Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29929 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/11/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 20/11/2018), n.29929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18259/2016 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO BRASCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO LALLI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

DITTA M.M.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI

BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CHILOSI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 341/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/01/2016, R.G.N. 197/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LEONARDO BRASCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata la nullità del licenziamento intimato a R.F. con lettera del 18 agosto 2009 dalla Ditta M.M.A., ha dichiarato la legittimità del successivo recesso datoriale di cui alla lettera in data 20 novembre 2009 e condannato la datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni spettanti dal 30 agosto 2009 al 20 novembre 2009, detratto quanto già percepito in relazione al detto periodo, oltre interessi legali sulle somme annualmente rivalutate.

1.1. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, confermata la nullità, ai sensi del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 54, commi 1 e 5, del primo licenziamento, intervenuto quando la figlia della dipendente non aveva ancora compiuto il primo anno di età, escluso che nella lettera del 22.10.2009 fosse ravvisabile, come invece ritenuto dal giudice di prime cure, un secondo licenziamento, ha ritenuto valido il recesso datoriale di cui alla missiva del 20 novembre 2009, quale rinnovo del precedente licenziamento affetto da nullità.

1.2. Premesso che nelle more era venuta meno la tutela della lavoratrice prevista dal cit. D.Lgs. n. 151 del 2003, art. 54, comma 1, ha, infatti, ritenuto provate le ragioni addotte – “riduzione dell’attività aziendale” – a fondamento del secondo licenziamento, valorizzando a tal fine sia la cessazione del contratto di agenzia tra la Ugf Assicurazioni s.p.a. e la datrice di lavoro sia le deposizioni testimoniali che attestavano la prosecuzione dell’attività dell’agenzia assicurativa presso la quale era impiegata la R. al solo fine del compimento delle attività liquidatorie e di chiusura dei conti.

1.3. In merito all’obbligo di “repechage” il giudice di appello ha escluso la possibilità di utile ricollocazione lavorativa della R. presso il negozio di bijotteria nella titolarità della M., in assenza di posti disponibili presso detto esercizio al quale era stata addetta altra dipendente dell’agenzia assicurativa con maggiore anzianità dilavoro; ha, inoltre, evidenziato, quanto all’altra persona – Mo.El. – che si assumeva occupata dalla ditta datrice, che dalla istruttoria espletata era emerso che essa aveva lavorato per un soggetto distinto e cioè lo Studio M. Pratiche Auto la cui attività era, peraltro, anch’essa cessata quasi contestualmente alla chiusura dell’agenzia. La sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento rendeva infondata la prospettazione della lavoratrice in ordine alla natura discriminatoria e ritorsiva del recesso datoriale.

1.4. In punto di conseguenze della nullità del primo licenziamento la Corte territoriale, esclusa la possibilità di tutela reintegratoria per il sopravvenire di un secondo valido licenziamento, ha ritenuto spettare alla dipendente le sole retribuzioni decorrenti dal 30.8.2009 al 20.11.2009, detratto quanto già percepito nel detto periodo,oltre accessori.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso R.F. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente il motivo addotto a fondamento del secondo licenziamento. In particolare, con riferimento all’obbligo di “repechage”, sostiene che il giudice di appello aveva omesso di verificare la conformità della scelta del lavoratore da licenziare ai criteri di correttezza e buona fede e, quindi, sulla base di un criterio improntato a razionalità e graduazione delle posizioni interessate.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del disposto normativo della L. 20 luglio 1970, n. 300, artt. 15 e 18, art. 2, comma 2, lett. c), artt. 6 e 9 della Direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, recepita con D.Lgs.25 gennaio 2010, n. 5, che ha introdotto del D.Lgs. n. 198 del 2006, art. 2, comma 2 bis, D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 1. Censura la sentenza impugnata per avere escluso la natura discriminatoria del licenziamento in presenza di un giustificato motivo oggettivo da ritenersi, invece, insussistente in ragione di quanto rappresentato con il primo motivo e del fatto che la vicenda in oggetto traeva origine da un licenziamento intimato nella vigenza del divieto di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54. Assume che la esistenza del motivo discriminatorio non era stata neppure adeguatamente contestata nel ricorso in appello di controparte. Deduce che, apoditticamente, la sentenza impugnata aveva affermato la possibilità di rinnovo del licenziamento nullo, una volta venuti meno i presupposti per la tutela ex art. 54 D.Lgs cit. tralasciando di valutare l’effettivo atteggiarsi del rapporto.

3. Con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 3 e 8,censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente la necessità di riduzione del personale. Sul presupposto della esistenza di due imprese, l’una relativa all’attività di assicurazione l’altra relativa al negozio di profumeria, facenti capo al medesimo soggetto con unica partita Iva e unica sede legale, osserva che dalla istruttoria espletata era emerso che l’attività assicurativa non era cessata nè alla data del 4.6.2009 nè alla data del 22.10.2009 mentre in relazione all’attività di profumeria non era emersa la cessazione di alcuna attività, ulteriormente evidenziando che l’attività assicurativa era continuata per circa un anno e mezzo o due, secondo quanto emergente dalla deposizione della teste P.. Insiste, inoltre sulla finalità ritorsiva del recesso datoriale.

4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione della cit. L. n. 300 del 1970, art. 18. Censura la sentenza impugnata per avere limitato le conseguenze risarcitorie connesse al primo licenziamento alle differenze maturate tra la data dello stesso e quella del secondo licenziamento, in violazione della previsione secondo la quale l’indennità risarcitoria non può essere liquidata in misura inferiore al minimo rappresentato da cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.

5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le censure articolate, in violazione del principio di autosufficienza, non sono sorrette dalla esposizione delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate dalle parti nel giudizio di merito con riguardo alla questione relativa alla violazione dell’obbligo di “repechage”, anche sotto lo specifico profilo del rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare.

5.1. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e deve, altresì, permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), richiede, quindi, che il ricorso per cassazione contenga la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente. (v. tra le altre, Cass. 28/05/2018 n. 13312; Cass., 15/07/2015 n. 14784).

5.2. In ogni caso, la ricostruzione del giudice di appello in punto di impossibilità di “repechage”, laddove ha ritenuto corretta, in ragione della maggiore anzianità conseguita, l’utilizzazione, dopo la chiusura dell’agenzia, di altra dipendente, P., presso l’esercizio commerciale nella titolarità della M., appare coerente con le indicazioni di questa Corte la quale, in tema di criterio di scelta del lavoratore da licenziare per soppressione del posto di lavoro, in presenza di più posizioni fungibili occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ha considerato standard idoneo ad assicurare il rispetto del canone di correttezza e buona fede il riferimento ai criteri della L. n. 223 del 1991, art. 5, tra i quali è compreso quello dell’anzianità di servizio (Cass. 07/12/2016 n. 25192).

6. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto, anche in relazione a tale motivo, è mancata la adeguata esposizione della vicenda processuale con riguardo alle posizioni delle parti quali sviluppatesi nel giudizio di merito in relazione alla questione della natura discriminatoria del secondo recesso datoriale.

6.1. Le censure articolate sono affidate ad una serie di generiche ed apodittiche considerazioni sulla violazione del principio di non discriminazione e sulle esigenze di tutela della lavoratrice madre, senza specificamente contestare, mediante la deduzione di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricostruzione della vicenda storica operata dal giudice di appello con riguardo alla effettività della progressiva cessazione delle attività dell’agenzia assicurativa presso la quale era impiegata la R. ed all’impossibilità di utile ricollocazione lavorativa della detta dipendente.

7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile sia perchè con esso parte ricorrente tende a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357), sia perchè, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non risulta riprodotto il contenuto degli atti e documenti invocati a fondamento del motivo e perchè anche l’evocazione delle deposizioni testimoniali è affidata alla riproduzione solo parziale delle stesse.

8. Il quarto motivo di ricorso è da ritenersi fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, alla quale si ritiene di dare continuità, la quale, sul presupposto che l’indennità prevista dalla cit. L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nel testo sostituito dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione “juris et de jure” del danno causato dal recesso, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa (Cass. 11/11/2011, n. 23666), ha ritenuto tale minimo ammontare comunque dovuto anche nell’ipotesi in cui la reintegra intervenga a meno di cinque mesi dal licenziamento invalido (Cass. 17/10/2014 n. 22050) e anche quando il rapporto di lavoro non abbia avuto un’effettiva interruzione (Cass. 23/12/2011 n. 28703).

9. In base alle considerazioni che precedono la sentenza deve essere cassata nella parte in cui ha liquidato la indennità risarcitoria in misura inferiore alle cinque mensilità. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la questione può essere decisa nel merito determinando in cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto l’importo della indennità risarcitoria, conseguente al recesso datoriale intimato nell’agosto 2009, al quale la odierna contro ricorrente deve essere condannata.

10. Atteso l’esito complessivo del giudizio si ritiene di confermare il regolamento delle spese del giudizio nei gradi di merito e di compensare nella misura della metà le spese del presente giudizio ponendo il residuo a carico della odierna parte controricorrente.

PQM

La Corte rigetta i primi tre motivi e accoglie il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina in cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, dal licenziamento all’effettivo soddisfo, la misura dell’indennità risarcitoria conseguente al licenziamento intimato con lettera del 18 agosto 2009.

Conferma la statuizione sulle spese del giudizio di merito. Compensa per metà le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Condanna parte controricorrente alla rifusione del residuo.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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