolare non si limiti a proseguire l’attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore in tali compiti; in siffatta ipotesi il nuovo imprenditore acquisisce infatti l’insieme organizzato di elementi che gli consentirà il proseguimento in forma stabile delle attività o di talune attività dell’impresa cedente (punto 34); c) tale ipotesi di subentro tra imprese rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2001/23 concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, stabilimenti o di parti di stabilimento;

che nei richiamati precedenti di legittimità, si è precisato inoltre, con riguardo alle altre doglianze di cui al motivo, che non si ravvisava, altresì, alcuna violazione dell’onere della prova perchè la Corte di merito, accertata la sussistenza di un trasferimento di una attività economica organizzata, come dedotto dalla lavoratrice, ha ritenuto in sostanza infondati gli elementi contrari prospettati dalle società; si è sottolineato, infine, che non sussisteva la dedotta violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3 (che dispone che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento di azienda o di parte di azienda” ed aggiunge che tale norma non costituisce violazione della direttiva n. 2001/23) per due ragioni: a) in primo luogo perchè, anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, se vi è un passaggio di una attività economica organizzata tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, può configurarsi un trasferimento di azienda dovendo, in tal caso, interpretarsi il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, non in contrasto con la citata direttiva; b) in secondo luogo perchè, nella fattispecie in esame (ove la convenzione quadro per l’affidamento dei servizi ausiliari della Regione Siciliana alla SAS è del 14.9.2012) comunque trovava applicazione la Legge Speciale Regionale n. 11 del 2010 (che all’art. 20 ha previsto espressamente il trasferimento del personale delle società dismesse nelle società risultanti alla fine del processo di riordino), cui correttamente è stato attribuito dalla Corte territoriale valore programmatico e non precettivo e che non può interpretarsi nel senso di avere imposto autoritariamente la successione, nei vari appalti, da una società ad un’altra;

che anche il quinto motivo non merita accoglimento perchè la Corte di merito, con accertamento di fatto congruamente motivato e conforme a diritto, analizzate le disposizioni dello statuto della SAS (ed in specie quelle sui controlli risultati aderenti alle disposizioni che regolano le società per azioni di diritto comune) ha escluso che la stessa fosse assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici e che, in sostanza, costituisse una longa manus della p.a; per il resto la censura, benchè avanzata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si risolve nella mera riproposizione di una diversa interpretazione e valutazione delle clausole dello statuto senza dedurre, peraltro, alcuna violazione dei canoni ermeneutici;

che alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;

che, a parere del Collegio, non sussistevano in appello, nè sussistono in questa sede, i presupposti per la condanna della ricorrente al risarcimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., anche con riguardo al disposto di cui alla L.R. Sicilia n. 8 del 2018, art. 90, in quanto, avendo l’istituto natura sanzionatoria e officiosa, presuppone la mala fede e la colpa grave del soccombente, nel caso di specie non ravvisabili per la particolarità delle questioni trattate le cui problematiche, peraltro, per taluni aspetti, sono state oggetto anche di recente di intervento della Corte di Giustizia Europea; a ciò va, poi, aggiunto che, nel secondo grado, le spese di lite erano state compensate e ciò precludeva l’operatività della chiesta disposizione (Cass. 11.2.2014 n. 3003);

che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo mentre nulla va disposto per quelle relative all’altra intimata;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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