Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29945 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 19/11/2019), n.29945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15664-2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ROBERTO GIULIANI;

– ricorrente –

contro

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIORGIO BATTAGLIA;

– controricorrente –

contro

MA.GI., GU.RO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 445/2018 della CORTE D’ APPELLO di CATANIA,

depositata il 26/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 4 luglio 2011, i coniugi Ma.Gi. e M.C. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Siracusa, Gu.Ro. e G.M., per sentir condannare il primo al pagamento della somma di Euro 80.650, oltre all’importo di Euro 8.946, a titolo di risarcimento dei danni e per sentir revocare, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto notarile dell’11 aprile 2011 con il quale il convenuto e la moglie avevano costituito in fondo patrimoniale una villetta per civile abitazione, sita in (OMISSIS). Deducevano di avere affidato al convenuto, promotore finanziario, somme significative per eseguire degli investimenti e che il professionista si era impossessato di tali importi in modo improprio, costituendo in fondo patrimoniale l’immobile indicato al fine di sottrarsi alle proprie responsabilità, concludendo il negozio alcuni giorni dopo avere comunicato agli attori che il capitale investito era andato interamente perduto. Si costituiva in giudizio il convenuto, contrastando le domande e chiedendo il rigetto. Nelle more del giudizio si costituiva anche la G. aggiungendo che, dopo l’introduzione del giudizio, il marito le aveva trasferito con atto del 17 maggio 2012 la piena proprietà dell’immobile originariamente costituito in fondo patrimoniale;

il Tribunale di Ragusa con sentenza del 19 febbraio 2014 accoglieva la domanda di revocatoria omettendo di statuire in ordine alla condanna del convenuto al pagamento delle spese vantate dagli attori;

con atto notificato il 2 settembre 2014 i coniugi Ma. proponevano appello davanti alla Corte territoriale di Catania lamentando l’omessa pronunzia sulla domanda di accertamento del credito e relativa condanna. Si costituivano gli appellati con separati atti chiedendo il rigetto della impugnazione e proponendo appelli incidentali in ordine all’accoglimento della revocatoria;

la Corte d’Appello di Catania con sentenza del 23 febbraio 2018 accoglieva l’appello principale proposto, condannando il Gu. al pagamento della somma di Euro 89.596, confermando nel resto la sentenza impugnata e precisando che il successivo trasferimento della casa di abitazione alla G., non avrebbe prodotto effetti nei confronti degli attori, che avevano trascritto la domanda giudiziale prima della cessione;

avverso tale decisione G.M. propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi che illustra con memoria. M.C. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dell’art. 163 c.p.c. e degli artt. 2043, 2901 e 1321 c.c.. Dalle risultanze processuali non emergerebbe la prova che il ricorrente sarebbe stato il referente dei coniugi Ma.. Al contrario lo stesso, dopo avere collaborato per numerosi anni con questi ultimi, aveva cessato ogni attività in favore di essi, fornendo il proprio apporto alla società di T.G.. La circostanza che i Ma. avessero affidato alla società di quest’ultimo la gestione degli investimenti, costituiva una scelta legittima, ma il successivo fallimento della società non poteva essere riferibile alla posizione di Gu.. D’altra parte i coniugi Ma. sarebbero stati gli unici investitori ad agire nei confronti di quest’ultimo e non verso la società,

con il secondo motivo si lamenta, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 4, e dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2901 c.c., la violazione delle norme in tema di litisconsorzio necessario e azione revocatoria. Non sussisterebbe la prova della responsabilità contrattuale del ricorrente nei confronti dei Ma. e neppure alcun profilo di responsabilità extracontrattuale. Secondo l’assunto degli investitori il promotore avrebbe ricevuto le chiavi di accesso al conto presso la IW Bank, che poi sarebbero state indebitamente consegnate al T.. Ma in questo caso i controricorrenti avrebbero dovuto evocare in giudizio la società che faceva capo a T.G.;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2643,2644 e 2901 c.c. in tema di atti soggetti a trascrizione, effetti della trascrizione ed azione revocatoria. In sede di appello la G. avrebbe fatto presente che, in data 29 febbraio 2012, era intervenuta la separazione consensuale con il Gu. nell’ambito della quale era stata pattuita la cessione della casa di abitazione, originariamente costituita in fondo patrimoniale. Si tratterebbe, pertanto, non di un trasferimento a titolo gratuito, ma a titolo oneroso, quale corrispettivo rispetto alle pretese economiche vantate dalla odierna ricorrente nei confronti del marito. Erroneamente la Corte d’Appello avrebbe dichiarato l’inefficacia del fondo patrimoniale, nonostante le statuizioni oggetto della separazione giudiziale. Da ultimo, non sarebbe corretta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui le formalità oggetto della sentenza di separazione, relativa al trasferimento dell’immobile, non sarebbero opponibili alle parti a causa della trascrizione della domanda giudiziale;

nella memoria la ricorrente fa presente che l’intimato Ma.Gi. sarebbe deceduto il (OMISSIS), come attestato dal certificato di morte, e che il nucleo familiare di quest’ultimo era composto dalla moglie e dai figli, Ma.Vi., MA.GI., MA.GA. e Ma.Ad., e chiede l’interruzione del procedimento, sia per la morte della parte, sia per la non iscrizione all’albo speciale degli avvocati cassazionisti del difensore Carla Migliorisi;

rileva la Corte che l’istituto della interruzione invece non trova applicazione nel giudizio di cassazione. Infatti, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Sez. L, Sentenza n. 1757 del 29/01/2016, Rv. 638717 – 01);

la richiesta di interruzione perchè il difensore non è iscritto nell’albo speciale è inconferente perchè la parte è rimasta intimata e non costituita per cui ha operato l’ultra-attività del mandato del difensore rispetto al quale non è stata adottata alcuna scelta di costituirsi;

i tre motivi vanno trattati congiuntamente perchè strettamente connessi e sono inammissibili perchè non sono indicate le ragioni per le quali la Corte avrebbe violato le norme citate in ricorso;

in ogni caso, il primo motivo è del tutto generico, astratto e prospetta una strategia difensiva che gli attori avrebbero potuto adottare, richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 5, senza indicare il fatto storico decisivo non considerato dalla Corte;

il secondo motivo, sembra prospettare un litisconsorzio necessario violato, in realtà insussistente e al quale non viene dedicato alcun passaggio della censura;

il terzo motivo è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, riguardo al contenuto dell’appello incidentale ed è generico e non indica le norme violate dalla Corte territoriale;

infine, la memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata irritualmente inviata per posta, in difetto di una disposizione che consenta il deposito in cassazione di memorie attraverso questo strumento e non con il consueto deposito in cancelleria;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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