Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29936 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26079/2014 proposto da:

F.G., C.D., CA.RO.GI.,

B.P., BO.AN., P.L., M.L.,

O.U., P.R., elett. dom.ti in Castrovillari, P.zza Indipendenza

n. 13, presso lo studio dell’avv. Cosimo Fortunato (comunicazioni

fax o pec);

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 529/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 28/04/2014; R.G.N.156/13

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Rocco Luigi Girolamo per delega verbale Fortunato

Cosimo Damiano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.P. e altri lavoratori, appartenenti all’area del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, avevano convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca chiedendo il riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124.

2. Il Tribunale di Castrovillari aveva accolto la domanda, ma la sentenza era stata riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che aveva posto a fondamento della decisione la norma, definita dal legislatore di interpretazione autentica, dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, della quale la Corte Costituzionale aveva escluso l’incostituzionalità.

3. Con sentenza n. 19787 del 2012 questa Corte, ricostruiti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, e, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata, rinviando alla stessa Corte territoriale in diversa composizione per un nuovo esame, finalizzato a “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”.

La sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a) quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b) quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione deve essere “globale” e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c) quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento”.

4. Il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d’Appello di Salerno con la sentenza qui impugnata n. 156 del 28 aprile 2014 che ha ritenuto infondata l’originaria domanda proposta dai ricorrenti ed ha conseguentemente accolto il gravame del Ministero, riformando la pronuncia di prime cure.

La Corte territoriale ha premesso che la sentenza rescindente non aveva accertato in via definitiva il diritto del ricorrente al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio, ma aveva solo affermato, richiamando la statuizione della Corte di Giustizia, che la mancata valorizzazione della pregressa anzianità sarebbe stata illegittima qualora avesse comportato un peggioramento retributivo sostanziale.

Il giudice del rinvio ha escluso detto peggioramento, evidenziando che nè con l’originario atto introduttivo nè in sede di riassunzione il ricorrente aveva dedotto e provato di avere subito un decremento retributivo.

5. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori sulla base di un motivo, ai quale ha opposto difese il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

2. I ricorrenti sostengono che la Corte ha omesso di esaminare la documentazione prodotta dai ricorrenti in primo grado e nella fase di riassunzione. I giudici di appello non avevano preso in considerazione i conteggi relativi alle singole posizioni giuridiche ed economiche dei lavoratori ricorrenti, ma nemmeno avevano esaminato, in particolare, il decreto di ricostruzione di carriera dei singoli che certificava quanto percepito al 1 ottobre 2000 da ogni lavoratore sulla base dell’anzianità riconosciuta in modo fittizio e piegata in modo artificioso al maturato economico al 31 dicembre 1999, nonchè l’esame delle posizioni stipendiali da Contratto Comparto scuola.

3. Preliminarmente, va considerato, che la sentenza impugnata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012.

E’ applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

4. Va, inoltre, rilevato che (Cass. n. 27475 del 2017) in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la sua produzione, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che esso è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in cassazione o lo faccia senza fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso oppure attinente alla sua fondatezza e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

Quanto alla dedotta lesione di norme del CCNL di Comparto come affermato da questa Corte lo stesso non deve essere prodotto, ma le censure dedotte in merito per essere riferite al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, devono consistere nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge o CCNL, che deve essere specificamente indicata, diversamente dalla prospettazione contenuta nel motivo di ricorso in esame, che tende ad una nuova interpretazione di questioni di mero fatto, inammissibile in sede di legittimità.

5. La sentenza rescindente, pubblicata in epoca successiva alla pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 7 giugno 2011, ha accolto l’impugnazione del ricorrente perchè “la violazione del complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8, e dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea” ed ha demandato al giudice del rinvio di “decidere la controversia nel merito verificando la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”.

6. La Corte territoriale nella definizione della controversia ha tenuto conto dei principi affermati e dei criteri indicati nella sentenza rescindente ed ha compiuto l’accertamento demandato, rilevando innanzitutto che gli attuali ricorrenti non avevano mai dedotto di avere subito, per effetto del trasferimento nei ruoli del Ministero, un decremento della retribuzione, avendo solo allegato di avere diritto ad un inquadramento stipendiale più elevato rispetto a quello riconosciuto al momento del passaggio.

7. Il giudice del rinvio, rilevato che difettava la prova del peggioramento retributivo sostanziale subito dal lavoratore all’atto del trasferimento, ha ritenuto, in conformità con i principi ed i criteri contenuti nella sentenza rescindente, che il mancato riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio ai fini dell’applicazione degli istituti previsti dal CCNL per il comparto della scuola non integra di per sè il peggioramento retributivo vietato dalla Direttiva 77/187 CEE, che in tanto può sussistere in quanto si dimostri che la retribuzione goduta presso l’ente di provenienza debba considerarsi superiore a quella riconosciuta presso l’Ente di destinazione.

8. La Corte d’Appello ha precisato che le conclusioni dei ricorrenti in riassunzione, coerentemente con quelle già rassegnate in primo grado, erano limitate al solo riconoscimento dell’anzianità maturata alle dipendenze dell’ente locale di appartenenza con i relativi effetti, e non già, nonostante le nuove deduzioni, al riconoscimento di un adeguamento ad personam per effetto del computo di altre voci precedentemente godute in misura tale da pareggiare un globale sensibile peggioramento economico all’atto del trasferimento.

9. La Corte d’Appello ha, quindi, affermato che le domande dei lavoratori erano state inizialmente formulate senza neppure una specifica deduzione di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento, e senza comunque che tale peggioramento apparisse apprezzabilmente dimostrato sulla base dei principi Eurounitari.

Ha, quindi, precisato che, sotto il primo profilo, con i ricorsi introduttivi di primo grado i lavoratori non avevano minimamente indicato quale fosse la posizione retributiva anteriore al trasferimento, nè una entità della stessa globalmente inferiore a quella relativa al nuovo inquadramento, genericamente lamentando, oltre agli effetti del mancato riconoscimento della pregressa anzianità, la percezione dell’indennità integrativa speciale in misura inferiore.

Tantomeno, proseguiva il giudice di appello, tale peggioramento era evincibile dalla documentazione allegata ai predetti ricorsi, dalla quale si evinceva che il trattamento economico in essere al 31 dicembre 1999 non solo era stato mantenuto con l’attribuzione dell’assegno ad personam, ma si era ben presto incrementato per effetto di aumenti stipendiali con decorrenza già dal 1 luglio 2000, mandandosi al competente ufficio per la liquidazione dell’indennità integrativa speciale ex D.M. 5 aprile 2001.

10. Questa Corte, in sintonia con i principi affermati dalla richiamata sentenza del giudice Eurounitario, a partire dalle sentenze nn. 20980 del 12.10.2011 e 21282 del 14 ottobre 2011, ha reiteratamente evidenziato che il giudizio di comparazione deve riguardare il trattamento retributivo globale e non può essere limitato ad un singolo istituto nè alle soli voci legate alla anzianità di servizio (v. fra le tante Cass. da n. 25066 a 25101 del 2011; Cass. da n. 12021 a 12051 del 2012; Cass. nn. 15740 e 24581 del 2014; più di recente, Cass. nn. 336, 6627, 7620, 10712, 14145 del 2015).

11. Il giudice di appello ha escluso il peggioramento retributivo, in ragione dei principi affermati dalla sentenza rescindente, a seguito di accertamento di fatto, di cui alla motivazione sopra richiamata, e tale statuizione non è stata adeguatamente censurata, atteso l’ambito del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, sopra richiamato, mancando peraltro la specifica indicazione della sede processuale di produzione della documentazione indicata di cui si deduceva l’omesso esame.

12. Alla soccombenza consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

13. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per competenze professionale, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte de(ricorrentà, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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