Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29931 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. I, 30/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 30/12/2020), n.29931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33179/2018 proposto da:

D.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Donato Cicenia, giusta

procura ad litem a margine del ricorso per cassazione, con domicilio

eletto in Roma, alla via Tarano, 95, lotto C, scala A.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di NAPOLI n. cronol. 6695/2018

dell’8 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto dell’8 ottobre 2018, ha respinto la domanda di D.K., nato in (OMISSIS), di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, non ravvisando alcuna concretezza nel timore di subire una minaccia grave ed individuale alla vita, anche in considerazione del fatto che il richiedente si sarebbe potuto rivolgere alle autorità locali e dell’appoggio da questi ricevuto, nonchè l’assenza di esposizione ad un rischio effettivo in caso di rientro in Patria. Quanto alla protezione umanitaria, i giudici hanno affermato che non sussistevano particolari motivi di vulnerabilità, nè poteva parlarsi di avvenuta integrazione sociale ed economica non potendo questa evincersi dal temperamento mite e gentile e dalla frequentazione di corsi di lingua italiana.

2. Il richiedente ha dichiarato che un giorno, mentre si stava preparando da mangiare, il fuoco, a causa del forte vento, aveva distrutto completamente il terreno di cacao del vicino; il proprietario del terreno, uomo molto potente della zona, gli aveva chiesto una consistente somma di denaro per il risarcimento dei danni e lo aveva minacciato ripetutamente di morte; che si era rivolto alle guardie forestali, queste avevano accertato che l’incendio non era stato volontariamente appiccato e che il vicino lo doveva lasciare in pace, ma ciò non era accaduto; che aveva ricevuto il consiglio di andarsene per sottrarsi all’uomo potente e che la sua famiglia gli aveva detto che non sarebbe potuto rimanere in Ghana perchè il vicino lo avrebbe potuto uccidere.

3. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso D.K., con atto notificato il 7 novembre 2018, svolgendo cinque motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo D.K. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 2; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4 e 32; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 14 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a, b e c e art. 19, deducendo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che il verbale di reiezione della domanda di protezione internazionale rientrasse nell’ambito del giudizio di legittimità affidato al giudice amministrativo e che, trattandosi di giudizio di natura prevalentemente impugnatoria, correttamente erano stati dedotti la mancata consegna dell’opuscolo informativo, la redazione e la sottoscrizione del verbale da parte del solo Presidente; il contenuto sintetico e succinto del verbale di colloquio personale e la mancata traduzione del testo del verbale e del dispositivo nella lingua di appartenenza del ricorrente.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il procedimento dettato in tema di protezione internazionale, non può concludersi con il mero annullamento del diniego in sede amministrativa della protezione stessa, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto.

E’, infatti, la legge, e specificamente del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 10, che stabilisce che la sentenza del tribunale può contenere, alternativamente, il rigetto del ricorso ovvero il riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, e non anche il puro e semplice annullamento del provvedimento della Commissione (Cass., 9 dicembre 2011, n. 26480; Cass., 13 gennaio 2012, n. 420).

1.3 Nel caso in esame, peraltro, il Tribunale ha motivato sulla irrilevanza delle censure formali sollevate dal ricorrente affermando, a pag. 7, che era evidente, in base alla sola lettura del ricorso, che la parte si era resa conto pienamente delle ragioni del diniego censurandole nel merito.

2. Con il secondo motivo D.K. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale affermando che il ricorrente non avrebbe prodotto alcun documento corroborante le vicende dallo stesso riferite e che sussisteva un vizio di motivazione contraddittoria dove a pag. 6 era stata valorizzata la necessarietà dell’attivazione dei poteri ufficiosi e a pag. 12 si era fatto riferimento alla pregnanza dell’onere di allegazione del richiedente. Ad avviso del ricorrente nessun riferimento era stato offerto riguardo alla sua audizione e, al contrario, era stata travisata la reale prospettazione da lui offerta quando aveva riferito di avere chiamato la polizia forestale per richiedere il componimento della lite e di avere sollecitato il capo tribù ad interessarsi della vicenda.

2.1 Il motivo è inammissibile.

Nel caso in esame, il Tribunale ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato affermando che dallo stesso racconto del richiedente non emergeva alcuna attività persecutoria; mentre con riferimento alla protezione sussidiaria ha rilevato che non sussistevano fondati motivi di un rischio effettivo in caso di rientro in patria, rilevando che non vi era alcun accenno alla polizia o al capo villaggio, autorità ancora rilevanti in Ghana nella risoluzione di conflitti nelle comunità rurali, e che era assente ogni indicazione nel ruolo rivestito dalla famiglia del richiedente e da quella del vicino nell’ambito del villaggio per potere circostanziare quella preminenza che avrebbe rivestito il vicino e valorizzando come riscontro ulteriore dell’inconsistenza del pericolo rappresentato la circostanza che il richiedente avesse lasciato nel villaggio la moglie e i figli.

Quanto alla situazione di violenza indiscriminata, il Tribunale ne ha poi valutato i presupposti a pag. 11 del provvedimento impugnato, dove ha citato specifiche fonti aggiornate al 2017/2018.

Si tratta, peraltro, di una ratio decidendi non specificamente censurata dal ricorrente, con conseguente inammissibilità della doglianza (Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

2.2 Occorre, inoltre, osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del Giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921).

Alla luce di quanto sopra è evidente che il dovere del Giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente, anche se non suffragato da prove, richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e).

Ne consegue che il Tribunale non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituivano un ostacolo al rimpatrio nè integravano un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Non sussiste, pertanto, la dedotta motivazione contraddittoria, nè il vizio di travisamento invocato, poichè il ricorrente, come si legge nel provvedimento impugnato (pag. 9), ha dichiarato di essersi rivolto alle guardie forestali e non già al capo tribù e avendo il Tribunale evidenziato che non vi era alcun accenno del “ricorso alla polizia o al capo villaggio”.

3. Con il terzo motivo D.K. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5; nullità e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) ed f); artt. 3, 7 e 8, di attuazione delle direttiva 2004/83/CE; Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) ed e), di attuazione della direttiva 2005/85/CE, perchè il Tribunale non aveva valutato le ipotesi delle “azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie” e “il rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria”, avendo il richiedente dichiarato di non potersi difendere dalla violenta reazione del vicino attesa l’impossibilità di rivolgersi con successo alle forze dell’ordine e al capo-tribù.

4. Con il quarto motivo D.K. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), non avendo valutato il Tribunale, ai fini della protezione sussidiaria, le ipotesi di “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine” e “di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile”, poichè il richiedente avrebbe riferito di non potere contrastare la violenza del suo detrattore in ragione della forza personale e criminale di quest’ultimo e che lo avrebbe visto soccombente e sottoposto a violenza e torture, peraltro ampiamente ritenute esistenti ed operanti in Ghana.

4.1 I due motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e non colgono il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”.

Come già detto, il Tribunale ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato affermando che dallo stesso racconto del richiedente non emergeva alcuna attività persecutoria e, con riferimento alla protezione sussidiaria, ha rilevato che non sussistevano fondati motivi di un rischio effettivo in caso di rientro in patria, precisando che non vi era alcun accenno alla polizia o al capo villaggio, autorità ancora rilevanti in Ghana nella risoluzione di conflitti nelle comunità rurali, e che era assente ogni indicazione nel ruolo rivestito dalla famiglia del richiedente e da quella del vicino nell’ambito del villaggio per potere circostanziare quella preminenza che avrebbe rivestito il vicino e su cui si sarebbe fondato per incutere paura ed ancora che la circostanza che il richiedente avesse lasciato nel villaggio la moglie e i figli costituiva riscontro ulteriore dell’inconsistenza del pericolo rappresentato.

La doglianza è, inoltre, inammissibile per difetto di specificità, posto che il ricorrente non indica quali sarebbero, in concreto, gli elementi non considerati dalla Corte territoriale.

La censura si riduce, quindi, alla generica contestazione dell’operato del Tribunale che non è incorso in alcun vizio di omesso esame, essendo pervenuto al rigetto delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria per la ritenuta insussistenza dei presupposti previsti dalla legge.

5. Con il quinto motivo D.K. lamenta error in procedendo ed error in iudicando in relazione alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, avendo erroneamente il Tribunale applicato la diversa e distinta fonte del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, che disciplina l’espulsione e non già l’accoglienza per motivi umanitari e non avendo fatto la valutazione comparativa della vulnerabilità del ricorrente.

5.1 Il motivo è inammissibile poichè il ricorrente si limita a una generica esposizione degli orientamenti in materia, senza indicare e argomentare quale ragione di specifica vulnerabilità soggettiva, diversa da quelle considerate ed escluse dal Tribunale (quelle indicate nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e quelle corrispondenti a obblighi internazionali dello Stato italiano), egli avesse dedotto nel giudizio di merito.

Sussiste, inoltre, la valutazione comparativa (la cui censura, peraltro, difetta di specificità) avendo il Tribunale affermato che non si poteva parlare di un’avvenuta integrazione sociale ed economica del ricorrente non essendo elementi significativi il temperamento mite, la gentilezza nei modi, la serena integrazione nella comunità dei richiedenti asilo e la frequentazione di corsi di lingua italiana.

Ed invero, questa Corte ha affermato che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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