Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29934 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 30/12/2020), n.29934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6738/2019 proposto da:

C.M., difeso dall’avv. Patrizia Bortoletto, domiciliato

presso la Cancelleria della I sezione civile della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Bologna, con decreto depositato in data 28.01.2019, ha rigettato la domanda di C.M., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente sia dello status di rifugiato (non potendo le dichiarazioni del richiedente neppure astrattamente configurare la sussistenza di un fondato timore di subire atti di persecuzione per uno dei motivi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8), sia per la concessione della protezione sussidiaria relativa alla fattispecie di cui alle D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b) non essendo stato il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dalla (OMISSIS) per il timore di essere arrestato dai militari, per aver partecipato, quale appartenente al movimento (OMISSIS), (OMISSIS), alle manifestazioni nel (OMISSIS) contro il Servizio Sanitario, impedendo agli operatori di tale servizio l’accesso nel suo villaggio).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) legge cit., il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato in (OMISSIS).

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione C.M. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è tardivamente costituito in giudizio ai soli fini della partecipazione ad un’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata censurata la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Denuncia il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente valutato inattendibile il suo racconto non considerando che lo stesso aveva compiuto ogni sforzo per raccontare la sua storia con maggiori dettagli possibili, dando conto delle motivazioni e delle modalità con cui aveva preso parte alle manifestazioni, dell’arresto del fratello, della decisione di fuggire. Il ricorrente nega di essersi contraddetto nella sua narrazione innanzi al giudice di merito al cospetto di quella resa alla Commissione territoriale, essendosi limitato a fornire ulteriori dettagli della sua storia che precedentemente non aveva avuto modo di precisare.

2. Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile. In particolare, il giudice di merito ha evidenziato contraddizioni tra le dichiarazioni rese dal richiedente innanzi alla Commissione Territoriale e quelle poi rese in sede giudiziale (aveva successivamente riferito che nel febbraio 2016 i militari non lo avevano arrestato per non averlo trovato in casa, mentre precedentemente aveva dichiarato di essersi da tempo nascosto in altro villaggio), ed ha, inoltre, valorizzato inco(OMISSIS)uenze del suo racconto già rilevate dalla Commissione Territoriale (in particolare, non era plausibile che il proprio fratello, che era stato arrestato nel febbraio 2016, potesse avere avvisato la moglie del richiedente del mandato di arresto spiccato nei confronti di quest’ultimo, tenuto conto che si trovava in carcere).

Con tali precise argomentazioni del giudice di merito il ricorrente non si è minimamente confrontato, limitandosi a censure generiche, con conseguente inammissibilità delle medesime.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) dell’art. 25 Dichiarazione Universale Diritti dell’Uomo, degli artt. 2,10 e 32 Cost., dell’art. 11 Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e del Patto internazionale relativi ai diritti civili e politici.

Denuncia il ricorrente che il giudice di merito non ha correttamente valutato i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) legge cit. e umanitaria.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte, ai fini della concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) anche recentemente, ha statuito che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato, alla luce di fonti internazionali qualificate, come il report di Amnesty International 2017/2018 e da UN Human Rights Council del gennaio 2017 l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato in (OMISSIS) ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

In ordine alla richiesta di protezione umanitaria, va osservato che il ricorrente non si è minimamente confrontato con la valutazione effettuata dal giudice di merito secondo cui lo svolgimento di attività lavorativa solo per pochi mesi o di attività di volontariato non erano idonee a far ritenere un’effettiva integrazione o uno stabile radicamento nel territorio italiano del richiedente, le cui condizioni di vita non apparivano comunque “non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona che ne integrano la dignità” nel paese di provenienza in cui, peraltro, aveva conservato i legami familiari (moglie e figli).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in conseguenza della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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