Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29949 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19580/2014 proposto da:

MERIDIANA FLY S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA,

MARCELLO DE LUCA TAMAJO, ANTONIO ARMENTANO, che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 36, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI ZEZZA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 970/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/01/2014 r.g.n. 2047/2012.

Fatto

CONSIDERATO

che:

La Corte di appello di Milano in riforma della pronuncia di prime cure, esclusa la decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32,comma 1 bis, dichiarava la nullità del contratto a termine intercorso fra A.S. e Meridiana Fly s.p.a. dal (OMISSIS) e, dato atto dell’intervenuto ripristino del rapporto con contratto a tempo indeterminato, condannava la società al risarcimento del danno L. n. 183 del 2010, ex art. 32, nella misura di 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto oltre accessori di legge.

Per la cassazione della sentenza ricorre Meridiana Fly s.p.a. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di tardività della notifica del presente ricorso per violazione del termine semestrale sancito dall’art. 327 c.p.c., sollevata dal controricorrente sul rilievo che l’attestazione dell’ufficiale giudiziario di avvenuta consegna, sarebbe intervenuta (in data 29/7/2014) oltre il termine sancito dalla citata disposizione, di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (28/1/2014).

E’ infatti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il principio in base al quale “in tema di notificazione” per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 – dichiarativa della sentenza della illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevede che la notificazione di atti a mezzo posta si perfeziona-, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario – deve ritenersi operante nell’ordinamento vigente un principio generale secondo il quale, qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale, almeno quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, che funge da tramite necessario del notificante nel relativo procedimento (vedi ex plurimis, Cass. S.U. 26/7/2004 n. 13970).

Nello specifico emerge ex actis che il ricorso sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica a mezzo posta, in data 28/7/2014, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza emessa dalla Corte di merito, non rilevando in tal senso, per i principi innanzi evocati, che l’ufficiale giudiziario abbia provveduto alla spedizione dell’atto successivamente (in data 29/7/2014).

2. Con il primo motivo la società deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 1 e 1 bis e L. n. 183 del 2010, art. 4, come modificato dal D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54, convertito con modificazioni nella L. n. 10. del 2011, nonchè degli artt. 11 e 12 preleggi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene la ricorrente che il comma 1 bis della disposizione citata proroghi al 31 dicembre 2011 esclusivamente il termine per l’impugnazione giudiziale dei licenziamenti per i quali, alla data di entrata in vigore della disposizione, non erano ancora decorsi i 270 giorni previsti per la proposizione dell’impugnativa giudiziale; deduce altresì che la circostanza che il legislatore abbia inteso riferirsi ai soli licenziamenti, si desumerebbe dal testuale richiamo contenuto nella norma senza alcun riferimento al regime delle decadenze introdotto con il c.d. collegato Lavoro (L. n. 183 del 2010).

Sotto altro profilo, poi, a ricorrente sottolinea che, indipendentemente dalla applicabilità o meno del comma bis alle impugnative stragiudiziali dei contratti a termine, in ogni caso, nella specie, alla data di entrata in vigore della disposizione che ha prorogato i termini, la decadenza era. comunque maturata prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, poichè la proroga introdotta non potrebbe avere efficacia retroattiva e dunque non sarebbe idonea a sanare decadenze già maturate.

3. motivo non è fondato.

Secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui va data continuità, la L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento a 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione dei licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui alla L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il (OMISSIS) (data di entrata in vigore dei cd. “collegato lavoro”) e il (OMISSIS) (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, e conseguenze legate all’introduzione “ex novo” dei suddetto e ristretto termine di decadenza (vedi Cass. S.U. 14/3/2016 n. 4913).

Privilegiando una interpretazione costituzionalmente orientata del D.L. n. 225 del 2010, art. 1, comma 54, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 10 del 2011, la proroga al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore della disciplina delle decadenze deve ritenersi applicabile anche a tutti i contratti ai quali tale regime è esteso, ivi compresa la fattispecie in esame.

Gli approdi ai quali è pervenuta sui punto la Corte di merito, coerenti coi principi summenzionati, in quanto conformi a diritto, si palesano esenti dalle critiche formulate.

4. Il secondo motivo prospetta omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno liquidato l’indennità risarcitoria prevista dalla citata disposizione, benchè il rapporto inter partes fosse stato “stabilizzato” con lettera del (OMISSIS), anteriormente alla data di instaurazione del giudizio (31/1/2012).

La censura è inammissibile perchè innanzitutto contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge nonchè di vizi di motivazione senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, così non consentendo una adeguata identificazione dei devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (vedi ex aliis, Cass. 6/5/2016 n. 9228).

5. Sotto altro versante, deve comunque ritenersi infondata.

La Corte di merito non e incorsa in alcuna omissione nell’esame di fatti decisivi per il giudizio, avendo dato atto (pag. 7 della impugnata sentenza) che il lavoratore dopo la sua estromissione dal posto di lavoro, era stato riassunto con contratto a tempo indeterminato, di tale dato fattuale tenendo conto, nella modulazione della indennità sancita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, sì da liquidarla nella misura minima.

Le conclusioni alle quali è pervenuto giudice dei gravame, sono del resto conformi a diritto perchè coerenti coi dettami della L. n. 183 del 2010, art. 32 comma 5, come autenticamente interpretato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13. La disposizione disciplina il risarcimento di un danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo” un danno, dunque da mancato lavoro, e di natura onnicomprensiva perchè ristora per intero e “conseguenze” retributive e contributive di quel danno: quindi tutti i danni sul piano retributivo contributivo che soni conseguenza, cioè sono legati da un nesso di causalità con la perdita dei lavoro (vedi in motivazione Cass. 21/9/2015 n. 18592). Nello specifico, l’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, andava a risarcire i danni scaturiti dalla nullità del termine apposto ai contratto inter partes e derivanti, per quanto sinora detto, dalla ingiustificata carenza di lavoro, anche se protrattasi sino ad epoca anteriore alla instaurazione del giudizio (31/1/2011).

6. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va rigettato.

Le spese dei presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo con distrazione in favore degli avv.ti Luigi Zezza e Roberto Afeltra.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificate pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali ed in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% e accessori di legge da distrarsi in favore degli avvoti Luigi Zezza e Roberto Afeltra.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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